L’inflazione bassa è un vantaggio anche sul versante della crescita

Se la Svizzera è riuscita ad esaurire il recente ciclo di rialzo dei tassi in soli ventun mesi, è anche perché il sistema Paese è da molto tempo vaccinato contro l’inflazione alta. L’annuncio sulla riduzione del tasso guida dall’1,75% all’1,50% da parte della Banca nazionale svizzera (BNS), lo scorso giovedì, suona come una conferma del fatto che il sistema elvetico è calibrato per tenere a bada il rincaro. Analogamente a quanto accaduto durante la pandemia con il rapido sostegno pubblico all’economia – possibile perché lo stesso sistema ha tenuto i conti pubblici in ordine – anche nella lotta all’inflazione è emerso che il terreno elvetico è produttivo perché è già ben arato.
La battaglia
La lotta contro il rincaro non è ancora completata, e la BNS farà bene a vigilare per poter scongiurare nel caso eventuali ritorni di fiamma, ma indubbiamente in Svizzera si è più avanti rispetto alla gran parte dei Paesi sviluppati, tanto da poter iniziare le riduzioni del tasso guida in anticipo. La volontà di tenere l’inflazione molto bassa fa parte del bagaglio svizzero ed è uno dei punti di forza del sistema rossocrociato. Occorre ricordare che l’inflazione alta è uno dei problemi maggiori per un’economia e per un Paese più in generale. Il rincaro erode il potere d’acquisto e crea incertezze nei consumi. Si tratta in un certo senso della tassa più ingiusta, perché colpisce in misura maggiore i redditi medi e bassi. Ma anche negli investimenti l’inflazione fa aumentare le incertezze, perché prezzi e valori cambiano in modo sensibile e ciò frena le decisioni di chi deve mettere soldi in questo o quel settore. Inoltre, non da ultimo, obbliga ad alzare i tassi di interesse. L’inflazione elevata non favorisce una crescita economica solida, al contrario la ostacola seriamente.
Secondo il Fondo monetario internazionale, le economie avanzate (una quarantina nell’analisi dell’FMI) tra il 2005 e il 2014 hanno registrato una media di inflazione annua pari all’1,9%; nello stesso arco di tempo la media della Svizzera è stata dello 0,5%. Inoltre, tra il 2015 e il 2023 l’inflazione elvetica è stata in ogni annata inferiore alla media delle economie avanzate. Da notare tra l’altro che in questi ultimi nove anni la Svizzera ha registrato solo tre volte una media annua in deflazione, cioè con una diminuzione dell’indice dei prezzi al consumo; per quattro volte ha invece registrato un’inflazione inferiore all’1% e per due volte un rincaro tra il 2% e il 3%. Questi ultimi due casi si sono prodotti nel 2022 e nel 2023, in coincidenza con l’onda mondiale di inflazione; proprio in questi due anni la BNS ha attuato cinque aumenti del tasso guida, per riportare il rincaro nella fascia-obiettivo 0%-2%.
Deflazione, la narrazione
Per molto tempo la narrazione prevalente a livello internazionale ha indicato la deflazione come il vero nemico, in quanto una diminuzione generalizzata dei prezzi avrebbe messo in crisi molte imprese, che a loro volta avrebbero ridotto l’occupazione e dunque colpito i consumi. A questo, è stato spesso affermato, si sarebbe aggiunto il freno dovuto al rinvio degli acquisti, in attesa di prezzi ancora minori. Ma una spirale deflazionistica di questo tipo in realtà in questi decenni non si è vista (forse solo il Giappone tra le economie maggiori l’ha in parte sperimentata). Ci sono stati invece in alcuni casi solo brevi passaggi nel segno negativo per i prezzi, con una tendenza di fondo che è rimasta per anni chiaramente ad un’inflazione bassa. Il prevalere di un allarme eccessivo sulla deflazione ha contribuito al ritardo con cui le banche centrali sono arrivate alla lotta contro il rincaro. L’inflazione alta, come si è visto, era in agguato e gli istituti centrali hanno dovuto poi accelerare il passo per combatterla.
Le prospettive
Nel febbraio di quest’anno l’inflazione è stata del 3,2% negli USA, del 3,4% nel Regno Unito, del 2,6% nell’Eurozona. Siamo ben sotto i picchi del 2022-23, ma le banche centrali si battono per riportare il rincaro medio annuo al 2%. Sono vicine al successo – tra l’altro ottenuto senza aver provocato una recessione internazionale - e ci si aspetta che nei prossimi mesi anch’esse taglino i tassi. Se poi l’inflazione più avanti scendesse anche sotto il 2%, non ci sarebbe per la verità da dispiacersi. Non ha sufficienti dimostrazioni la teoria secondo cui per la crescita ci vuole almeno il 2%. È invece dimostrato che Paesi con l’inflazione sotto il 2%, come la Svizzera, hanno spesso un’economia solida. Il rincaro elvetico è stato dell’1,2% in febbraio e la BNS prevede che sia dell’1,4% per la media annua del 2024, per poi scendere all’1,2% nel 2025 e all’1,1% nel 2026. Se così sarà, si tratterà ancora una volta di un bene.
BoE e Fed le prime ad attuare aumenti e dalla BNS ora l’inizio delle riduzioni
Tra le maggiori banche centrali, è stata la Bank of England (BoE) a cominciare le raffiche di aumenti dei tassi di interesse, nel dicembre del 2021. Il tasso di riferimento sulla sterlina fu portato dallo 0,10% allo 0,25%. Dopo quattordici incrementi distribuiti in ventun mesi, il tasso guida britannico è arrivato nel settembre 2023 al 5,25%, dove ancora si trova. La BoE ruppe per prima gli indugi dopo aver atteso per mesi insieme alle altre banche centrali un rientro del rincaro che in quella fase non ci fu.
Le cifre
L’inflazione nel Regno Unito secondo l’indice CPI era salita sino al 5,4% del dicembre 2021. Ma il picco lo raggiunse nell’ottobre del 2022, con un sonoro 11,1%; l’onda d’inflazione provocata soprattutto dal post pandemia e poi dall’invasione russa dell’Ucraina si era alzata e contrastarla a quel punto richiedeva tempo. Gli effetti anti inflazione degli aumenti dei tassi non si manifestano infatti immediatamente. Il calo graduale del rincaro ha poi permesso al Regno Unito di arrivare sino al 3,4% del febbraio 2024. Ora analisti ed operatori si attendono che la BoE inizi a tagliare i tassi nei prossimi mesi.
La Federal Reserve (Fed) americana ha cominciato gli aumenti del tasso guida sul dollaro nel marzo 2022, con un rialzo dallo 0,25% allo 0,50%. Dopo undici rialzi durante diciotto mesi, la Fed è arrivata ad un tasso del 5,50% nel luglio 2023, dove ancora è. Nel momento in cui la Fed ha varato il primo rialzo, l’inflazione era all’8,5%. Il picco negli USA fu toccato nel giugno dello stesso anno, con un 9,1%. C’è stata poi una discesa graduale, che ha portato il rincaro USA al 3,2% del febbraio di quest’anno. Le previsioni della gran parte degli analisti e indicano che nei prossimi mesi i tagli al tasso guida americano diventeranno realtà.
La Banca nazionale svizzera (BNS) ha preceduto l’istituto centrale dell’Eurozona ed ha fatto il primo aumento nel giugno 2022, portando il tasso guida sul franco da -0,75% a -0,25%. In quel momento l’inflazione elvetica era al 3,4%; due mesi più tardi, in agosto, toccò poi il picco del 3,5%. Dopo cinque aumenti nell’arco di dodici mesi, sino all’1,75%, la BNS si è messa in posizione di stallo ed ha quindi iniziato per prima nei giorni scorsi la riduzione del tasso guida, che è ora all’1,50%. Gli operatori si attendono altri tagli nella prossima fase. La discesa passo dopo passo dell’inflazione ha portato in Svizzera ad una percentuale dell’1,2% nel febbraio di quest’anno.
La Banca centrale europea (BCE) ha dato il via al primo aumento del tasso guida sull’euro nel luglio del 2022 – quattro mesi dopo la Fed e un mese dopo la BNS – portandolo dallo 0% allo 0,50%. Con dieci rialzi attuati in un arco di tempo di quattordici mesi, il tasso guida è salito sino al 4,5%, dove ancora si trova. L’inflazione nell’Eurozona al momento del primo aumento era all’8,9%; il picco ci fu nell’ottobre dello stesso anno, con un preoccupante 10,6%. Con la discesa graduale poi registrata, il rincaro dell’area euro è sceso progressivamente sino al 2,6% archiviato nel febbraio 2024. Anche per la BCE le aspettative del mercato sono ora di tagli al tasso guida nei prossimi mesi.
Gli obiettivi
I maggiori istituti centrali sono arrivati in ritardo, alcuni di più e altri di meno, agli aumenti dei tassi, perché sino all’ultimo hanno sperato che l’inflazione alta fosse temporanea. Dopo anni di timore di deflazione, cioè di diminuzione persistente dei prezzi, le banche centrali hanno fatto fatica ad interpretare la fase. Inoltre, l’obiettivo degli istituti centrali era di non contribuire con gli aumenti ad una recessione internazionale. Non è andata così, come si è visto, e il rallentamento economico mondiale non si è trasformato in recessione. Alla fine del 2023 i Paesi in recessione erano molto pochi. Ora l’obiettivo di Federal Reserve, Banca centrale europea, Bank of England rimane un’inflazione media annua del 2%, mentre l’obiettivo della Banca nazionale svizzera resta un rincaro medio annuo nella fascia 0%-2%.