L'intervista

Maccio Capatonda: «I fenomeni virali ci saranno sempre, ma costruire una carriera è ben altra cosa»

Abbiamo incontrato il comico, attore, sceneggiatore, regista e youtuber italiano
© CdT/Gabriele Putzu
Matteo Generali
15.09.2024 06:00

Maccio Capatonda, nome d’arte di Marcello Macchia, è nato nel 1978 in Abruzzo. Diventato famoso grazie ai suoi esilaranti finti trailer e sketch comici su «Mai Dire» della Gialappa’s Band, ha poi ampliato i propri confini come regista, attore e sceneggiatore, portando in TV e al cinema il suo umorismo surreale con film come «Italiano Medio», la serie «Mario» o «Il migliore dei mondi». Lo stile unico, le parodie e i trailer finti l’hanno reso un volto cult della comicità italiana. Ospite del Festival Endorfine, il Corriere del Ticino l’ha intervistato

Maccio, da oltre vent'anni sei sulla cresta dell'onda. Quale il segreto per non ripetersi?
«Sono convinto che seguire la propria naturale evoluzione, cercando di non accontentare i gusti del pubblico, ma anzi di appagare la propria spontaneità e seguire il proprio istinto sia fondamentale. È necessario essere sempre molto traspirante nei confronti della realtà, spugnoso. In soldoni: sono un assorbente».

Hai parlato di realtà, come si è evoluta quella della comicità italiana in questi vent'anni?
«Eh, questa è una domanda da fare a un sociologo, a uno studioso. Mi rendo conto che il boom del digitale ha dato la possibilità a tantissime persone di emergere sui social e di esprimere una comicità molto più veloce, più istantanea. Un esempio? I tiktoker: la loro comicità è fatta di pillole velocissime. Sostanzialmente non diversa da ciò che facevo io con la Gialappa’s, è come se fossi stato un po' il precursore di questo mondo. Sin da piccolo ho sempre sognato di fare comicità "digitale", registrando i primi video a 9 anni. L’obbiettivo era crearmi la mia bolla, una zona di confort e come me molti nerd degli anni Ottanta sognavano questa bolla tecnologica. Beh, ce l’abbiamo fatta».

Dunque grazie alle piattaforme social è più facile arrivare al successo?
«Le strade per arrivare al successo ad oggi sono tantissime, è vero. C'è però anche una maggiore competizione. A dirla tutta i social, da questo punto di vista, sono molto meritocratici: per persistere nel tempo, per creare qualcosa di bello e duraturo bisogna essere validi, avere qualcosa da dire sul lungo periodo è imprescindibile. I fenomeni virali ci sono e sempre ci saranno, ma costruire una carriera è ben altra cosa».

Nel tuo ultimo film, «Il migliore dei mondi», il protagonista torna negli anni Novanta con le conoscenze, in campo tecnologico, del 2023. Se succedesse davvero, saresti in grado di replicare il successo che hai ottenuto?
«Indubbiamente un ventenne ad oggi ha tantissime possibilità, più speranze, rispetto agli anni della mia adolescenza. Nel mio caso però, complice il fatto di essere una persona estremamente pigra, sentirmi dire che per nessuna ragione al mondo avrei potuto fare il comico nella vita, mi ha spronato. Era una sfida. Se invece avessi visto il traguardo potenzialmente raggiungibile avrei desistito».

La triade Frassica-Capatonda-Lundini definisce le tre epoche della comicità nonsense italiana, sei d’accordo?
«Sono abbastanza d'accordo, sperando di essere tutti e tre ancora molto presenti. Frassica lo sento un po' come un mio maestro: è riuscito a mettere anche una parte comica in «Don Matteo», è un grandissimo. Ma anche personaggi come Verdone, Guzzanti, Troisi, per non parlare della comicità demenziale americana, su tutti Woody Allen, mi hanno plasmato. La comicità non muore mai, soprattutto quella nonsense: fin quando ci sarà senso nella vita ci sarà sempre un non senso che funziona. Forse il problema odierno è che nel mondo, nel nostro quotidiano, tutto sta perdendo di senso. E questa cosa mette in difficoltà noi comici che facciamo del nonsense. Dovremo fare cose molto sensate… ma ultimamente mi sto portando avanti».