Il profilo

L'ultima sfida di Vladimir Putin

Il leader del Cremlino ha appena annunciato che nel 2024 cercherà un nuovo mandato – Il conservatorismo, il confronto con l'Occidente e la «battaglia esistenziale» in Ucraina: ecco che Russia potremmo vedere nei prossimi sei anni
© Sputnik
Marcello Pelizzari
12.12.2023 15:00

Nessuna sorpresa, anzi. Il colpo di scena, se così vogliamo definirlo, era ampiamente studiato. Vladimir Putin, l'anno prossimo, cercherà un quinto mandato presidenziale. Al potere da oltre vent'anni, lo zar di fatto non avrà rivali: giusto un manipolo di sfidanti rigorosamente scelti dal Cremlino. La censura dettata dalla guerra in Ucraina e l'annullamento, sistematico, dell'opposizione liberale hanno fatto il resto. Dunque? Che cosa dobbiamo aspettarci? Soprattutto, che Russia sarà nei prossimi sei anni?

Gli esperti, al riguardo, concordano: conservatorismo e allontanamento dall'Occidente da un lato, ferma volontà di congelare la guerra in Ucraina per tutto il tempo necessario dall'altro. Putin, d'altro canto, può contare su dati economici apparentemente solidi e, di riflesso, su una narrazione inscalfibile. Sebbene il conflitto, proprio il conflitto, rappresenti un serio rischio per la stabilità del Paese sul lungo periodo. Putin ha scelto gli interni dorati e imperiali del Cremlino per annunciare che sì, scenderà in campo. Ha scelto, soprattutto, di affidare ad Artyom Zhoga, un separatista del Donetsk a capo del Parlamento dell'autoproclamata Repubblica, il compito di «spronare» il presidente. Uno stratagemma elettorale bello e buono. 

L'obiettivo di superare l'80%

In realtà, detto della messinscena orchestrata per far sembrare che la decisione di Putin sia arrivata all'ultimo momento utile, il Cremlino sta preparando la campagna elettorale del suo leader da un anno oramai. Gli stessi media russi, nel corso dei mesi, hanno lanciato più di un segnale in questo senso. In estate, per contro, Dmitry Peskov aveva dichiarato che Putin avrebbe vinto con agio le presidenziali del 2024. Il portavoce del Cremlino, tuttavia, aveva ribadito altresì che l'uomo forte del Paese non aveva ancora deciso se candidarsi o meno.

Detto dei giochi politici, l'obiettivo più o meno dichiarato di Putin è vincere con oltre l'80% dei voti. Una performance che gli permetterebbe di superare la performance del 2018. D'accordo, ma come arrivare a una simile percentuale? Funzionari del Cremlino, scrive il Moscow Times, sono stati visti a eventi con i capi delle commissioni elettorali regionali. Come se volessero gettare le basi per l'ennesimo sprint del presidente. Putin, dal canto suo, verosimilmente pubblicherà lunghi editoriali sui quotidiani più in vista del Paese e si esporrà in prima persona ai grandi raduni e concerti. Quelli, per intenderci, in cui si esibiscono musicisti pro-Cremlino e con migliaia di impiegati statali sugli spalti. Il grosso della campagna, però, verrà gestito dalla squadra. 

L'orso russo e le maschere

La ri-candidatura di Putin assomiglia, quasi, alla chiusura di un cerchio. Dieci anni fa, infatti, sul finire delle Olimpiadi di Sochi – l'evento attraverso cui il leader del Cremlino ha cercato, in parte perfino ottenuto, l'approvazione dell'Occidente e del mondo – la Federazione Russa ha annesso illegalmente la Crimea. Dando avvio, di fatto, alla questione ucraina sfociata dapprima nel controllo del Donbass e poi, quasi due anni fa, in un'invasione vera e propria su larga scala. All'epoca, ricordiamo un Sergey Bubka al seguito della delegazione olimpica ucraina costretto ai salti mortali (lui che per mestiere saltava con l'asta) per mantenere un minimo di diplomazia in un momento tremendamente delicato.

Lo stesso Putin, prima, durante e dopo i Giochi, ha mostrato più di una faccia. Si è dipinto come un politico illuminato, assicurando ai giornalisti occidentali presenti che il Paese avrebbe perseguito un percorso democratico e una politica estera pacifica. Respingendo, fra le altre cose, l'accusa di essere un «orso russo che indossa una maschera con un sorriso». E abbracciando la narrazione del presidente buono, gentile e liberale. Un presidente che nessuno avrebbe dovuto temere. Ha pure insistito sul fatto che la legge passata alla storia come «legge anti-gay», poi rivista e allargata negli anni, in realtà non violasse i diritti delle persone LGBTQ+. 

In questi ultimi dieci anni, culminati appunto con la guerra lanciata in Ucraina, Putin ha distrutto l'opposizione liberale o, nella migliore delle ipotesi, costretto alla fuga i suoi oppositori. Non solo, le autorità russe hanno dichiarato come «estremista» il movimento internazionale LGBTQ+ ponendo non pochi problemi alle organizzazioni locali, per tacere delle restrizioni all'aborto inasprite, questo autunno, in molte regioni. Tutto, a detta degli analisti, pur di radunare la fetta più conservatrice di elettorato attorno al proprio totem.  

L'economia di guerra

A proposito di narrazione, Putin ha insistito e sta insistendo, in vista del 2024, sul confronto fra Russia e Occidente. E sulla necessità, da parte di Mosca, di difendersi dalla presunta influenza occidentale sulle tradizioni russe. Il nemico, agli occhi del leader del Cremlino, sta cercando di distruggere concetti come la famiglia tradizionale, la fede e l'orgoglio russo. Conservatorismo, già. Cui affiancare la guerra in Ucraina o, come racconta al Moscow Times Oleg Ignatov, analista senior dell'International Crisis Group, la glorificazione della cosiddetta battaglia esistenziale e, infine, l'economia russa capace di resistere alle sanzioni occidentali. 

Putin, come detto, intende congelare il conflitto e tentare, una volta di più, di spezzare il consenso anti-russo fra gli alleati di Kiev. Per arrivare, infine, a negoziare un termine della guerra. Alle condizioni del Cremlino, però. Una negoziazione che, stando agli analisti, comprenderebbe non solo l'Ucraina ma l'intero universo post-sovietico. 

Quello che Putin sta ignorando, consapevolmente ignorando, è che Mosca oramai è passata a un regime di economia di guerra. Ovvero, la spesa militare ha ampiamente superato quella sociale. Con tutte le conseguenze del caso, soprattutto quando il conflitto terminerà e la domanda militare crollerà. È verosimile, al riguardo, pensare che il Cremlino posticiperà le decisioni impopolari, come fu nel 2018 la riforma delle pensioni. Della serie: prima l'elezione, poi la dura verità dei fatti.