L'analisi

Materie prime, il quadro è meno pesante nonostante i nodi della geopolitica

Dopo il gran balzo del 2022 e il netto calo del 2023, la Banca mondiale prevede ora altre limature all’indice totale dei prezzi – Nel settore energia l’aumento delle quotazioni del petrolio dovrebbe essere più che compensato dalla riduzione di quelle di gas e carbone
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Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
13.05.2024 06:00

Dopo il gran balzo del 2022, legato in larga misura alle strettoie post pandemiche nelle catene di rifornimento e all’invasione russa dell’Ucraina, i prezzi delle materie prime nel 2023 sono nel complesso scesi nettamente dai picchi. E quest’anno dovrebbero registrare ancora un calo, seppure lieve, e lo stesso dovrebbe accadere l’anno prossimo. È quanto emerge dall’ultimo Commodity Markets Outlook, l’analisi della Banca mondiale sul comparto, pubblicato il mese scorso. Il fardello della geopolitica, del quale fa parte ora anche il riacutizzarsi dei conflitti in Medio oriente, continua a farsi sentire ma le probabilità maggiori per ora rimangono di non fiammata complessiva per le materie prime.

I dati

La Banca mondiale (BM) calcola un suo indice dei prezzi delle materie prime, che si articola in un andamento totale e in una suddivisione in andamenti dei vari settori. Sia l’indice generale sia quelli dei settori sono calcolati sulla base di dollari USA nominali. Il 2010 è posto come uguale a 100. Guardando al percorso di questi ultimi anni, si può vedere come l’indice fosse a 100,9 nel 2021 e come sia balzato a ben 142,5 nel 2022. Nel 2023 c’è stata una forte discesa, a 108. Per il 2024 ora la Banca mondiale prevede un calo a 105,3. Nel 2025 ci dovrebbe essere un’altra contenuta discesa, a quota 101,6. In termini percentuali, ciò significa che i prezzi delle materie prime sono scesi nell’insieme del 24% nel 2023 e che si prevedono cali del 2,5% nel 2024 e del 3,5% nel 2025. Non si è certo ritornati ai livelli pre pandemia, questo è un fatto, ma la discesa l’anno scorso è stata marcata e ora potrebbero esserci altre limature.

L’indice totale è un risultato complessivo, una sorta di media dei tanti indici specifici, che hanno andamenti diversi. La BM fornisce una fotografia ampia. Una importante suddivisione è tra energia e non energia. Il ramo energia ha un peso del 67% nell’indice totale. Ebbene l’indice energia, che era balzato a 152,6 nel 2022, è sceso a 106,9 nel 2023 e dovrebbe calare a 104 quest’anno e a 100 il prossimo. Il prezzo del petrolio dovrebbe registrare quest’anno un aumento, seppur non grande, rispetto al 2023, per poi avere un leggero calo l’anno prossimo. Ma se il prezzo del greggio quest’anno salirà, come potrà esserci una discesa dell’indice energia nel 2024? La risposta è nell’andamento dei prezzi del carbone e del gas naturale, che secondo la BM saranno quest’anno in ulteriore discesa.

I segmenti

L’indice non energia era salito a 122,1 nel 2022, è sceso a 110,2 nel 2023 e dovrebbe calare a 107,9 quest’anno e a 104,9 il prossimo. Questo indice si articola in parecchi segmenti. Prendiamo due esempi di rilievo. I prezzi dei beni agricoli dovrebbero nel complesso scendere, seppur non di molto, sia quest’anno sia il prossimo. Nel 2024 non sarà così per una parte dei beni, tra i quali il cacao, il caffè Robusta, il tè. Ma la discesa per la BM ci sarà per un’altra serie di beni agricoli, tra i quali il mais, i semi di soia, lo zucchero. Un altro esempio è quello del segmento metalli e minerali. Se rame, alluminio, stagno dovrebbero vedere i loro prezzi salire quest’anno, secondo la BM invece minerale di ferro, piombo, nickel e zinco dovrebbero registrare prezzi in discesa.

Un discorso particolare è ancora una volta quello che concerne i metalli preziosi. A differenza dei metalli non preziosi, questi non fanno parte dell’indice non energia. Si tratta di materie prime che hanno certamente un utilizzo industriale, ma che hanno anche un carattere non secondario di investimento finanziario, soprattutto quando si parla di oro. La Banca mondiale comunque fa le sue previsioni anche su questo versante. Tutti e tre i metalli preziosi indicati dalla BM - oro, appunto, argento e platino - dovrebbero rimanere quest’anno in un quadro di aumento dei prezzi. L’anno prossimo secondo la BM l’oro, ormai molto salito, dovrebbe correggere lievemente al ribasso, mentre argento e platino dovrebbero ancora leggermente avanzare.

I rischi

La Banca mondiale non manca di indicare i fattori di rischio in grado di mutare il quadro di previsioni delineato. Tra i principali, due spiccano. Il rischio geopolitico, ancora una volta, con riferimento soprattutto ai conflitti bellici e in particolare all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e all’escalation in Israele-Palestina e più in generale in Medio oriente (Stretto di Hormuz compreso). Un altro grande rischio per BM resta quello di eventi meteo estremi, con riflessi soprattutto su beni agricoli ed energia. Ma, supponendo che il fardello geopolitico e altri fattori negativi non si amplino troppo, lo scenario resta quello di una moderata discesa dei prezzi di molte materie prime.

La graduale discesa dell'inflazione

Il contenimento complessivo dei prezzi delle materie prime, che secondo l’analisi della Banca mondiale è comunque in atto al di là delle oscillazioni esistenti, è un fattore che chiaramente influenza l’inflazione, frenandola. E la diminuzione graduale dell’inflazione, dopo i balzi visti tra il 2022 e il 2023, è a sua volta un elemento che sta permettendo di cominciare a guardare ai possibili tagli dei tassi di interesse di riferimento. Gli aumenti di questi ultimi sono stati fatti a suo tempo appunto per contrastare l’inflazione. L’attesa è soprattutto nei confronti delle due maggiori banche centrali, la Federal Reserve (Fed) americana e la Banca centrale europea (BCE). Se per la Fed i tempi sembrano allungarsi a causa di un’inflazione USA (3,5% in marzo) che ha un trend di discesa, sì, ma anche rimbalzi, per la BCE invece le previsioni prevalenti indicano un inizio ravvicinato dei tagli al tasso guida. L’inflazione nell’area euro (2,4% in aprile) pare maggiormente sotto controllo e d’altronde la crescita economica attuale nell’Eurozona è minore di quella degli USA e secondo molti avrebbe quindi più bisogno di tagli al costo del denaro. L’obiettivo della Fed, della BCE, della Banca d’Inghilterra (che sin qui non ha tagliato) e di molti altri istituti centrali è un’inflazione media annua al 2%. Mentre c’è questa attesa sulle maggiori banche centrali, c’è però chi si è già mosso. Facciamo quattro esempi in campo europeo. Il primo è quello della Svizzera, che non fa parte né dell’Eurozona né dell’Unione europea. Gli altri tre sono quelli di Svezia, Cechia, Ungheria, che non fanno parte dell’area euro (le loro banche centrali possono quindi agire indipendentemente dalla BCE) ma sono membri dell’UE. Il taglio al tasso guida sul franco (da 1,75% a 1,50%) effettuato in marzo dalla Banca nazionale svizzera (BNS), ha in particolare attirato l’attenzione degli operatori, per via della rilevanza della moneta e della piazza elvetiche. L’obiettivo della BNS è un’inflazione svizzera molto bassa, tra lo 0% e il 2%, e dal giugno 2023 si oscilla in questa fascia (1,4% in aprile). Questo mese si è mossa la Riksbank, la banca centrale della Svezia, che ha tagliato il tasso guida sulla corona svedese dal 4% al 3,75% e ha affermato di non escludere altri due tagli nella seconda metà di quest’anno, se le prospettive del rincaro non cambieranno. L’obiettivo di fondo dell’istituto centrale svedese è un’inflazione del 2%. Diversamente dalla Svizzera, che ha avuto il picco di rincaro con il 3,5% di agosto 2022, la Svezia ha registrato un’inflazione alta, con un picco del 10% o del 12% (a seconda dei metodi di calcolo) nel dicembre 2022. Nel mese di marzo di quest’anno il rincaro è stato del 2,2% o del 4,1% (sempre a seconda delle versioni), comunque a livelli che secondo la Riksbank consentono un primo taglio del tasso guida. La Cechia ha pure l’obiettivo del 2% di inflazione media annua. Il Paese ha registrato picchi ingenti di rincaro, del 18%-19% nel settembre 2022, e la banca nazionale ha portato il tasso di interesse guida sulla corona ceca sino a un massimo del 7%. Dall’ottobre del 2023 l’istituto centrale ceco ha però iniziato a tagliare il tasso guida, che dopo quattro diminuzioni si trova ora al 5,25%. Nel marzo di quest’anno l’inflazione ceca era al 2%, ci sono quindi attese su possibili ulteriori riduzioni del costo del denaro in Cechia. Un caso per alcuni aspetti a sé stante è quello dell’Ungheria, la cui banca centrale ha un obiettivo di inflazione di lungo termine del 3%, dunque più alta rispetto a molti altri istituti di emissione. L’Ungheria è arrivata ad avere un’inflazione del 25%-26% nel gennaio 2023 e il suo istituto centrale ha aumentato il tasso di riferimento sul fiorino sino al 13%. In parallelo alla graduale discesa della maxi inflazione nazionale, la banca centrale ungherese ha cominciato a ridurre il costo del denaro nell’ottobre 2023 e dopo sette diminuzioni il tasso guida è ora al 7,75%. Nell’aprile di quest’anno l’inflazione ungherese era al 3,7%.