Damasco

Mentre al-Assad fugge a Mosca in Siria è cominciata la transizione

Dopo 13 anni di guerra civile il dittatore ha lasciato il potere nelle mani dei ribelli - Il mondo guarda con ansia alle prossime mosse della coalizione che ha rovesciato il regime - E dagli Stati Uniti Donald Trump chiede al Cremlino di porre subito fine alla guerra in Ucraina
Le statue di Hafiz al Assad, padre del dittatore siriano, sono crollate dopo decenni dai loro piedistalli. ©Hussein Malla
Dario Campione
08.12.2024 20:00

Le statue del dittatore rovesciate e distrutte. Il palazzo presidenziale preso d’assalto e saccheggiato dai miliziani in armi. L’occupazione fisica dei centri nevralgici del potere, prima fra tutte la Tv di Stato. L’euforia nelle piazze e nelle strade, dietro la quale si nascondono però incertezza e paura per un futuro tutto da scrivere. E poi, le prime parole del nuovo leader, il comandante dei ribelli Abu Mohammed al-Jolani: «Il futuro è nostro», ha detto. Sottolineando, subito dopo, la «vittoria della nazione islamica».

Nel giorno più lungo di Damasco è andato in scena un copione già visto e rivisto. Più volte. In Libia, in Iraq, in Afghanistan, in qualche ex Repubblica sovietica. E, prima ancora, ovunque sia stato rovesciato un regime dispotico. La fuga del tiranno Bashar al-Assad, protetta e garantita dall’alleato russo e da quello iraniano, è stata il corollario inevitabile di eventi che, in poco più di una decina di giorni, hanno subìto una formidabile e inattesa accelerazione. Un’accelerazione che ha spiazzato le cancellerie di tutto il mondo e aperto domande inquietanti. Nel quadrante mediorientale, profondamente scosso dalle guerre di Israele contro Hamas nella Striscia di Gaza e contro Hezbollah nel Sud del Libano, cresce l’instabilità.

Il cambio di casacca

Dopo 13 anni di guerra civile, la Siria da oggi ha iniziato a voltare pagina. L’esercito regolare non ha nemmeno provato a contrastare l’onda d’urto dei ribelli. Anzi, in molti casi c’è stato un rapido cambio di casacca, come sempre accade quando i generali fuggono e sul campo restano soltanto i soldati. In realtà, che nessuna resistenza fosse più possibile è stato chiaro già nella prima mattinata, quando il ministero degli Esteri russo ha diffuso la notizia che al-Assad si era dimesso dalla presidenza e aveva lasciato il Paese «dopo aver ordinato un trasferimento pacifico del potere». Lo stesso al-Assad che, secondo quanto riportato questa sera alle 19 dalla Reuters, avrebbe trovato - almeno per il momento - un comodo e sicuro rifugio proprio a Mosca, alla corte dell’ex mentore Vladimir Putin.

Quest’ultimo, secondo la stragrande maggioranza degli analisti, insieme con l’Iran è tuttavia il grande sconfitto della rivolta siriana. Dopo aver dislocato armi, uomini e mezzi in Ucraina, Putin ha assistito impotente alla fine del regime siriano e allo sgretolamento del patto con Damasco, l’intesa che aveva nuovamente permesso alla Russia di insediarsi con i propri militari in Medio Oriente. Le basi di Mosca in Siria, al momento, rimangono operative. Ma sul loro futuro nessuno fa previsioni. Certo è che la credibilità russa è stata colpita al cuore. Come hanno scritto oggi a caldo alcuni commentatori: che «cosa penseranno i nuovi amici in aree di crisi - ad esempio il Sahel - dell’incapacità di salvare il dittatore?

«Gli eventi in Siria dimostrano la debolezza del regime di Putin, che è incapace di combattere su due fronti e abbandona i suoi alleati più stretti per il bene della continua aggressione contro l’Ucraina», ha sottolineato in una nota il ministero degli Esteri di Kiev.

Anche Teheran, alle prese da anni con una fortissima crisi economica e sociale, è costretta a prendere atto della rivolta popolare contro l’alleato al-Assad. Nel pomeriggio di oggi, in un comunicato, il ministero degli Esteri iraniano ha chiesto che «il processo decisionale sul futuro della Siria sia di esclusiva responsabilità dei siriani» e ha invocato «un dialogo nazionale che includa tutte le parti della società siriana al fine di formare un nuovo governo». Ma è chiaro che per la galassia sciita, la perdita di Damasco è un durissimo colpo.

«La Siria è stata fino a oggi una parte fondamentale del cosiddetto “asse della resistenza” iraniano - ha scritto oggi il New York Times - una rete di Paesi e gruppi che include Hezbollah, Hamas e gli Houthi nello Yemen e che spera di distruggere Israele e ridurre l’influenza americana in Medio Oriente. Da anni l’Iran contrabbanda armi a Hezbollah passando per l’Iraq e la Siria e sia Teheran sia Hezbollah hanno ripagato il favore inviando migliaia di miliziani a combattere al fianco di al-Assad durante la guerra civile».

La smobilitazione di Hezbollah dopo la decapitazione dei vertici subìta per mano di Israele è stata una delle cause del repentino crollo del dittatore siriano. Di certo c’è che già tre giorni fa, venerdì, l’Iran aveva iniziato a richiamare il personale e i comandanti militari dislocati in Siria, un segnale chiaro della volontà di non proseguire negli aiuti diretti a mantenere il tiranno di Damasco al potere.

Le reazioni

Adesso, il mondo guarda alla capitale siriana con una certa ansia per capire quale strada sarà intrapresa dal coacervo di forze che ha spodestato al-Assad. Dalla diaspora sono giunte subito le prime richieste di governi di coalizione e di processi costituenti. Hadi al-Bahra, il 65.enne capo della opposizione siriana all’estero, ha invocato un periodo di transizione di 18 mesi per stabilire «un ambiente sicuro, neutrale e tranquillo in vista di libere elezioni». Intervistato dalla Reuters a margine del Forum di Doha in Qatar, al-Bahra - presidente della Coalizione nazionale siriana - ha aggiunto che la Siria dovrebbe «redigere una Costituzione entro sei mesi per decidere se avere un sistema parlamentare, un sistema presidenziale o un sistema misto. E, sulla base di questo, chiamare alle urne il popolo».

Moltissime anche le prese di posizione di Capi di Stato e di governo, tutte all’insegna della cautela. Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha salutato con gioia la fine del «regime dittatoriale» e ha invitato il Paese a «concentrarsi sulla ricostruzione. Dopo 14 anni di guerra brutale, oggi il popolo siriano può cogliere un’opportunità storica per costruire un futuro stabile e pacifico. Ribadisco il mio appello alla calma e a evitare la violenza in questo momento delicato, tutelando i diritti di tutti i siriani, senza distinzioni», ha aggiunto Guterres.

Dagli USA, la Casa Bianca ha fatto sapere che «il presidente Joe Biden e il suo team stanno monitorando da vicino gli eventi straordinari in Siria e rimangono in costante contatto con i partner regionali».

Il presidente eletto Donald Trump, invece, in un lungo post pubblicato sul suo sociale, Truth, ha collegato gli eventi di Damasco alla guerra in Ucraina, tornando a chiedere a Putin un’intesa per un immediato cessate il fuoco.

Inevitabile la soddisfazione di Israele. Parlando durante una visita alle alture del Golan, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto che il rovesciamento di Bashar al-Assad in Siria è stato un «giorno storico» in Medio Oriente, dopo il quale si assiste alla «caduta di un anello centrale nell’asse del male dell’Iran. Questo è il risultato diretto dei colpi che abbiamo inflitto all’Iran e a Hezbollah, i principali sostenitori di Assad. Abbiamo innescato una reazione a catena in tutto il Medio Oriente, dando potere a coloro che cercavano di liberarsi da questo regime oppressivo».

Anche Berna ha preso posizione con un post su X del DFAE in cui si legge: «#Siria. Stiamo monitorando attentamente la situazione a seguito dei recenti sviluppi. La Svizzera invita tutte le parti a proteggere i civili, a rispettare il diritto internazionale umanitario e i diritti umani e ad adoperarsi per la pace e la riconciliazione».