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Ma come sarà l’intelligenza artificiale di Google?

Se Microsoft sembra avere le idee molto chiare sull’integrazione dei chatbot nelle ricerche su Internet, il colosso di Mountain View è più prudente e attendista: colpa degli errori che si riflettono in Borsa?
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Marcello Pelizzari
09.02.2023 09:45

Che Google non voglia perdere la corsa all’intelligenza artificiale, beh, è risaputo. Tuttavia, non è detto che Mountain View riuscirà a seminare, un’altra volta, la concorrenza. Microsoft in primis. I vertici della grande G, al riguardo, si dicono sicuri e fiduciosi. Eppure, l’impressione è che l’imminente rilascio di una versione rinforzata di Bing, il motore di ricerca targato Microsoft appunto, abbia creato grattacapi e nervosismo. In quantità industriali.

Google, come noto, finora ha risposto con moderazione. Annunciando l’ingresso sul mercato di Bard, il rivale di ChatGPT, ma dribblando con un certo imbarazzo i dettagli su come, nel concreto, l’intelligenza artificiale un domani integrerà le ricerche degli utenti. Certo, l’azienda si è accorta che le esigenze di noi utenti, negli anni, sono cambiate. E che, di riflesso, alle «macchine» chiediamo di più. Molto di più. Senza per questo scomodare questioni intime come il senso della vita, va da sé. Google, però, a detta di molti esperti sembra effettivamente indietro rispetto a Microsoft. Possibile? Allo stesso tempo, la partita è ancora aperta e, soprattutto, lunga.

Fra spinte e vantaggi

La spinta verso l’intelligenza artificiale, in effetti, è arrivata da OpenAI, la start-up alla base di ChatGPT nella quale Microsoft, più o meno sin dal principio, ha investito tempo e denaro. ChatGPT, rispetto a software concorrenti, ha avuto il pregio di aprire la generazione di testi al grande pubblico. Creando non pochi interrogativi, tanto etici quanto pratici (come la possibilità per gli studenti di barare a scuola). Di per sé, leggiamo, non è stata una rivoluzione. Se non sul piano della cosiddetta user experience. Tradotto: ChatGPT si è imposta perché semplice da usare, al netto degli errori che ancora compie nel fornire risposte o del sospetto che, ad esempio su Donald Trump, abbia dei preconcetti.

Google, per contro, sembra di indietro di molti passi: rispetto a quanto comunicato finora, infatti, l’impressione è quella di un’azienda ancora alle prese con test e ingegneri. Un’azienda incapace, insomma, di proporre già al pubblico un prodotto. Qualcosa. Lo stesso Bard, costruito sul modello LaMDA di cui avevamo già parlato mesi fa, al momento è accessibile a un numero ristretto di tester. Persone, cioè, che possono provarlo. Quanto a una futura integrazione con il motore di ricerca, per dirla con Liz Reid di Google «ci stiamo lavorando». Ripassare più tardi, ecco.

Confusione ed errori

Google, nello specifico, non sa con esattezza come (e dove) presentare il testo generato dal chatbot nei risultati di ricerca, se e come inserire pubblicità e, infine, come comportarsi con le fonti. Si parla di un ipotetico rilascio nelle prossime settimane. Ma di date precise, ad oggi, non ce ne sono.

Una prima dimostrazione, circa l’integrazione di Bard a Google Search, è stata comunque proposta a media e addetti ai lavori. L’intelligenza artificiale, agli occhi del colosso tech, sarà fondamentale per rispondere a una particolare categoria di domande: NORA, ovvero No Right Answer, traducibile più o meno con «non c’è una sola risposta giusta». Bard, dunque, sarà un complemento alla ricerca classica che restituisce una lunga serie di link.

Mercoledì, a proposito di dimostrazioni, le azioni in borsa di Alphabet, la grande società che controlla Google, sono crollate del  7% in seguito alla scoperta di un errore commesso da Bard in occasione di una presentazione pubblica. L’errore riguardava il James Webb Space Telescope, il più grande telescopio spaziale, e si trovava in uno degli annunci promozionali mostrato lunedì dai responsabili di Google. In un primo momento, è stato notato da vari astronomi e appassionati di Spazio. I quali hanno fatto notare che no, il telescopio in questione non è stato il primo a fotografare di un esopianeta. La primissima immagine in questo senso risale al 2004, come si può leggere sul sito della NASA, circa 18 anni prima che il James Webb gettasse il suo sguardo verso gli angoli più remoti dell’Universo. 

Google, in merito al nervosismo di cui parlavamo a inizio articolo, prova a vedere la metà piena del bicchiere. Bing e Microsoft, innanzitutto, non hanno ancora rubato quote di mercato. E l’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa, come ChatGPT, per le ricerche online solleva ad oggi non pochi dubbi. Parliamo di affidabilità, rapporto costi-benefici, responsabilità anche. Detto in altri termini: non è importante arrivare primi sul mercato, ma arrivarci con un prodotto serio e sicuro. Certo, immaginiamo il fastidio provato a Mountain View nel vedersi superare, per ora, da un rivale. Non è accaduto molte volte nella storia dell’azienda.

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