Bruxelles

L'Europa: «Sostegno incrollabile all’Ucraina», ma sulle forniture di armi è stallo

In un documento di 14 punti i capi di Stato e di Governo dell’Unione ribadiscono la necessità che Kiev mantenga l’integrità territoriale «entro i confini riconosciuti a livello internazionale» - L’intesa su come trovare i fondi per la difesa comune ancora non c’è
Il premier spagnolo Pedro Sanchez alla riunione di ieri del Consiglio Europeo. ©OLIVIER HOSLET
Dario Campione
20.03.2025 21:11

Un documento in 14 punti, «sostenuto con fermezza da 26 capi di Stato o di Governo», nel quale l’Europa «riafferma il suo perdurante e fermo sostegno all’indipendenza, alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale» e «mantiene il suo approccio di “pace attraverso la forza”, secondo il quale l’Ucraina deve trovarsi nella posizione più forte possibile», con «solide capacità militari e di difesa».

Sulle questioni di principio, con la sola eccezione dell’Ungheria di Viktor Orbán, l’Unione europea è riuscita a trovare ancora una sua unità. Ma quando si è trattato di fare un passo successivo, di prendere cioè una decisione concreta, la situazione è completamente cambiata.

Così, a Bruxelles, il Consiglio europeo ha ancora una volta ribadito, in un lungo testo, la sua vicinanza a Kiev. Ma non ha saputo rispondere positivamente alla richiesta del presidente Volodymyr Zelensky di approvare un pacchetto di almeno 5 miliardi di euro per l’acquisto di artiglieria. «Abbiamo bisogno di fondi per i proiettili e apprezzeremmo davvero il sostegno dell’Europa», ha detto Zelensky ai leader dell’Ue in collegamento video con la capitale belga. Subito sostenuto dal capo della politica estera dell’Unione, l’estone Kaja Kallas: «Più sono forti sul campo di battaglia, più sono forti dietro il tavolo dei negoziati», ha detto Kallas degli ucraini.

Il risultato, tuttavia, è stato molto diverso da quello atteso - almeno nell’immediato - da chi sta combattendo, giorno dopo giorno, contro le armate del Cremlino. Tanto che lo stesso Zelensky, sicuramente deluso dal no alle munizioni, ha esortato comunque i leader europei a «non allentare la pressione sulla Russia. Gli sforzi diplomatici in corso non significano che Mosca debba subire meno pressioni - ha detto il presidente ucraino - Le sanzioni sono necessarie e devono rimanere in vigore finché la Russia non inizierà a ritirarsi dalla nostra terra e non risarcirà completamente i danni causati dalla sua aggressione. Continuate a lottare contro gli schemi di elusione e i tentativi della Russia di finanziare il suo sforzo bellico. Questo è fondamentale per ridurre le possibilità di un imbroglio russo. E sappiamo tutti quanto facilmente Mosca disattenda le promesse: un momento dà la sua parola e poche ore dopo non significa assolutamente nulla. Ecco perché dobbiamo continuare a spingere la Russia verso la pace».

La varie posizioni

Al netto dei no di Orbán, problema politico che prima o poi l’Unione dovrà risolvere in via definitiva, la questione del pacchetto difesa resta spinosa. Anche e soprattutto per le posizioni distanti tra i vari Paesi. Sul piano ReArm proposto dalla presidente Ursula von der Leyen e accompagnato dal cosiddetto «Libro Bianco», i 27 appaiono divisi. Sul principio di base - rafforzare la difesa dell’Unione “minacciata” anche dalle politiche della nuova amministrazione USA - nessuno è ovviamente contrario. Ma il “come” è argomento di discussione molto aspra.

Il tema più delicato riguarda gli strumenti per finanziare l’aumento delle capacità di difesa. I Paesi baltici, la Polonia e gli ultimi arrivati in casa NATO - Finlandia e Svezia - vorrebbero subito «un’Europa sicura, armata e unita contro la minaccia russa» e sono pronti a spendere quanto serve. «Dobbiamo riarmarci, perché altrimenti saremo le prossime vittime dell’aggressione russa», ha detto il presidente lituano Gitanas Nauseda, il quale ha ripetuto che «l’Ucraina ha bisogno della nostra assistenza militare e di missili a lungo raggio».

Italia, Francia e Grecia guidano invece il fronte dei Paesi, per lo più del Sud Europa, favorevoli agli eurobond. Una soluzione che non piace a Olanda, Germania, Austria, cui si aggiunge l’Ungheria ancora inviperita dal congelamento dei fondi del PNRR stanziati col Next Generation EU. «Non bloccheremo il piano di spesa per la difesa, ma siamo ancora molto contrari alle obbligazioni congiunte in euro», ha detto il premier olandese Dick Schoof.

Dal primo ministro spagnolo, il socialista Pedro Sanchez, è poi arrivata una considerazione di realismo politico. Sanchez ha infatti detto di non amare il termine «riarmo» ampiamente utilizzato dalla von der Leyen nella sua spinta per una maggiore spesa per la difesa. «È importante tenere conto del fatto che le sfide affrontate sul quadrante meridionale dell’Europa sono un po’ diverse da quelle che deve fronteggiare il fianco orientale», ha aggiunto.

Quanto spendere e dove trovare i soldi restano quindi le questioni più difficili da dipanare. Oggi, nella seconda giornata di lavori, il Consiglio europeo dovrebbe discutere le proposte della Commissione in materia di difesa. Proposte che includono l’invito a mettere in comune le risorse su progetti militari congiunti e ad acquistare più armi europee. Difficile, invece, che si acceleri sull’esercito unico, l’unico progetto - forse - che permetterebbe di razionalizzare una spesa già molto elevata.

I colloqui per un cessate il fuoco riprendono lunedì a Riad

In attesa di una vera tregua, dopo che dagli annunci - almeno per il momento - non è sembrato scaturire alcun risultato concreto, riprendono i colloqui separati per il cessate il fuoco tra Stati Uniti e Russia e tra Stati Uniti e Ucraina.

È stato lo stesso presidente ucraino Volodymir Zelensky, a Oslo per incontrare il premier norvegese Jonas Gahr Støre, ad annunciare che le delegazioni del suo Paese e degli USA si incontreranno lunedì prossimo, 24 marzo, a Riad, in Arabia Saudita. Lo stesso giorno, sempre a Riad, si vedranno anche le delegazioni russa e americana, in riunioni separate. Secondo quanto annunciato dal consigliere del Cremlino e numero due della squadra negoziale Yuri Ushakov, la delegazione russa sarà guidata dal capo della commissione Affari esteri della Duma, Grigory Karasin.

In un video, Zelensky ha tuttavia esortato i leader europei a non cadere nella «bufala» russa di chi finge di volere un cessate il fuoco mentre agisce in direzione opposta. «Putin deve smettere di fare richieste inutili che prolungano soltanto la guerra e deve iniziare a mantenere ciò che promette al mondo», ha aggiunto il presidente ucraino.

Azioni sul terreno

Intanto, sul terreno, la guerra non si ferma. Nella sola giornata odierna lo Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine ha annunciato di aver registrato almeno 90 scontri diretti tra i propri soldati e le forze armate russe. Sempre oggi, Kiev ha anche colpito con i suoi droni PD-2 e Liutyi l’aeroporto di Engels, città dell’oblast di Saratov, a circa 700 km dalla linea del fronte. Negli hangar di Engels sono ricoverati i bombardieri strategici russi pesanti Tupolev Tu-160 con capacità nucleare, noti ufficiosamente come White Swans (cigni bianchi). Secondo Roman Busargin, governatore di Saratov citato dalla Reuters, l’attacco di droni ucraini su Engels ha colpito l’aeroporto e costretto le autorità a sfollare i residenti nelle vicinanze della base militare. Il ministero ucraino della Difesa ha giustificato il raid con il fatto che la Russia ha usato e continua a utilizzare la base di Engels per effettuare attacchi contro l’Ucraina.

A Washington, l’Intelligence statunitense ha poi condiviso con alcune fonti giornalistiche una valutazione che smentisce quanto affermato nei giorni scorsi sia da Donald Trump sia da Vladimir Putin: i soldati ucraini a Kursk hanno sì perso terreno negli ultimi giorni, ma non sono circondati dalle forze russe.

Gli esperti USA hanno descritto l’affermazione di Putin del 13 marzo scorso, secondo cui le forze ucraine a Kursk sono state tagliate fuori e alla fine avrebbero dovuto «arrendersi o morire», come «disinformazione intesa a dimostrare che la Russia sta offrendo concessioni salvando la vita dei soldati ucraini, dando a Putin una leva nei negoziati per il cessate il fuoco».

Già una settimana fa, il 14 marzo, l’Institute for the Study of War, uno dei più importanti osservatori indipendenti dei conflitti internazionali, con orientamento conservatore e sede negli Stati Uniti a Washington D.C., aveva scritto nei suoi report di non aver «osservato alcuna prova geolocalizzata che indicasse l’accerchiamento da parte russa di un numero significativo di forze ucraine nell’oblast di Kursk o altrove lungo la linea del fronte in Ucraina».

Vero è che da agosto, da quando cioè i soldati ucraini si sono fatti strada attraverso il confine occidentale della Russia a Kursk, Kiev ha perso quasi tutto il territorio che aveva guadagnato: delle iniziali 500 miglia quadrate di terra, ora ne controlla solo tra 20 e 30, secondo i rapporti open source.