Medici e infermieri trattenuti in Francia? I cantoni romandi non ci stanno

Come in Ticino, la pandemia tocca un punto nevralgico dei cantoni frontalieri romandi. Dal drammatico «siamo in guerra» del presidente Macron, il varco di confine con la Francia si restringe di giorno in giorno e il personale frontaliero lamenta a volte code interminabili. Per percorrere i ventinove chilometri che separano Ginevra da Cruseilles, l’infermiera Florence Rochon ha impiegato martedì sera quasi cinque ore: «Così non si potrà reggere a lungo». Nel suo ospedale, l’ente pubblico HUG, circa il 60% degli infermieri e il 10% dei medici abitano in Francia.
Le code in dogana
«Tra i 5.200 operatori sanitari attivi nel canton Ginevra, oltre 3.200 sono domiciliati oltre confine», puntualizza Nicolas de Saussure, portavoce dell’HUG. Per tutti, o quasi, da due a tre ore di viaggio erano fino a ieri la norma. Nelle ultime ore è stato allestito un varco esclusivamente per il personale sanitario. In anticipo su Ginevra, il canton Giura aveva disposto mercoledì una corsia preferenziale. «Dopo giorni difficili, il passaggio è adesso fluido», osserva Jacques Chapatte, portavoce dell’esecutivo cantonale. La scorsa settimana l’ente ospedaliero pubblico, l’Hôpital du Jura, ha invitato il proprio personale frontaliero, circa il 30%, «a risiedere provvisoriamente nel cantone».
La notizia è stata soffiata all’Ansa da un medico italiano residente oltre frontiera, a cui è stato proposto «un contratto per restare in Svizzera, senza possibilità di tornare in Italia fino al 30 giugno». Agli impiegati francesi l’ospedale giurassiano «fornisce vitto e alloggio in alberghi convenzionati oppure 1.500 franchi al mese per le spese». «Lo scopo è risparmiare al personale ospedaliero la fatica dei trasporti e le code alla dogana», spiega lo stesso Chapatte. «Nulla a che vedere», insiste, con le precedenti dichiarazioni di un portavoce dell’ospedale: «Il pericolo per il canton Giura consisterebbe nel fatto che Parigi decida di confiscare un giorno tutto il suo personale frontaliero».
Quella legge francese
Ai medici e infermieri residenti in Francia, la mobilità verso la Svizzera potrebbe infatti essere revocata. Lo prevede una legge: «se la situazione sanitaria lo giustifica», il governo francese è tenuto a precettare gli operatori oltre confine. Gli ospedali romandi rimangono sospesi tra l’incertezza e le rassicurazioni «formali» fin qui avute dalle autorità francesi. Dal Giura a Ginevra, la temperatura è variabile. «Ho parlato con il prefetto, e la Francia non ha alcuna intenzione di requisire il personale sanitario». Il consigliere di Stato ginevrino Mauro Poggia, responsabile della Sanità, placa gli animi. «Parigi considera l’ospedale di Ginevra un centro sanitario regionale». È qui che in caso di emergenza verrebbero a curarsi i malati francesi, precisa Nicolas de Saussure, portavoce dell’HUG. «È nell’interesse della Francia che i frontalieri continuino a lavorare in Svizzera», dichiarava martedì la presidente della Confederazione, Simonetta Sommaruga, a seguito di un incontro con il primo ministro francese, Edouard Philippe.
Le rassicurazioni di Cassis
All’Hôpital du Valais, «soltanto il 2,5% del personale risiede oltre il confine», indica il portavoce Joakim Faiss. «In caso di confisca dall’Italia o dalla Francia, potremmo in teoria farne a meno». A Neuchâtel si osserva «con attenzione l’evolversi della situazione». La probabilità che gli ospedali romandi rimangano a corto di personale sembra dunque oggi remota. A rassicurare le istituzioni ospedaliere è anche intervenuto, proprio sulle nostre pagine (cfr. CdT di martedì), il consigliere federale Ignazio Cassis, dopo un giro di consultazioni in Francia e in Italia. «Entrambi i miei omologhi hanno voluto essere rassicuranti sul fatto che prima di precettare il personale sanitario scorrerà ancora molta acqua sotto i ponti». E ha aggiunto: «Ma non hanno detto: no, non lo faremo mai. Evidentemente ogni Stato, quando deve fare fronte a situazioni straordinarie, usa strumenti straordinari».
Pochi giorni prima di «entrare in guerra», il presidente Macron dichiarava che il suo Paese non avrebbe seguito il modello italiano. Oggi la COVID-19 è passata da poco più di un’influenza a «nemico invisible».