Macron esclude Le Pen e Mélenchon dal tavolo sul premier

Il governo di Michel Barnier, appeso al filo della benevolenza di Marine Le Pen, è naufragato in tre mesi. Adesso Emmanuel Macron si rivolge dall'altra parte. E se in direzione di Mélenchon i muri restano invalicabili, gli altri componenti del Nuovo Fronte Popolare - Verdi, socialisti e comunisti - lo ascoltano. Domani alle 14, tutti convocati all'Eliseo per un «tavolo allargato» che punta a stabilire un «metodo» condiviso per arrivare al «governo di interesse generale». Tutti eccetto i due che «non si situano in una logica di compromesso», il Rassemblement National (Rn) di Marine Le Pen e La France Insoumise (Lfi) di Jean-Luc Mélenchon.
Non c'è il nome del premier, che come era stato lasciato intendere giovedì da Macron sarebbe dovuto arrivare oggi o domani. Ma c'è un'inedita e variegata potenziale maggioranza di «campo largo», che va dai Républicains ai comunisti, passando per centristi, macroniani, socialisti e Verdi. Non tutti necessariamente al governo, ma forse solo con appoggio esterno. Se alle 14 di domani si troverà davvero un accordo «sul metodo», sarebbe la fine del Nuovo Fronte Popolare vincitore con maggioranza relativa delle elezioni legislative (Lfi rimarrebbe da sola all'opposizione all'estrema sinistra) e della tutela che Marine Le Pen aveva concesso e poi ritirato dopo tre mesi al governo, facendolo cadere. Ma l'accordo è tutto da costruire. La novità, riferita al termine delle consultazioni dalla leader ecologista Marine Tondelier, all'uscita dall'Eliseo, è che Macron ha capito che «la soluzione non può più basarsi su un accordo con il Rassemblement National».
Altro chiarimento, condiviso da socialisti - già consultati da Macron venerdì - comunisti e Verdi: il gettonato centrista François Bayrou non può fare il premier, in quanto incarna «la continuità politica con Emmanuel Macron». Al momento, oltre al centrista Bayrou, gli altri nomi citati sono Bruno Retailleau e Sébastien Lecornu, ministri di Interni e Difesa, uno dei Républicains, l'altro macroniano. Quindi sulla scelta del premier si è in alto mare. Il socialista capo di Place Publique, Raphael Glucksmann, ha avanzato la proposta di «una personalità della società civile». I comunisti non hanno fatto nomi, ma il numero uno del partito, Fabien Roussel, incarna la posizione più soft: un nome «uscito» dalla sinistra sarebbe «preferibile» ma non è una «precondizione» per entrare al governo. Roussel ha provocato anche qualche mal di pancia nel partito, annunciando che l'abrogazione pura e semplice della riforma delle pensioni, finora un must della gauche, potrebbe rientrare nelle discussioni di una grande «conferenza sociale».
Niente preclusioni neppure dai Verdi, che hanno addirittura ravvisato «due insegnamenti interessanti» nel colloquio con Macron. Questo perché il presidente, citato da Marine Tondelier, «ha capito che deve smetterla di fare di testa sua e precipitarsi con nomine che porterebbero a nuove mozioni di sfiducia». E, ancora più interessante per la gauche, «ha ripetuto a più riprese che la soluzione non può più basarsi su un accordo con il Rassemblement National». Il Rn, come Lfi, resterà fuori già domani alle 14, dove si lavorerà al «metodo», ad una «piattaforma» per giungere alla costruzione del governo. «C'è una volontà chiara del potere di creare una frattura nel Nuovo Fronte Popolare», ha denunciato la capogruppo in Assemblée Nationale, Mathilde Panot.