L'editoriale

Mille giorni di guerra, e doveva essere uno soltanto

Il commento di Paolo Galli sullo stato del conflitto in Ucraina - Iniziato il 24 febbraio del 2022, per ora non sembra concedere speranze di un'imminente fine
Paolo Galli
19.11.2024 06:00

Doveva finire in un giorno soltanto, tre al massimo. Vladimir Putin aveva pianificato la propria entrata a Kiev come trionfale, risolutrice, definitiva. Un rapido colpo di mano. Non è andata proprio così. E nella notte tra oggi e domani, infatti, il conflitto raggiunge la soglia dei mille giorni. Mille giorni di guerra. Una guerra che ha fatto - secondo stime non ufficiali, è sempre il caso di ricordarlo - quasi trecentomila vittime e poco meno di un milione tra feriti e dispersi. Sono state maggiori le perdite tra le file russe che non tra quelle ucraine. Il che la dice lunga sulla sorprendente resistenza ucraina e sul peso degli aiuti occidentali. Ma anche sulla preparazione approssimativa, almeno inizialmente, da parte del Cremlino.

Oggi, guardando a quel 24 febbraio 2022, rimangono negli occhi le immagini dei carri armati russi che puntano la capitale ucraina. La minaccia nei giorni precedenti era già incombente, ma non sembrava reale. Non la si voleva neppure accettare. Poi è stata come la concretizzazione di un incubo. «Ho deciso di condurre un’operazione militare speciale». Lo sguardo gelido di Putin. «Ci impegneremo per la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina». Era iniziata la guerra più sanguinosa e drammatica della nostra epoca. Una guerra contro l’Ucraina e l’Occidente, con la scusa di «comportamenti immorali» da parte della NATO. Molto si è discusso, da allora, attorno alle responsabilità dell’Alleanza Atlantica, cercando di risalire alle origini, di trovare un perché plausibile. Ma nulla può spiegare fino in fondo il continuo spargimento di sangue, l’ostinazione con cui la Russia insiste nel conflitto e nel sacrificare la propria gioventù in nome di chissà quale futuro.

Già, il futuro. L’elezione di Donald Trump alla presidenza negli Stati Uniti ha dato il la alle letture più disparate. Di chiaro, ancora, c’è poco o nulla. Si registrano però segnali di una nuova consapevolezza. Quella che l’Ucraina non potrà più tornare ciò che era, né sul piano morale, né su quello geografico. La speranza offerta dall’Amministrazione Biden, legata a un continuativo impegno della NATO - e degli Stati Uniti in particolare, l’esempio del via libera all’uso dei missili a lungo raggio è il più recente - a Est, quindi principalmente su quel fronte, si è dissolta. Ma nell’immaginario collettivo, è come se l’Ucraina, di colpo, avesse perso una volta per tutte i territori attualmente occupati dalla Federazione Russa. «A breve, niente più paghetta per Zelensky», ha ricordato con scherno il figlio di Trump negli scorsi giorni. I segnali, al di là della dialettica più becera, vanno in effetti in quella direzione. E senza «paghetta», non solo per Kiev sarà improbabile riprendersi ciò che le è stato sottratto con la forza, ma sarà anche difficile resistere in questo stesso quadro.

Il rischio è proprio questo, di togliere la speranza all’Ucraina, quella stessa speranza alimentata a partire dal surreale Day-1 della guerra, dalla resilienza messa in campo sin dalle prime battute del conflitto attorno alla figura - per certi versi anche controversa - di Zelensky. Il piano di pace di Kiev difficilmente combacerà con quello che le verrà eventualmente dettato da Trump, men che meno potrà essere accettato da Putin. Lo ricordiamo: Zelensky vuole un ritiro totale delle truppe russe da ogni territorio all’interno del confine ucraino internazionalmente riconosciuto, Crimea compresa. È chiaro come questa idea si scontri con la realtà della guerra. Lo stesso Lavrov, da parte russa, ha una volta ancora respinto persino l’idea di congelare il conflitto sull’attuale linea del fronte. La Russia vuole di più, la sovranità in Crimea e nelle regioni di Kherson, Zaporizhzhia, Lugansk e Donetsk, l’allontanamento di Kiev dalla NATO e chissà cos’altro.

E Trump che cosa vuole? Intanto continua a ripetere che «la guerra in Ucraina deve finire». La considera la sua priorità assoluta, al punto da scommettere di poterla sbrigare nel giro di poche ore. Era lo stesso obiettivo che aveva Putin il 24 febbraio del 2022. Mille giorni di guerra or sono.

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