L’ex base sovietica in Cecoslovacchia è un incubo sbiadito

Tra il 20 e il 21 agosto 1968 le truppe del Patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia. I soldati sovietici – prima creduti fratelli – soffocarono la Primavera di Praga con i carri armati e occuparono il Paese fino all’aprile 1991. Il Corriere ha documentato sul posto cosa resta a 28 anni dalla loro partenza e a 30 dalla rivoluzione.
«Con un collega eravamo soliti trasportare bibite per conto di un’azienda locale – limonate e aranciate – nel distretto di Nymburk, ma quando a bordo del nostro camion dovevamo raggiungere Milovice, puntualmente ci fermavano i soldati e scattava la verifica dei documenti. Nessuno poteva entrare ed uscire da quella cittadina in mano alle forze sovietiche senza subire controlli». A parlare è Jan Komarek, oggi un pensionato settantenne, che vive in un paesino dell’omonimo distretto, il quale ricorda quel periodo buio della storia cecoslovacca sorridendo, ma con rassegnazione. Tra Milovice e la vicina frazione di Bozi Dar (letteralmente: Dono di Dio), c’era il filo spinato e anche chi abitava nella zona faceva fatica a spostarsi lungo le strade di collegamento, sempre piene di camion militari che vi circolavano avanti e indietro a ogni ora. Un muro di metallo separava i due centri, tanto vicini quanto lontani e con posti di blocco ovunque. Bozi Dar era un territorio off limits nel quale nessun abitante originario del luogo aveva accesso e di cui, a quanto sembra, soltanto i russi conoscevano l’esistenza.
Russia in miniatura
Secondo quanto venuto alla luce dopo la partenza dell’Armata rossa si trattava di una sorta di Russia in miniatura, con tanto di teatro, museo, un centro benessere con piscina, perfino un aeroporto che permetteva i voli d’addestramento dei caccia Mig-29 e degli Antonov civili da e per la madre patria.

Bozi Dar è un cumulo di macerie
Fa un certo effetto inoltrarsi nella boscaglia di Bozi Dar alla ricerca di ruderi di epoca sovietica. Ovunque ci si gira si presentano alla vista cumuli di cemento, calcestruzzo e tonnellate di mattoni accatastati. Un tempo misterioso e inaccessibile avamposto circondato dal filo spinato al cui interno operavano gli ufficiali e i piloti dell’Armata Rossa alle dirette dipendenze di Mosca, oggi Bozi Dar è una zona desolata attraversata da strade sulle quali si finisce soltanto di passaggio, sbagliando strada o se ci si abita (i residenti sono molto pochi). Tutte le strade d’accesso laterali sono state chiuse per ordinanza comunale e transennate. Superando una barriera con la scritta «Zakaz» (divieto d’accesso) ad un centinaio di metri si intravede un enorme palazzo dove un tempo, forse, c’eran o degli uffici. È circondato da sterpaglie che sono riuscite a bucare perfino il cemento. Vi sono erbacce ovunque. Salendo le scale si sente soltanto il sibilo del vento che passa da una finestra all’altra. I corridoi sono lunghissimi e deserti. Èun luogo da brividi, nel quale ogni giorno, in quegli anni, avranno fatto capolino centinaia di militari sovietici per decidere chissà quale strategia. Tutto dimenticato.
I negozi, in quel reticolo di città, erano ricolmi di beni alimentari e di consumo che permettevano alle persone che vi risiedevano – gli ufficiali e le loro famiglie – uno stile di vita più occidentale rispetto a quello che era possibile nella loro patria in quegli anni di difficoltà e di ristrettezze.
Già da qualche anno, a 28 anni di distanza, Bozi Dar è stata completamente rasata al suolo, ad eccezione di pochissime case a blocchi «soviet style» ristrutturate e tuttora abitate da persone originarie del luogo. «Gli unici russi rimasti – ci ha detto un residente anziano – sono quelli sepolti al cimitero». Anche Milovice ha cambiato volto. Della base militare sovietica più grande della Cecoslovacchia non è rimasto nulla. Il nucleo si continua a ripopolare, anche per i suoi solo 30 chilometri da Praga: motivo d’interesse per una moltitudine di impiegati e professionisti in cerca di abitazioni confortevoli e a prezzo accessibile. In quasi tre decenni i grigi caseggiati – i «panelaki» di epoca socialista– sono stati ristrutturati, riammodernati e colorati.

Ricostruzione
In anni più recenti l’urbanizzazione è stata rilanciata grazie alle giovani famiglie. Il Governo cecoslovacco, dopo la partenza degli ultimi soldati russi nell’aprile del 1991, decise di non procedere alla ristrutturazione di decine di casermoni-condominio lasciati vuoti, che erano stati «offerti» allo Stato ceco come indennizzo per compensare l’occupazione dei terreni e le spese di ristrutturazione.L’investimento sarebbe stato troppo caro. Oltretutto le mine rimaste interrate erano migliaia e i materiali inquinanti lasciati in fretta e furia richiedevano complessi interventi di bonifica. Meglio, appunto, abbattere tutto e ripartire da zero. I caseggiati sovietici rimasti ancora in piedi, in parte trasformati ad uso pubblico, sono, come detto, pochi e si confondono tra numerosi altri di più moderna progettazione.
Nella vicina frazione di Jirice nei casermoni sovietici di allora è stato costruito un penitenziario, lungo la cui strada sono affissi cartelli di divieto: «Niente accesso ai non addetti, vietato fotografare». Le vecchie strutture diroccate e distrutte – a suo tempo saccheggiate dai vandali – oggi si contano sulle dita di una mano. Nessuno ha saputo dirci per quanto tempo ancora resteranno lì in piedi a testimoniare un’epoca che il popolo ceco vorrebbe seppellire del tutto nella memoria dei suoi ricordi più sofferti. La crescita demografica, intanto, non si arresta. Oggi a Milovice risiedono circa 12 mila persone, una popolazione comunque molto esigua rispetto alle oltre 50 mila di quegli anni.
Parco divertimenti
Sulle ceneri di un’area adibita alle esercitazioni militari, da qualche anno nella cittadina è stato costruito un parco divertimenti dal nome emblematico: Mirakulum. Un luogo dove il passato sovietico offre momenti ludici per bambini di tutto il Paese accompagnati dai loro genitori e parenti. Lì possono nascondersi sotto un bunker, giocare dietro a una ciminiera rimasta intatta negli anni e girare su un carro armato cecoslovacco. Ogni settimana vi giungono numerosi a bordo di automobili, e anche di bus, da tutta la Cechia. E questo sì, pare proprio un vero miracolo.

Intervista a Lukals Pilc, sindaco di Milovice - «Abbattuti centinaia di stabili saccheggiati»
Il 17 novembre si festeggiano i trent’anni della rivoluzione. In aprile sono trascorsi 28 anni dalla partenza delle truppe sovietiche dalla Cecoslovacchia. Che cos’è rimasto di quel periodo?
«Sono cambiate molte cose . Lo stabile del Municipio di Milovice, per esempio, è stato ricostruito ed ammodernato. Fino al 1991 era il ritrovo degli ufficiali, la Casa culturale russa. Qui a fianco c’è anche un teatro che risale a quegli anni, nel quale sono in corso lavori di ristrutturazione, lo vogliamo riconvertire in un museo storico. Quando le truppe russe lasciarono il nostro Paese, gli spazi abbandonati sono stati gestiti dallo Stato. Nelle zone un tempo utilizzate dai sovietici per l’addestramento militare si insediò l’esercito cecoslovacco, che fu impiegato anche per evitare che avvenissero saccheggiamenti. I furti dai caseggiati russi, ormai rimasti vuoti,nei mesi e anni che seguirono alla partenza delle milizie sovietiche, avvennero però ugualmente: prevenire questi saccheggi si rivelò troppo dispendioso! Lo Stato ceco ha poi incaricato la società a capitale misto Privum a farsi carico della gestione dei due catasti di Milovice (con 1000 abitanti) e della vicina Benatetska Vrutice (con soli 200). Nel 1991 entrambi i centri sono stati uniti in un solo catasto e si è decisa una nuova pianificazione territoriale. Si vendettero le prime abitazioni anche ad alcuni Comuni limitrofi tra cui Brandys nad Labem e Celakovice. Gli abitanti pian piano tornarono ad animare la zona. Il Comune di Milovice ha poi subito un graduale processo di privatizzazione. Si è cominciato a vendere queste case ai privati. Ebbero luogo anche speculazioni. Nel 2007 Milovice ha acquistato diversi immobili del tempo rimasti invenduti tramutandoli in stabili ad uso amministrativo. Le ultime abitazioni occupate da milizie sovietiche si trovano nelle vicinanze di un maneggio. Tre case messe all’asta sono diventate proprietà del Comune: si trovavano su un ex campo da tiro per carri armati, ma essendo fuori norma, per bonificare il terreno, si decise di abbatterle. Si tratta di stabili costruiti nel 1903, che furono già occupati dai soldati austriaci».
Qual era il sentimento tra cechi e russi?
«Si viveva gli uni vicini agli altri e si cercava di andare d’accordo. Molti si scambiavano prodotti di consumo irreperibili altrove nel Paese. Nel 2012, come Municipio, abbiamo ricevuto il generale Eduard Vorobyov – il comandante dell’Esercito russo in Cecoslovacchia – che ha voluto vedere di persona cos’era cambiato a Milovice e nei sui dintorni un ventennio dopo la partenza delle sue truppe. Nonostante quegli anni bui della nostra storia, i nostri rapporti sono rimasti cordiali».
Tra i cechi un certo astio verso i russi resta diffuso.
«Nessuno nega che per chi ha vissuto quel periodo, vi sia un certo risentimento. Nella nostra cittadina, direttamente toccata da quella presenza, questo sentimento è però più che altro un fatto individuale. Storicamente la nostra città ha visto passare diversi eserciti: prima dell’Armata Rossa, gli austriaci e poi i tedeschi. Il regime sovietico era molto severo e in contrasto con la nostra mentalità. A Milovice vivevano sia cechi sia russi, che avevano portato qui anche le loro famiglie. Nelle tipiche case prefabbricate risiedevano – insieme – ufficiali, piloti, artisti e abitanti del luogo. I soldati alloggiavano invece nelle caserme nascoste nei boschi, oltre il reticolo di filo spinato di Bozi Dar. Qui vivevano tra 80 e 100 mila persone, oggi sono poco più di 11 mila».
Perché, quando si parla della presenza sovietica in Cecoslovacchia, si parla più spesso di Milovice?
«Milovice era la sede principale delle forze centrali sovietiche in Europa e proprio nel nostro Comune fu insediato il centro di comando dell’Armata Rossa, che prendeva ordini direttamente dal Cremlino».
Come ha convissuto la cittadinanza di Milovice con quella presenza prima del 1991?
«I sovietici, in quanto forza occupante, erano visti male. Si resero anche responsabili di molti incidenti rimasti impuniti. Nonostante questo, come detto, i cechi cercarono di conviverci senza attriti. D’altra parte i russi vivevano in un loro mondo: non volevano limitare la vita degli autoctoni, piuttosto cercavano di ottenere vantaggi economico-commerciali».
Dal 1991 in avanti lei è stato in prima linea nel coordinare le demolizioni. Cosa ricorda?
«È stato un periodo di grandi cambiamenti, politici e sociali. Sul nostro territorio si cercava di usufruire al meglio degli enormi spazi abitativi rimasti vuoti e di far leva sulle nostre potenzialità per cambiare l’immagine di ex base sovietica e per attirare nuovi abitanti. C’era molta confusione. Il Comune cercava anche di fare investimenti ad hoc. La vicinanza a Praga ha giocato a favore. Altre basi sovietiche del Nord, come quelle di Ralsko e di Mimon, più distaccate, hanno faticato di più. A Bozi Dar resta la superficie del vecchio aeroporto militare, per il quale, anni fa, ho curato un progetto di rilancio che è stato però abbandonato per mancanza di fondi. L’area cittadina con 350 caseggiati sovietici è stata spianata, le abitazioni demolite e i terreni (un tempo colmi di mine) bonificati. Quattro soli caseggiati prefabbricati dell’epoca sono rimasti in piedi, abitati da 220-250 persone. Ricordo che qualche tempo prima di andarsene, i russi costruirono una grande struttura ospedaliera tecnologicamente avanzata che, poco prima della loro partenza, fu abbandonata. Se ne fece carico lo Stato cecoslovacco che la fece sorvegliare dai militari. Ma il compito si rivelò troppo oneroso. Iniziarono i saccheggi, fu chiusa e demolita».
Cosa ricorda di quegli anni?
«Ero un bambino. I miei genitori erano di religione cristiana, mio padre era un agente di polizia e quindi non poteva recarsi in chiesa. A scuola ho studiato russo: negli anni mi è tornato utile, anche per i miei ottimi rapporti associativi per il Comune. Mia madre mi raccontava spesso che c’era carenza di beni di prima necessità. In casa mancava sempre qualcosa. A Karvina, dove sono cresciuto, ci si metteva in fila, per le arance cubane o per le banane, dato che la frutta era un bene che scarseggiava. Era un periodo di ristrettezze e di paura. In quasi trent’anni la nostra città si è piano piano ammodernata. Sono state costruite nuove case. Si è messa in piedi un’adeguata rete di mezzi pubblici. Nel 2012 ho presenziato all’inaugurazione del nuovo Municipio nato nella vecchia Casa culturale russa. Milovice oggi è gemellata con la città ucraina di Leopoli. Il sindaco di quella città è cresciuto a Bozi Dar, da padre russo e madre ucraina. Non lo ha scordato».