L'Irlanda ha un nuovo premier

L'Irlanda ha un nuovo primo ministro (Taoiseach, in lingua gaelica) dopo l'annuncio delle dimissioni a sorpresa il 19 marzo di Leo Varadkar, 45 anni, da 7 anni al vertice del paese. È Simon Harris, finora ministro dell'istruzione, che a 37 anni gli sottrae il record di più giovane capo del governo della storia nazionale.
La conferma di Harris è stata suggellata dallo scontato voto odierno del Dail, il Parlamento monocamerale di Dublino, riconvocato dopo la pausa di Pasqua. Con l'accordo di maggioranza confermato fra Fine Gael e Fianna Fail, le due storiche forze dominanti rivali del centro-destra irlandese, e la stampella dei Verdi.
Si è trattato di un passaggio automatico e privo di suspense (88 voti a favore della fiducia, 69 contro) dopo che Harris era già subentrato il 24 marzo in veste di candidato unico a Varadkar alla leadership di partito del liberal-conservatore Fine Gael: formazione a cui le intese che hanno dato vita alla coalizione in carica assicurano la guida del governo in base a una staffetta. L'insediamento formale è previsto nel pomeriggio di fronte al presidente della Repubblica, Michael D Higgins.
Il premier uscente ha introdotto il dibattito rivendicando l'eredità del suo governo fra gli applausi degli alleati - tra l'altro in materia di impegni nella lotta ai cambiamenti climatici - e indicando l'Irlanda come «un grande Stato». Ma ha pure ribadito di non ritenersi più l'uomo giusto per il futuro, affidando a Harris «l'inizio di una nuova era» e promettendo di sostenerlo. Quest'ultimo ha da parte sua evocato un rilancio dell'azione di governo, senza negare i problemi da affrontare (a partire dalla promessa di un piano contro la carenza di alloggi) e sottolineando le sue radici di figlio di tassista, cresciuto in una famiglia della «working class».
Deputato dal 2011, a nemmeno 25 anni, Harris ha ricoperto dal 2016 vari incarichi governativi. La sua ascesa appare in realtà un compromesso fra la continuità con la stagione di Varadkar - primo premier gay e figlio di padre immigrato dell'Irlanda, capace di coniugare politiche moderate rassicuranti per l'establishment con accelerazioni sui diritti civili in una società ormai profondamente secolarizzata - e l'esigenza (anche pre-elettorale in vista delle europee di maggio come del voto politico del 2025) d'una immagine di ricambio generazionale.
Il tutto sullo sfondo di problemi sociali irrisolti sull'isola e malumori crescenti alimentati dal tradizionale neutralismo irlandese in nome di un disallineamento più netto del Paese - membro dell'Ue, non della Nato - da certe posizioni occidentali sulla guerra tra Russia e Ucraina o, più ancora, sul conflitto israelo-palestinese: istanze cavalcate in particolare dallo Sinn Fein, storico partito nazionalista e di sinistra radicale divenuto per la prima volta forza di maggioranza relativa a Dublino alle elezioni del 2020, e la cui leader, Mary Lou McDonald, è tornata a invocare elezioni anticipate affinché sia «il popolo a decidere» su «un cambiamento vero». Elezioni anticipate che tutti gli esponenti di maggioranza hanno invece escluso, sostenendo che «nessuno è pronto» e che c'è ancora «del lavoro da fare».