Mafia

Matteo Messina Denaro è morto, e adesso?

Sono trascorsi 252 giorni tra l'arresto del superlatitante di Cosa Nostra, malato di cancro, e la sua morte – Lui non ha parlato e ha negato tutto il negabile – «La mia storia la so solo io – scriveva – posso andare avanti e scegliere il finale, ma finisce male»
© KEYSTONE (EPA/CARABINIERI)
Jenny Covelli
25.09.2023 10:00

Matteo Messina Denaro è stato arrestato. Matteo Messina Denaro è morto. Tra le due notizie sono trascorsi solo 252 giorni. Eppure, prima del 16 gennaio 2023, il boss di Cosa Nostra era stato un «fantasma» per ben 30 anni. Era ricercato dall’estate del 1993. Da quando chi vi scrive aveva tre anni. È stato preso nella «sua» Sicilia. Si era recato alla clinica La Maddalena, in via San Lorenzo a Palermo, «per sottoporsi a terapie». Era in terapia oncologica sotto falso nome presso la casa di cura per un cancro al colon, scoperto a fine 2020. Dopo l'arresto, il capomafia di Castelvetrano è stato portato nel supercarcere dell'Aquila, seguito costantemente dall'equipe dell'Oncologia dell'ospedale cittadino, curato in cella, dove era stata allestita per lui una sorta di infermeria. Venerdì sera la notizia: Matteo Messina Denaro è in coma irreversibile e non verrà più alimentato. Era stato in discrete condizioni fino a un mese fa. Poi, dopo due interventi, la situazione è precipitata e ne è stato disposto il ricovero nel reparto detenuti del nosocomio. Negli ultimi giorni, visto il peggiorare delle condizioni, era stato prima sottoposto alla terapia del dolore, poi sedato. Ora, Matteo Messina Denaro è morto e, tutt'a un tratto, scorrono i titoli di coda sulla storia del boss riuscito a sfuggire alla cattura per tre decenni.

La malattia sui pizzini

I carabinieri, il 6 dicembre scorso, erano entrati nell'appartamento di Castelvetrano della sorella di Matteo Messina Denaro, Rosalia, Rosetta come la chiamano in famiglia. Mentre cercavano il posto giusto per piazzare delle cimici per le intercettazioni, i militari hanno scoperto un appunto nascosto nell'intercapedine di una sedia. Un «pizzino» dettagliato sulle condizioni di salute del fratello. Si trattava di una sorta di «diario clinico» di un malato di cancro, la calligrafia era quella della donna. «Adenocarc, 3 novembre 2020 lo so, 9 novembre ricovero, 13 operazione. Persi 11 chili». E poi ancora: «6 luglio 2021 è ritornato. Ridotto fare tre cicli. Gennaio 2022 altra tac. Se si riduce ancora abbassiamo la chemio». Sul pizzino non c'erano nomi. Sono scattate le ricerche su pazienti con malattie oncologiche compatibili per età con Matteo Messina Denaro. Un'analisi certosina, realizzata anche grazie alle banche dati sanitarie. È così che si è arrivati al nome di Andrea Bonafede, geometra di Campobello di Mazara e nipote del boss locale, che si era sottoposto a interventi chirurgici legati a una patologia oncologica. A nome di Bonafede è spuntata una visita oncologica prenotata alla clinica La Maddalena il 16 gennaio 2023. È il giorno in cui le tessere del puzzle sono state messe al loro posto e Matteo Messina Denaro è stato arrestato.

E adesso?

L'arresto di Matteo Messina Denaro, 250 giorni fa, dopo 30 anni di latitanza, è stato un colpo importante per il procuratore della Repubblica di Palermo Maurizio de Lucia (e il procuratore aggiunto Paolo Guido), insediatosi solo tre mesi prima. Procuratore che, una settimana fa, è stato ospite dell'Endorfine Festival di Lugano. Proprio in questa occasione un collega giornalista gli ha rivolto la domanda: «Messina Denaro sta morendo, e adesso?». De Lucia ha quindi sollevato i due interessi di Cosa Nostra in ballo: la continuazione della ristrutturazione dell'organizzazione, attualmente senza vertice, e la successione «nei beni», le ricchezze del latitante, da cui potranno conseguire conflitti o accordi. È possibile, o è credibile, che questo tesoro del capomafia di Castelvetrano si trovi, in tutto o in parte, in Svizzera? «È una delle nostre ipotesi da verificare – ha risposto il procuratore della Repubblica di Palermo –. Abbiamo una serie di elementi che ci portano a ritenere che Messina Denaro e gli uomini a lui vicini, che sono stati a lungo sul territorio elvetico, ci siano stati proprio - come dire - per curare una serie di investimenti in quel territorio. Quindi sì, la risposta alla sua domanda in questo senso è positiva».

Come detto, sulla storia del boss scorrono i titoli di coda. E le parole dello stesso Messina Denaro, riprese in La cattura – libro scritto a quattro mani dal procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia e dal giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo – fanno tornare alla mente le riflessioni che ne hanno seguito l'arresto. Quando c'era chi asseriva che, dopo anni nel traffico di Palermo, il superlatitante ormai gravemente malato si fosse «lasciato prendere». «"La mia storia la so solo io", annotava Messina Denaro. "Le storie non finiscono finché non abbiamo chiuso tutti i conti. Non posso andare indietro e ricominciare da capo, ma posso andare avanti e scegliere il finale"». A Maurizio de Lucia e al procuratore aggiunto Paolo Guido, che gli dava la caccia da 15 anni, Messina Denaro ha detto chiaro e tondo, sin da subito, che non avrebbe mai collaborato con la giustizia. E così è stato. Non ha parlato, ha negato tutto il negabile. «Trent'anni di latitanza gli pesavano come delle medaglie», ha detto di lui Pino Maniaci, editore di Telejato e direttore del telegiornale di denuncia contro la mafia e l’illegalità in Sicilia. «Oggi celebriamo un grande giorno – ci aveva detto 250 giorni fa il sociologo e professore Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa assassinato a Palermo da Cosa Nostra il 3 settembre 1982 –. Ma la mafia non è finita e, anzi, bisogna tenere gli occhi aperti sulla 'ndrangheta, oggi molto potente». «Le cose sono cambiate», aveva aggiunto ipotizzando (e sperando) un contraccolpo, seppure prevalentemente psicologico, per l'organizzazione. 

«Messina Denaro aveva scritto anche questo – si legge ancora in La cattura –: "Credo di essere finito nel bidone della spazzatura della storia. Pazienza. La mia non è una storia alla Biancaneve, a lieto fine. Neanche una storia alla Alice nel paese delle meraviglie. È una storia alla Md (Messina Denaro, ndr.), e finisce male"».

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