L'intervista

«L’impatto dei dazi sull’Europa è il vero problema per il Ticino»

In che modo l’industria ticinese sta vivendo l’agguerrita politica commerciale avviata dal presidente USA Donald Trump? La lettura del direttore di AITI, Stefano Modenini
©FRANCIS CHUNG / POOL
Francesco Pellegrinelli
20.02.2025 06:00

I dazi reciproci annunciati negli scorsi giorni da Donald Trump con decreto presidenziale dovrebbero entrare in vigore il prossimo 2 aprile. L’obiettivo è riequilibrare un sistema commerciale che, secondo il presidente USA, favorisce i Paesi partner, soprattutto quelli che applicano tariffe elevate sui prodotti americani. Questa nuova strategia della Casa Bianca colpirà principalmente l’Europa, il Giappone e l’India. Le regole del gioco, presto, potrebbero cambiare. Come si sta preparando l’industria ticinese? Lo abbiamo chiesto al direttore di AITI Stefano Modenini.

In che modo l’industria ticinese sta vivendo l’agguerrita politica dei dazi avviata dal presidente USA Donald Trump?
«Come sempre, una delle questioni più difficili da affrontare è l’incertezza che si crea, in particolare fra l’annuncio di possibili dazi e la loro introduzione. Può diventare persino problematico programmare le attività, ma dobbiamo anche dire che non è certo a prima volta che siamo confrontati all’innalzamento di barriere d’entrata sui mercati internazionali. La preoccupazione è però duplice, sia come esportatori diretti di prodotti finiti, sia come fornitori di componenti e semilavorati, ad esempio, per l’industria europea che a sua volta verrebbe colpita da dazi».

Come hanno reagito le imprese all’annuncio dei dazi reciproci?
«Come detto, hanno reagito con preoccupazione, dato che gli Stati Uniti sono uno dei più importanti partner commerciali, anche per il Ticino. Ciò dipende dal peso di questo mercato sul fatturato dei diversi rami di attività e delle singole aziende. Se consideriamo che circa il 60 % dell’export svizzero verso gli Stati Uniti concerne farmaci, e che anche per l’economia ticinese le esportazioni di farmaci sono importanti, è chiaro che gli imprenditori temono contraccolpi. Ciò vale forse un po’ meno laddove si esportano prodotti meno sensibili alle variazioni di prezzo, in particolare i prodotti di lusso».

Quanto pesa il mercato USA nell’industria ticinese? In un tessuto prevalentemente di PMI, quante aziende verrebbero colpite?
«Numeri specifici dell’industria ticinese non ne abbiamo, bisogna guardare ai singoli rami di attività. Complessivamente però possiamo dire che l’economia ticinese ha esportato negli Stati Uniti nel 2023 beni e servizi per 6,1 miliardi di franchi. Se consideriamo il valore esclusivamente congiunturale, cioè sottraendo in particolare i metalli e le pietre preziose, il valore delle esportazioni è di circa 700 milioni di franchi».

Il tema di una parziale delocalizzazione della produzione negli Stati Uniti, per sfuggire ai dazi, è immaginabile? Realisticamente quante aziende potrebbero spostare una linea produttiva?
«Il tema non è nuovo. Ogni amministrazione americana in passato ha esercitato pressione sulle aziende estere, non solo quelle svizzere, affinché delocalizzassero la produzione negli Stati Uniti. Le stesse multinazionali americane, ad esempio nel settore dell’aviazione, fanno questa pressione da tempo. Nel caso dell’industria ticinese stiamo parlando però di un numero contenuto di aziende toccate da queste pressioni, alle quali le nostre imprese rispondono con l’alta qualità dei prodotti e con servizi dopo vendita rapidi ed efficienti. Inoltre, gli Stati Uniti non sono certo la nazione con il costo del lavoro più competitivo. Se un’azienda americana vuole il prodotto svizzero di certo non imporrà come condizione inderogabile il fatto di andare a produrre da loro. Ma ogni caso singolo è un caso a sé».

È possibile che la Svizzera venga risparmiata dai dazi USA?
«Trump vorrebbe negoziare nazione per nazione, ma ciò non è formalmente possibile ad esempio con l’Unione europea. Siccome la Svizzera non ne fa parte, è chiaro che potremmo essere chiamati a sederci con gli americani e discutere. Tanto più perché il saldo della bilancia commerciale fra Stati Uniti e Svizzera è a nostro favore. Io credo che come paese che esporta principalmente nell’Unione europea dobbiamo prima di tutto temere gli effetti indiretti sulla nostra economia di dazi applicati all’UE. La Svizzera ha comunque qualche carta in mano da giocare nelle discussioni con gli Stati Uniti. Le aziende svizzere danno lavoro direttamente negli USA a oltre 300.000 persone e sono uno dei più importanti investori negli Stati Uniti. Qui esportiamo principalmente prodotti farmaceutici e alta tecnologia, nonché prodotti del lusso come gli orologi. Sono prodotti di cui l’economia americana ha bisogno oppure che i consumatori statunitensi vogliono. Dunque, non dico che possiamo dormire sonni tranquilli, dico piuttosto che la nostra dimplomazia politica e commerciale deve giocare bene le carte che ha in mano. Quello che però ci deve preoccupare è quanto sta dietro questa politica dei dazi: dal punto di vista commerciale il vero obiettivo di Trump è colpire la Cina, mentre che nei confronti dell’Europa il tema è forse quello di indebolire l’euro. Più in generale, il vero problema di Trump è ridurre l’enorme debito pubblico e avere i mezzi per ridurre le tasse, ciò che ha promesso in campagna elettorale. A ciò si deve aggiungere la guerra in atto sul fronte delle monete digitali. Trump punta sullo sviluppo delle criptovalute e teme l’euro digitale in cantiere nel continente europeo. E’ una guerra in divenire di cui non conosciamo ancora tutti i possibili effetti».

Un eventuale (ma quasi certo) provvedimento sull’Europa come impatterebbe sul settore dell’industria ticinese? Paradossalmente, la Svizzera potrebbe beneficiarne?
«La Svizzera non ha interesse a che soprattutto l’industria europea, di cui siamo fornitori, si indebolisca. Abbiamo inoltre bisogno che l’economia tedesca torni a correre come faceva fino a prima della guerra in Ucraina. Negli ultimi quindici anni la Svizzera ha saggiamente promosso una politica di accordi di libero scambio con aree del mondo al di fuori dell’Europa che ha ridotto almeno in parte la nostra dipendenza da questo continente. Dobbiamo continuare su questa strada pur consapevoli che l’Europa resterà il nostro principale partner commerciale».

Per quanto il margine di azione sia ridotto, come intende muoversi AITI?
«Per noi è importante segnalare quello che succede in Ticino alle organizzazioni economiche nazionali di cui facciamo parte e che discutono la situazione con il Consiglio federale e la politica nazionale, puntando al miglioramento delle condizioni quadro in cui opera la nostra economia. Nel caso specifico, ad esempio, per noi è importante che la Svizzera possa negoziare con successo un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Infatti, è l’unico importante partner commerciale del nostro paese con cui non abbiamo un accordo di questo genere».

Una sorta di legge del taglione commerciale, pensata per pareggiare i conti con i Paesi che impongono tasse sui beni americani. Del tipo, «se loro ci tassano, noi tassiamo loro allo stesso modo». Nel mirino c’è l’Unione europea (ma non solo), che «non tratta bene gli Stati Uniti sul commercio», ha ribadito dallo Studio Ovale Donald Trump annunciando, negli scorsi giorni, i dazi reciproci che saranno imposti «Paese per Paese», a partire da quelli con cui gli Stati Uniti hanno il maggiore deficit commerciale. Una leva, oltre che commerciale, anche politica, come accaduto con Messico e Canada, i cui dazi sono stati ritirati dopo aver ottenuto le garanzie sul tema fentanyl. I «dazi reciproci» di Donald Trump potrebbero scattare il 2 aprile. Nel frattempo, il tycoon ha invitato i funzionari della Casa Bianca a trattare con i Paesi partner. Di certo, la mossa di Trump – come ha fatto notare martedì all’Europarlamento l’ex presidente della BCE, Mario Draghi – «reindirizzerà la sovraccapacità cinese verso l’Europa, colpendo ulteriormente le imprese europee. In effetti, le grandi aziende dell’UE sono più preoccupate da questo effetto che dalla perdita di accesso al mercato». Intanto, dopo aver annunciato l’aumento dei dazi al 25% su acciaio e alluminio in entrata, Trump ha affermato martedì che probabilmente imporrà tariffe sulle importazioni di automobili, semiconduttori e prodotti farmaceutici pari a circa il 25%, e che l’annuncio avverrà già il 2 aprile. Una mossa che rappresenterebbe un drammatico ampliamento della guerra commerciale del presidente. I dazi su questo genere di prodotti, ha aggiunto Trump, aumenteranno nel corso dell’anno. Trump ha affermato di voler dare alle aziende «il tempo di intervenire». «Se arrivano negli Stati Uniti e aprono qua un loro stabilimento non ci saranno tariffe doganali, quindi vogliamo dare loro una piccola possibilità», ha detto ancora il presidente.