Michael Jackson, il Peter Pan che divenne re
Dieci anni fa. Dieci anni fa... Già allora i siti di gossip non erano fonti accreditate per le notizie, per cui quando dieci anni fa, dieci anni fa domani, il 25 giugno 2009, TMZ diffuse la notizia della morte di Michael Jackson, sulle prime tutti stentarono a crederci. Possibile? The King of Pop? Morto? Così, semplicemente? Ma non stava meglio? Lo avevamo visto a marzo, a Londra, impegnato ad annunciare This is it anche se nessuno aveva capito bene la portata della cosa. Colpa sua: era apparso con un viso scheletrico, incorniciato da un casco di capelli lisci e neri (una parrucca, sostenne subito qualcuno), gli occhi coperti da occhiali scurissimi, naso, zigomi e mento nuovi di zecca, pochissime parole interrotte da risatine e anche dalla commozione per il calore isterico del pubblico: «Vi amo così tanto... Questo è tutto... Intendo dire sul serio perché... Canterò le canzoni che i miei fan vogliono sentire... Questo è il sipario finale... Vi vedrò in luglio e... Vi amo. Dovete saperlo. Vi amo così tanto, dal profondo del mio cuore! Questo è tutto e... Ci vediamo in luglio». Eh? Poi venne precisato che MJ avrebbe tenuto una serie di concerti alla 02 Arena e solo questo fatto avrebbe messo a tacere le voci che lo volevano ridotto male, ormai incapace di esibirsi, forse anche di cantare, pure di respirare.
Perché la leggenda ha sempre accompagnato Michael Joseph Jackson, ottavo rampollo della numerosissima famiglia di Katherine e Joe, consacrata alla musica. Quando nel 1968 incise il suo primo singolo ( Big boy) assieme ai quattro fratelli maggiori Tito, Jackie, Jermaine e Marlon, per una piccola etichetta di Gary, Indiana, la città natale, Michael aveva solo dieci anni. La sua età, però, venne abbassata a otto, per rendere quel bambino dalla voce acuta intonatissima e dai passi di danza già perfettamente coordinati ancor più un prodigio. Il sogno era incidere per la Motown, l’etichetta di Marvin Gaye, delle Supremes, dei Temptations, di quello che, all’epoca, veniva chiamato «Little» Stevie Wonder, ma proprio quest’ultimo, inizialmente, frenò il boss Berry Gordy: aveva già un bambino. Cosa se ne faceva di altri cinque? Secondo la leggenda (ancora) fu Diana Ross a convincerlo e presto i Jackson Five vennero messi sotto contratto e affidati al team di autori noto come The Corporation (Freddie Perren, Deke Richards, Alphonzo Mizell e lo stesso Gordy) che gli confezionarono hit irresistibili come I want you back e ABC. Il resto è storia. Non sempre bella. I Jackson 5 (aveva più appeal scritto così) erano infatti in testa alle classifiche ma, in pratica, erano solo dei meri esecutori di idee altrui. E la personalità del piccolo di casa, nonostante l’amore familiare, schiacciava quella dei fratelli, relegati al ruolo di comprimari perfino nel seguitissimo cartoon a loro dedicato e che contribuì alla fama del quintetto.
Per cui la carriera solistica del futuro «re del pop» iniziò prestissimo, già nel 1971, anche se i quattro album incisi per la Motown non rendono giustizia alle sue potenzialità in quanto frutto della collaudata (ma non sempre efficace) catena di montaggio di una casa discografica che seguiva le tecniche di costruzione delle attigue fabbriche di automobili. Nel frattempo la band lasciò la Motown, cambiò nome – di poco: The Jacksons – si accasò alla Epic alternando successi e fiaschi finché – siamo alla fine degli anni Settanta – Michael decise di affiancare la sua amica Diana nel film The wiz, remake in musical del Mago di Oz” con un cast all black: lui era lo spaventapasseri. Il direttore musicale della colonna sonora era Quincy Jones e, anche qui, il resto è storia. Storia milionaria: Off the wall, l’esplosione di Thriller, nessuno aveva mai venduto così tanto (ciao ciao Jacksons...). Le innovazioni nel campo dei videoclip (dopo John Landis anche Martin Scorsese, Francis Ford Coppola e Spike Lee). Il più grande ballerino dai tempi di James Brown (siamo sinceri: anche Mr. Dynamite deve tirarsi indietro di fronte a MJ di cui tutti, almeno una volta nella vita, hanno cercato di imitare il «moonwalking»).
Il disco più venduto di tutti i tempi (66 milioni di copie secondo il Guinness di due anni fa e il dato è da aggiornare). E nessuno era mai stato così tanto chiacchierato, complice il cambiamento intervenuto tra l’album milionario di Beat it e Billie Jean e il successivo Bad. Cos’è successo? È diventato bianco? Per forza: dorme in una camera iperbarica per conservare la sua giovinezza. Del resto ha subito un intervento per mantenere quel falsetto così alto, quasi femminile (no, non volete sapere quale intervento). È strano: vive con una scimmia! Perché tiene un guanto su una sola mano? In realtà è fidanzato con Tatum O’Neal. Anzi, con Brooke Shields. Anzi, sposa... la figlia di Elvis? Realtà e «rumours» si intrecciavano nella vita di MJ mentre i dischi dopo (Dangerous, la mezza raccolta HIStory, i remix di Blood on the dance floor e Invincible) schizzavano sempre al numero uno. Ma finché si scherza, finché si parla dell’aspetto sempre più bizzarro e delle tue manie (vere o presunte) sempre più eccentriche, tutto rientra nel gioco tra la popstar e i media. La pedofilia è un’altra cosa. È un reato odioso, ributtante, terrible: l’accusa più infamante per una persona, celebre o sconosciuta che sia. I fan non ci hanno mai creduto, ma, appunto, sono fan che non vogliono vedere distrutto il proprio idolo.
Gli altri ci hanno sguazzato con gioia – è storia recente Leaving Neverland, un filmato che dipinge Jackson come il peggiore dei maniaci sessuali – ma, appunto, volevano distruggerlo. I tribunali lo hanno assolto e non ci sarà mai una verità assoluta perché dieci anni fa... Dieci anni fa oggi, TMZ diffuse la notizia della morte di Michael Jackson. Peter Pan se n’era andato cinquantenne, per una dosa eccessiva di tranquillanti (non c’è davvero spazio, qui, per ripercorrere tutta l’inchiesta successiva, passiamo subito alla fine: Conrad Murray, il suo medico che gli praticò l’iniezione letale, è stato condannato a quattro anni per omicidio accidentale). Cinquant’anni dal 1969 di I want you back. Dieci da quel 25 giugno 2009. Già dieci anni.