Attualità

L'incredibile attualità di «Munich», film di Steven Spielberg

Uscito nel 2005, è incentrato sulla risposta di Israele all'attacco terroristico di Settembre Nero alle Olimpiadi del 1972 a Monaco – È una pellicola intrisa di dilemmi etici e morali, ma anche di concetti come vendetta e giustizia
© KEYSTONE
Marcello Pelizzari
16.10.2023 10:00

«Per ogni civiltà arriva il giorno in cui è necessario scendere a compromessi con i propri valori». È, questa, la frase cardine di Munich. Quella che, più di tutti, inquadra i dilemmi morali. E quelli etici. Film del 2005, diretto da Steven Spielberg, Munich è incentrato sulla risposta, cupa e violenta, del governo israeliano all'incursione dei terroristi palestinesi di Settembre Nero alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Un'incursione che si tradusse nella morte di undici atleti israeliani. Innocenti. A pronunciare quella frase, nella pellicola, è il primo ministro dello Stato Ebraico, Golda Meir, durante una riunione di emergenza con i membri del suo gabinetto e i capi militari.

Uscito, oramai, quasi vent'anni fa, Munich è invecchiato – purtroppo, verrebbe da dire – benissimo. È uno dei film, assieme a Valzer con BashirParadise Now, ma anche alla serie Fauda, che consente un accesso allo stesso tempo profondo e immediato al conflitto israelo-palestinese. E che potrebbe darci un'idea della risposta, attuale, del governo e dell'esercito di Israele all'attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre scorso. Un'idea, altresì, in merito alla sua portata e alle conseguenze che potrebbe generare. In Munich, detto dei dilemmi etici e morali, la risposta di Israele aveva un obiettivo: non mostrarsi deboli. Agli occhi dei palestinesi e, allargando il campo, del mondo. «Questa gente ha giurato di distruggerci» ripete Golda Meir nel film. Come un mantra. «Dimenticate la pace, per ora. Dobbiamo dimostrare loro che siamo forti». Aprendo, inevitabilmente, a nuovi conflitti interiori: fino a che punto può spingersi uno Stato? Fino a dove, volendo parafrasare David Grossman, è lecito parlare di risposta e quando, invece, a prendere il sopravvento è soltanto la sete di vendetta? Citiamo, di nuovo, Golda Meir nel film: «Ditemi voi quale legge protegge persone come queste. Oggi sento con orecchie nuove».

Evidentemente, volendo tracciare un parallelismo con i fatti di oggi si può dire che Israele ascolti con orecchie nuove. Nonostante, appunto, Israele viva nel terrore e al suono delle sirene da decenni. Da sempre, oseremmo dire. E nonostante, a sua volta, abbia sbagliato. Grossman, sempre lui, ha criticato più volte il fatto che lo Stato Ebraico abbia occupato e continui a occupare territori palestinesi. La fine dell'occupazione, in questo senso, potrebbe essere un punto di partenza per risolvere, una volta per tutte, una vicenda ritenuta irrisolvibile. Perché legata a doppio filo a componenti religiose e politiche. E a una violenza diventata, ahinoi, sistemica con il passare degli anni. Munich, al riguardo, è tremendamente centrato. Non racconta soltanto i sentimenti degli agenti del Mossad, guidati dal tormentato Avner Kaufmann. No, racconta anche di un conflitto perenne. Privo di soluzioni facili o scorciatoie. 

Il film di Spielberg, forse uno dei suoi lavori migliori, non lascia spazio ai dubbi: sì, nel complesso olimpico, oltre cinquant'anni fa mentre scriviamo queste righe, vennero commesse delle atrocità inaudite. E sì, secondo il regista bene fece il Mossad a reagire in quel modo. Nel mezzo, però, lo spettatore finisce quasi per simpatizzare con le vittime designate dal commando israeliano. Prendete il primo nome della lista, il traduttore e poeta palestinese Wael Abdel Zuaiter. La scena architettata da Spielberg è terribile. L'uomo, fra le altre cose portavoce dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina in Italia, viene intercettato in un condominio a Roma. I due agenti del Mossad estraggono le pistole, affrontano il vecchio, disorientato e spaventato, gli strappano risposte confuse. Quindi, scaricano i colpi. La scena, insomma, ci riconsegna dei cattivi normali. Umani, quasi. Tant'è che, apparentemente, riesce difficile collegare queste persone alle atrocità di Settembre Nero.

È, dunque, l'ambiguità morale a guidare chi guarda Munich. Dall'inizio alla fine. Dalla prima all'ultima vittima. Un'ambiguità difficile, difficilissima da affrontare per Avner e i suoi compagni. Considerando anche che questi agenti sono mossi pure da alcuni principi religiosi. Non a caso, l'operazione viene denominata Ira di Dio. Anche nella realtà era stata chiamata così. «Tutto questo sangue ricadrà su di noi» dice a un certo punto Robert ad Avner. Il quale risponde: «Vinceremo un giorno. Ci metteremo anni ma li sconfiggeremo». Ancora Robert: «Noi siamo ebrei, Avner. Non facciamo del male perché lo fanno i nostri nemici». Seconda risposta di Avner: «Non possiamo più permetterci di essere tolleranti». Stoccata di Robert: «Non so se siamo mai stati tanto tolleranti. Patire mille anni di odio non fa diventare tolleranti, però dovremmo essere giusti. Questo è bellissimo, questo è essere ebrei. È questo che sapevo, che mi è stato insegnato. E adesso lo sto perdendo. E se lo perdo, questo, questo, questo è tutto. È la mia anima».

Spielberg, scusate la spoilerata, non ci dice chiaramente quale sarà il destino di Robert. Non sappiamo, come spettatori, se si faccia esplodere per caso o perché voleva uccidersi. Sia quel che sia, il regista aveva fatto capire, senza mezzi termini, che in ogni caso gli sarebbe rimasto poco, pochissimo per cui vivere. Spielberg aveva affrontato tematiche simili in Salvate il soldato Ryan, anno di grazia 1998. Chiedendosi, ad esempio, quante vite valesse la pena sacrificare per salvarne una. Troppe? Dipende dai punti di vista. 

Resta una domanda, di fondo. Inevasa, pensando al film ma anche ai fatti recenti. I terroristi hanno mai sofferto o soffrono di simili crisi di coscienza? Certo, è paradossale pensare che Munich sia allo stesso tempo un film di conflitti interiori e una dichiarazione, risoluta, per l'azione concreta. In quello che potremmo definire un inquietante easter egg, con le Torri Gemelle di New York immortalate nell'ultima sequenza della pellicola, Munich e Spielberg ci ricordano, infine, che viviamo tutti nello stesso mondo. E che il male, in fin dei conti, non si cancella. Di certo, non con altro male.

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