Società

L’ultima sigaretta si allontana: ora in Svizzera si fuma di più

Dopo 12 di anni di calo ininterrotto è tornata a salire la curva del consumo di tabacco nella Confederazione - Nel 2020 venduti 9,6 miliardi di pezzi, con un aumento dell’8% rispetto al 2019 - Dal 1996 il prezzo medio del pacchetto è passato da 3,70 a 8,60 franchi
Monica Dubini nel suo negozio di Chiasso: aperto 72 anni fa, è uno dei pochi rimasti nella cittadina di confine. ©Cdt / Chiara Zocchetti
Dario Campione
12.04.2021 06:00

Dopo 12 anni di calo ininterrotto, l’anno scorso in Svizzera la curva del consumo di sigarette è tornata a crescere. E anche in modo considerevole. Probabilmente al di là di ogni possibile previsione.

Nel 2019, infatti, la vendita di bionde nella Confederazione si era fermata a 8,9 miliardi di pezzi. Dodici mesi dopo sono stati superati i 9,6 miliardi, con un incremento che sfiora l’8%. Qualcuno sostiene che l’inversione di tendenza sia da attribuire in gran parte alla pandemia. Ad esempio, la Fondazione Dipendenze Svizzera, che nel suo rapporto 2021 ha collegato lo stress e l’ansia legati al coronavirus a un generale incremento del consumo di sostanze che creano dipendenza, sigarette comprese. Durante e dopo il lungo lockdown, una buona percentuale di consumatori regolari di tabacco avrebbe aumentato il numero di sigarette fumate, fino al 15% in più del solito.

Altri sono convinti che alla base di questo «passo indietro» ci sia, invece, la scarsa attenzione dedicata dalle autorità federali al problema del tabagismo. Nel suo ultimo report sul consumo di tabacco nel Vecchio Continente, L’Associazione delle Leghe Europee contro il Cancro pone la Svizzera al penultimo gradino della classifica delle nazioni più virtuose: 35.ma, davanti soltanto alla Germania.

Il giudizio espresso dagli estensori del documento è molto duro: «La Svizzera - scrivono - è la patria delle compagnie internazionali del tabacco e ha una debole legislazione sulla pubblicità del fumo; è l’unico Paese europeo che non ha ratificato la Convenzione quadro dell’OMS sul controllo del tabacco. Dal 2017, il Consiglio federale non ha più la competenza per aumentare le tasse sulle sigarette. L’ultima volta che lo fatto (10 centesimi) è stato nel 2013. Un aumento è così possibile soltanto quando le aziende del tabacco ritoccano il loro prezzo e, quindi, i loro profitti. La Svizzera sembra essere più interessata al benessere delle aziende produttrici di tabacco rispetto alla salute dei suoi cittadini».

L’andamento dei prezzi

E in effetti, osservando i grafici pubblicati sul sito dell’Amministrazione federale delle dogane, competente per legge sull’applicazione delle imposte sulle sigarette, si può osservare come dal 2014 il prezzo medio delle bionde sia salito soltanto di 20 centesimi a pacchetto, da 8.40 a 8,60 franchi. È pur vero che la Svizzera rimane uno dei Paesi europei in cui fumare costa molto: il 32% in più, ad esempio, rispetto alla media dei 28 Stati dell’Unione. Tuttavia, in nazioni come Islanda o Norvegia, dove le azioni di contrasto al tabagismo hanno ricevuto una spinta fortissima, se si passa dal tabaccaio si spende quasi il doppio.

Ciò che fa veramente la differenza è la politica fiscale. Nell’ultimo piano di lotta contro il cancro, la Commissione di Bruxelles ha sottolineato il «ruolo centrale della tassazione per ridurre il consumo di tabacco e dissuadere i giovani dal fumare». Il numero elevato di tabagisti nell’UE - il 26% dell’intera popolazione adulta e il 29% dei giovani tra i 15 e i 24 anni - continua a essere infatti motivo di grande preoccupazione. Non è un caso, allora, che tra i Paesi membri quasi tutti abbiano un carico fiscale sulle sigarette superiore al 75% (dati Eurostat 2020), con punte del 108,36% in Danimarca e del 90,3% in Finlandia. Soltanto la Germania (68,05%) e il Lussemburgo (69,4%) hanno scelto sin qui di non stringere troppo le maglie sui consumatori.

Politica fiscale debole

In questo quadro, la Svizzera è sicuramente un Paese che adotta una «debole» pressione fiscale sul fumo: il 59,6%, stando ai numeri dello stesso Dipartimento federale delle finanze (DFF). L’Associazione svizzera per la prevenzione del tabagismo ha fatto i conti in tasca alla Confederazione: «Allo scopo di ridurre la domanda di tabacchi, gli aumenti di prezzo dovrebbero farsi sentire nel portafogli. Forti aumenti determinano una diminuzione del consumo, soprattutto fra le persone con un basso reddito. Inoltre, meno ragazzi cominciano a fumare. Se il prezzo di vendita aumenta del 10%, la richiesta diminuisce in media circa del 4%. Dal 2003 a oggi la tassa sul tabacco è stata ritoccata sei volte, per 1,70 franchi in totale». Ma «dal 2003 al febbraio 2014, i colossi del tabacco hanno aumentato la loro quota undici volte in piccoli passi, per un totale di 1,90 franchi. In questo lasso di tempo, il prezzo al dettaglio della marca più venduta è andato per il 53% sul conto dell’industria del tabacco e per il 47% sul conto del Consiglio federale».

La tabella ufficiale dell’evoluzione dei prezzi e dell’imposta sul tabacco in Svizzera dal 1996 al 2019 (fonte DFF,) dimostra in realtà un andamento simmetrico dei due dati: il prezzo medio delle sigarette è passato da 3,70 a 8,60 franchi (+132%); le imposte sono salite da 1,9 a 4,5 miliardi (+136%). Il punto è che questa quota di 4,5 miliardi di franchi è fissa ormai dal 2014. Non ha più subìto alcuna variazione. Nonostante un ritocco potesse servire. Soprattutto per dare una sistemata ai conti dell’AVS. Dato che, pochi forse lo sanno, la quasi totalità delle imposte svizzere sul tabacco (l’88,11%) si riversa completamente nella cassa di AVS e AI.

Una storia conclusa

La Svizzera «Eldorado» delle sigarette, soprattutto per gli italiani, è ormai un ricordo. Monica Dubini gestisce uno dei più vecchi negozi di tabacco a Chiasso. «Trent’anni fa le sigarette si vendevano dappertutto - racconta - adesso pure io ne tengo pochissime». La differenza di prezzo ha ucciso il mercato. «I negozi dei generi di confine non ci sono più da 20 anni: cioccolato, zucchero, dadi, sono tutte cose che adesso costano meno in Italia. In realtà - dice ancora Dubini - fino a 10 anni fa si lavorava comunque. Gli italiani sono scomparsi quando è finito il segreto bancario, è stata quella la botta finale. Vengono ancora, per carità, ma non più come una volta. E comprano soprattutto il tabacco da pipa e i sigari».

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