Locarno e la gatta (nera) sul palco che scotta

NELLA GABBIA DEL PARDO - Incontro con la procuratrice Fiorenza Bergomi
Fiorenza Bergomi
Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
09.08.2016 02:05

LOCARNO - Nella prosaica realtà di tutti i giorni è lei a mettere in gabbia le persone, quelle che non rispettano le regole dell'umana convivenza. E a fare le domande. Qui a Locarno, nella fiction festivaliera, è invece lei a finire nella gabbia del Pardo. E a dover rispondere. Le tocca. Fiorenza Bergomi, sessantottina (per anno di nascita, s'intende), era municipale a Mendrisio quando nel 2001 divenne procuratrice pubblica. Una momò trapiantata a Lugano. Lavoratrice, tosta, positiva verso la vita. E precisina, al limite della pignoleria. Per questo la sua lingua preferita è quella di Goethe. E dunque a Locarno si trova a suo agio. Segno zodiacale: bilancia. «Giustizia, equità», precisa subito la pp.

L'appuntamento è per le 17 di domenica al Bar Magnolia. Arriva puntualissima. «Professionalmente – afferma – essere precisi è fondamentale; nel privato può essere difficile per chi ti sta vicino». Un difetto? «Può diventarlo. Ma non credo di essere a questo punto. La mancanza di precisione negli altri può invece creare problemi». Vedremo allora di essere precisi nel fare la cronaca di questa giornata pardata con la procuratrice in libera uscita estiva e festiva: non si sa mai. Si comincia dal vestito. In tinta con i colori del pardo. Ma pardo non è. Gatti neri su sfondi gialli. «È una gatta nera». Fiorenza Bergomi mette i puntini sulle i. La mente cinematografica corre al capolavoro di Richard Brooks tratto dal dramma di Tennessee Williams, con la Taylor e Newman. Qua e là, sulla stoffa dell'abito, un gatto seminascosto si allunga alle spalle della gatta. Potrebbe essere un pardo in ombra. Chissà. L'ospite non svela eventuali simbologie o messaggi subliminali. L'attende il nostro fotografo.

Un agente rigoroso ma comprensivo concede l'accesso al palco. È un pomeriggio di fuoco. Trenta gradi, il sole picchia, il bianco del megaschermo acceca, le settemila sedie gialle e nere aspettano il pubblico della sera. «Quando è stufa me lo dica», le dice rispettoso il fotografo. «No, mi dica lei: io mi diverto come una matta». Quello è un palco che scotta. In senso reale e figurato. Resta visibile la zampata nera sul bianco dello schermo lasciata dall'attaccabrighe avvinazzato che sabato notte voleva sfogare la sua frustrazione incendiando tutto. Metaforicamente, il palco ha alimentato negli anni polemiche anche roventi. L'edizione 2016 finora ha mantenuto la temperatura sotto il livello d'allarme. Ma la chiusura è lontana.

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