La testimonianza

«Ma noi sieropositivi facciamo spesso una vita più sana degli altri»

Oggi grazie alla medicina chi convive con l’HIV non è più contagioso - Fatti non noti a tutti - Neppure, come ci racconta Alex, 40.enne coinvolto in prima persona, al personale sanitario - Un problema che esiste anche in Ticino
Sette anni fa la diagnosi. Oggi Alex Schneider è maratoneta. ©Alex Schneider

«Lo sai che devi usare il preservativo, ma non hai sempre la mente chiara in certe situazioni». La convivenza con l’HIV per Alex Schneider è iniziata così, a causa di un rapporto sessuale non protetto. Ironia della sorte: il dottore in chimica di origine russa e tedesca lavorava già in ambito sanitario, proprio nel campo di malattie infettive. La diagnosi è giunta 7 anni fa. «Da allora prendo ogni giorno le mie medicine, con cui posso vivere una vita normale». Alex è una delle circa 20.000 persone in Svizzera colpite dal virus. Un gruppo sempre più piccolo.

Il partner non viene contagiato

Le ultime cifre presentate dall’Ufficio federale della sanità pubblica dimostrano come lotta all’HIV stia dando i suoi frutti. I nuovi contagi nel 2018 hanno raggiunto un minimo storico: 425 (- 4,5% rispetto al 2017). In Ticino le diagnosi sono state 4,5 ogni 100.000 abitanti, tante quante nel 2017. I risultati sono stati ottenuti grazie all’incremento di test presso i gruppi più a rischio, al trattamento precoce e probabilmente anche grazie alla profilassi pre-esposizione (PrEP, cfr. box, un farmaco che permette alle persone sieronegative ma a rischio di proteggersi). La medicina oggi dà ai sieropositivi la possibilità di vivere allo stesso modo di chi non lo è. Come avere rapporti sessuali non protetti senza contagiare il partner. O dare alla luce figli senza che questi diventino a loro volta portatori del virus. Fatti, questi, diventati realtà già all’inizio degli anni 2000. Eppure non ancora noti a tutti.

La diagnosi ha portato Alex a incentrare la sua carriera sul sostegno di chi, come lui, è sieropositivo. Oggi il 40.enne, che abita con il suo partner a Lenzburg (AG), è amministratore delegato di Life4me+, società che offre un’app per prevenire nuovi casi di HIV e accompagnare chi ha contratto il virus . «So che il mio caso è eccezionale»: un esperto di malattie che viene contagiato certo sbalordisce. «Credo che per me sia stato un po’ come quando si pensa al cancro quando ancora non ne si è colpiti. Sai che corri dei rischi, ma non hai paura. Solo dopo ti rendi conto della situazione in cui sei finito». Se ce ne fosse già stata la possibilità, dice, sarebbe ricorso alla PrEP.

Ora la sua missione è, oltre la prevenzione, che resta l’obiettivo principale, scardinare i tabù ancora presenti e spiegare come le terapie odierne permettano ai contagiati di non mettere in pericolo altri. Un caso spiacevole gli è successo in una clinica dove si è recato per un’operazione. Un’infermiera prima di servirgli il pasto ha indossato guanti di gomma. «Ne parlai col primario, che mi promise di affrontare il tema col personale, al quale mancavano conoscenze».

«Si mettono i pazienti a disagio senza che ve ne sia motivo»

Facciamo anche noi un ripasso. HIV non vuol dire AIDS. Da una parte perché, in ogni caso, per dirla in soldoni, l’AIDS (Sindrome da immunodeficienza acquisita) è solo la fase finale dell'infezione da HIV (cfr. box). Dall’altra perché le terapie odierne, benché non eliminino il virus, lo bloccano. «Un tempo chi contraeva l’HIV si ammalava di AIDS in 8-10 anni. Uno o due più tardi moriva», ci spiega Enos Bernasconi, viceprimario del Servizio di malattie infettive dell’Ospedale regionale di Lugano ed esperto di HIV. «Le prime terapie efficaci sono arrivate a metà degli anni Novanta. Allora i pazienti dovevano prendere fino a 20 pastiglie al giorno e spesso con effetti secondari pesanti. Negli ultimi 10 anni c’è stata un’evoluzione notevole». Oggi le pasticche antiretrovirali, ancora più efficaci e meglio tollerate dall’organismo, sono normalmente 1 o 2 al giorno. È però necessaria un’assoluta «aderenza al trattamento»: la terapia per aver effetto va seguita meticolosamente. In tal caso, «è possibile vivere una vita normale, alla stregua di un diabetico che prende ogni giorno le sue medicine, e con una speranza di vita paragonabile a una persona senza il virus». Non solo: i contagiati non sono più contagiosi. «È giusto sempre ripeterlo», sottolinea Bernasconi, che riconosce circolino concezioni osbolete. Anche in Ticino. E anche da noi persino presso il personale sanitario. «Capita che in reparti con meno abitudine d’incontrare pazienti con l’HIV aumentino le precauzioni. E allora il paziente viene messo a disagio senza che ve ne sia motivo. L’HIV non è l’ebola. Le protezioni da adottare sono quelle standard».

Tornando alle possibilità date oggi dalla medicina, vi è appunto quella di avere rapporti sessuali senza infettare il partner. Le future madri che iniziano precocemente una terapia non devono inoltre più temere di trasmettere il virus HIV durante la gravidanza o al parto. Come spiega Bernasconi, resta forse un margine di rischio nel periodo dell’allattamento, benché anche questo sia limitato dai farmaci.

E sul lavoro?

Rendere noto a datore di lavoro e colleghi (un atto volontario; non esiste obbligo di segnalazione) di essere sieropositivi per molti significa andare incontro a stigma e isolamento. Chi è in terapia può intraprendere qualsiasi carriera professionale, anche in ambito ospedaliero o nella sicurezza, ricordano gli esperti.

Alex presenzierà al Congresso europeo sull’AIDS in agenda dal 6 al 9 novembre a Basilea, dove terrà un discorso. «Scherzando con esperti che vi parteciperanno notavamo come spesso persone che vivono con l’HIV fanno una vita più sana di molti sieronegativi: con la diagnosi molti smettono di fumare o iniziano a fare più sport. Come è successo a me, che oggi sono maratoneta. Inoltre siamo in costante contatto con medici, che ci permette di tenere sotto controllo la nostra salute».

DA SAPERE

Il contagio

Avviene tramite sangue, sperma e secrezioni vaginali contenenti una quantità sufficiente di virus. Una volta contratta l’infezione è permanente. L’HIV tocca cellule del sistema di difesa che vengono distrutte progressivamente, diminuendo così la capacità del corpo di difendersi: compaiono allora malattie dette «opportunistiche» dei polmoni, del cervello, dell'intestino o del sangue che portano alla morte. L'inefficienza del sistema di difesa fa anche sì che si sviluppino tumori. L'AIDS è la fase finale («conclamata») dell'infezione. È una «sindrome» (Sindrome da immunodeficienza acquisita): un insieme di disturbi con la stessa origine, l’HIV.

La profilassi pre-esposizione

O «PrEP»: un tema attuale. Trattasi dell’assunzione di un farmaco che protegge persone a rischio dall’HIV. «Laddove notia-mo un comportamento a rischio, ma non vediamo possibilità di un uso conseguente del preserva-tivo viene prescritta la PrEP», spiega Enos Bernasconi, che auspica che il medicinale, non rimborsato dalla cassa malati, sia reso accessibile a tutti. «La confezione per un mese costa circa 900 franchi. All’estero circa dieci volte meno». Dal 14 ottobre, per i partecipanti al programma nazionale per il monitoraggio della PrEP (SwissPrEPared), il farmaco è disponibile a 70 franchi al mese.