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L'UNIL innervosisce i manifestanti pro-Gaza: «L’occupazione deve finire»

Questa sera erano previste le negoziazioni tra la direzione dell'ateneo losannese e gli occupanti – Ma la risposta dei vertici dell'UNIL è giunta in forma scritta
© KEYSTONE/ VALENTIN FLAURAUD
Paolo Galli
06.05.2024 20:00

«L’UNIL non può più permettere al collettivo di occupare l’edificio giorno e notte». Ha chiuso così, per ora, la direzione dell’Università di Losanna, la questione dell’occupazione. Una risposta, effettivamente, di chiusura - attenzione, ben lungi dall’essere stata rispettata dai manifestanti -, molto lontana da quella, più conciliante, di giovedì scorso. Da noi contattata, allora, la portavoce dell’ateneo losannese, Géraldine Falbriard, spiegava che «il clima è pacifico e la vita nel resto del campus procede senza problemi». Non sappiamo se il clima sia cambiato, ma qualcosa sì, qualcosa si è rotto. Oppure, forse, la direzione si aspettava che l’occupazione durasse soltanto per il weekend, o che non fosse seguita da tante o tali richieste. Ora, di fatto, l’UNIL ha respinto il principale invito, quello a boicottare le istituzioni accademiche israeliane. Le collaborazioni - ha precisato l’istituzione - non sono in contrasto con la sua missione, che è «la trasmissione della conoscenza basata su metodi critici e rigorosi, il confronto delle idee, la riflessione etica e il rispetto della deontologia scientifica».

«Nessun ricorso alla polizia»

La risposta dell’UNIL è di chiusura, sì, ma con qualche pertugio, qualche piccola apertura. Nulla che abbia soddisfatto gli occupanti. L’ha presa larga, la direzione, perché dapprima si è detta colpita favorevolmente dai toni «pacifici e rispettosi» del collettivo, poi ha ribadito che gli occupanti non verranno sanzionati in alcun modo. Infine, però, pur reiterando «la volontà di evitare il ricorso a un intervento di polizia», ha detto chiaro e tondo che «non può autorizzare ancora a lungo lo stazionamento giorno e notte del collettivo negli edifici pensati per un’attività di ricerca e d’insegnamento». Edifici che non sono a norma per un’occupazione. Poi, sempre la direzione dell’UNIL ha affermato di essere pronta a discutere della «messa a disposizione del collettivo di uno spazio che gli permetta di continuare nella sua azione, nelle ore di apertura degli edifici». Da lì la richiesta allo stesso collettivo di designare una delegazione di sei persone con la quale portare avanti queste discussioni. Il tutto a una condizione, molto chiara, «che il collettivo resti composto unicamente da membri dell’UNIL».

Rischio escalation

Il collettivo ha mostrato nervosismo di fronte alla presa di posizione della direzione. Ha scandito cori che chiamavano in causa il rettore, Frédéric Herman, il quale al contrario di giovedì scorso non si è manifestato. Ma si è espresso con una lettera, appunto con alcune risposte alle rivendicazioni dei manifestanti. Risposte ritenute deludenti e contraddittorie rispetto a quanto lasciato intendere - dal punto di vista degli occupanti - soltanto qualche giorno fa. Come riportato dal Blick, gli attivisti pro-Palestina - in tutta controrisposta - hanno annunciato la volontà di restare nell’edificio Geopolis. E hanno nuovamente invitato la direzione a un confronto diretto, a quello stesso tavolo condiviso giovedì scorso. Appuntamento fissato per oggi alle 18. «Resteremo, non ci muoveremo», ha detto un occupante, la cui affermazione è stata riportata dallo stesso cronista del Blick. Più sfumata la posizione dei professori, anche perché non tutti, come si è capito in questi primi giorni di occupazione «permessa», sono contrari all’occupazione. Anzi, va ricordato come parte del personale dell’UNIL abbia preso posizione, attraverso una lettera - firmata da oltre duecento salariati -, a sostegno degli stessi studenti e degli attivisti impegnati a favore di un immediato cessate il fuoco a Gaza. Il sostegno era riferito anche alla richiesta fatta dal collettivo in merito allo stop alle collaborazioni con le università israeliane. «Come professori e ricercatori, dobbiamo sempre considerare l’integrità morale delle nostre collaborazioni, anche con altre università». Alcuni di loro erano tra i mille e più - si dice 1.300 - presenti questa sera, tra i mille e più che aspettavano l’arrivo del rettore, o di chi per lui. La risposta, anche per loro, è arrivata in forma scritta. E in merito alle collaborazioni, l’UNIL ha puntato sulla piena trasparenza, ricordando che al momento sono in vigore tre accordi con istituzioni accademiche israeliane: uno con l’Ashkelon Academic College e due con l’Università ebraica di Gerusalemme. La direzione ha sottolineato pure: «Il comunicato del collettivo menziona collaborazioni di università svizzere che contribuirebbero allo sforzo di guerra israeliano, nel campo dell’economia e della tecnologia, rispetto all’industria d’armamento. Si constata, con i tre programmi di collaborazione con l’UNIL, che non è il caso». Oltre ai tre programmi, sei progetti di ricerca vedono una collaborazione tra membri dell’UNIL e partner israeliani. L’intenzione, a detta della direzione, è di analizzarli ulteriormente. Insomma, la risposta dell’ateneo c’è stata, ma evidentemente non è stata quella che il collettivo si aspettava. Non dopo giovedì. Non dopo quella prima reazione che - come molti hanno sottolineato - sembrava antitetica rispetto a quella dell’EPFL, il quale dal canto suo aveva mostrato subito il pugno duro. Ora si è giunti a un punto molto complicato, anche perché l’UNIL, pur con le «buone», è stata comunque netta, nell’affermare che non c’è più spazio per l’occupazione. Il rischio di escalation è più che presente.

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