L’anniversario

«A Schettino non ho più niente da dire, ma nessuno deve abbandonare la propria nave»

I ricordi del Capitano Gregorio De Falco a 10 anni dal naufragio della Costa Concordia: «Abbiamo fatto tutto il possibile per evitare un’ecatombe»
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Mattia Sacchi
13.01.2022 06:00

È la sera del 13 gennaio 2012. La Costa Concordia è salpata da poche ore da Civitavecchia per dirigersi verso Savona, ultima tappa della crociera «Profumo di agrumi». Per i 3.216 passeggeri sono le ultime ore di vacanza, quelle dove ti godi l’ultima cena a bordo, prepari i bagagli, saluti i compagni di viaggio occasionali con i quali scambi i numeri di telefono con quella promessa, mai rispettata, di risentirvi presto. Alle 21.45 un rumore sordo, le luci che si spengono, il panico: le 114.147 tonnellate di stazza lorda della nave, una delle più imponenti della Marina Mercantile Italiana, si scontrano con il più piccolo degli scogli delle Scole, nei pressi dell’Isola del Giglio. Da quel momento nulla sarà come prima. Non solo per la tragedia consumata, con 32 persone morte nell’incidente, ma anche per alcuni episodi entrati nell’immaginario collettivo, dall’abbandono della nave del Comandante Francesco Schettino, la cui figura è diventata ormai un simbolo di pavidità, al celebre «torni a bordo, cazzo», usato dal Capitano Gregorio De Falco come ultimo disperato tentativo di far ritornare sulla Costa Concordia la persona che avrebbe dovuto coordinare le operazioni di salvataggio. Il Corriere del Ticino ha parlato proprio con De Falco, che nel frattempo è diventato Senatore della Repubblica Italiana, a dieci anni da quella drammatica notte.

«Ricordo come se fosse ieri quel giorno, con quella telefonata a casa per dirmi che c’era una nave in difficoltà che tuttavia mai mi avrebbe fatto immaginare un evento di tale portata. Ma il ricordo più vivido, quello che mi ha fatto capire che ci stavamo trovando di fronte a un dramma, è stata la chiamata di una motovedetta, che mi avvisò che era stato trovato un cadavere e che la nave era molto inclinata, con molte persone che stavano cadendo in acqua. E noi avremmo dovuto fare il possibile per evitare un’ecatombe».

Ma le condizioni, in una notte d’inverno con oltre 4.200 persone tra passeggeri ed equipaggio da salvare, sono apparse sin da subito complicate. «Purtroppo ci siamo ritrovati di fronte a un abbandono nave disordinato, con i passeggeri in panico e il personale di bordo totalmente impreparato e poco professionale – spiega l’allora capo della sala operativa della capitaneria di porto di Livorno - Abbiamo subito utilizzato gli elicotteri con i visori notturni per vedere il calore dei corpi e per soccorrere i casi più urgenti, ad esempio una ragazza con una frattura ossea esposta che, se fosse caduta in acqua, non avrebbe avuto speranze di sopravvivere».

Il massiccio dispositivo di salvataggio messo in atto da De Falco, che ha coinvolto oltre ai mezzi di soccorso della Guardia Costiera, dei Vigili del Fuoco, dell’Aeronautica, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia anche tutte le navi mercantili presenti nella zona, ha permesso di salvare 4.197 vite umane. Ma in 32 non ce l’hanno fatta. «E ogni morte è una morte di troppo. Il grande rammarico è quello di essere stati avvisati con un inaccettabile ritardo. Un tempo che avrebbe permesso di portare la gente a terra e in sicurezza – commenta commosso il Capitano di fregata - È difficile convivere con questa realtà, ma da parte mia c’è anche la consapevolezza di aver fatto davvero tutto quanto in mio potere e che le vittime non sono morte perché era impossibile salvarle, bensì perché il soccorso a bordo non ha funzionato per niente. Anche il Senato americano ha analizzato il naufragio della Costa Concordia, con gli esperti che hanno confermato come l’operato della Guardia Costiera sia stato inappuntabile. Mentre le indagini della Procura di Grosseto sono piuttosto esplicative delle responsabilità del personale di coperta a bordo quella notte».

Il più tristemente noto, ormai quasi paragonabile al «villain» di un film, è certamente il Comandante Schettino. «Anche gli altri ufficiali, a partire dal primo ufficiale Ambrosio e il terzo Coronica che non hanno modificato quella rotta folle verso gli scogli, e lo stesso personale tecnico di Costa Crociere, la cui gestione dell’emergenza e il coordinamento con le autorità è stato a dir poco fallace, hanno importanti colpe. A questo proposito mi dispiacque molto scoprire che un ex comandante della Costa Concordia, quindi una persona che conosceva a menadito la nave, si stesse recando verso la nostra sala operativa a Livorno senza però darci indicazioni fondamentali per le operazioni di soccorso. Ma è ovvio che la figura di Schettino, il quale da Comandante ha deciso, tra tutte le iniziative che poteva attuare, di abbandonare la nave è certamente quella che fa più clamore. Un atteggiamento che ha impedito a molte persone di salvarsi la vita».

«Tante volte – prosegue De Falco – mi hanno chiesto cosa vorrei dirgli oggi, guardandolo negli occhi. Ma la realtà è che non ho niente da dire al Francesco Schettino persona, non sono io a dover giudicare la sua statura morale. Mentre al Francesco Schettino comandante ho già parlato nella mia veste di coordinatore delle operazioni di salvataggio e sapete benissimo com’è andata».

Con quella frase, quel «torni a bordo, cazzo» diventato celebre ed entrato nel linguaggio popolare: «Avrei voluto che la mia comunicazione più importante fosse stata la prima con il comando di bordo della Concordia, quando chiesi se per caso si stessero trovando in un’emergenza. Non solo tergiversarono, ma aspettarono altri 20 minuti per dichiarare l’abbandono nave, che invece andava fatto immediatamente. Ogni volta dovevo spingerli a fare un passo in avanti, una situazione surreale che ha fatto perdere un sacco di tempo prezioso. Con quello sfogo a Schettino di tornare sulla nave stavo cercando di avere un interlocutore a bordo che mi permettesse di attuare quelle piccole iniziative, come aumentare il numero di persone sulle scialuppe, che avrebbero significativamente facilitato le operazioni di salvataggio e che da terra era impossibile disporre».

Una tragedia che ha rappresentato una pesante macchia nella marineria italiana, come spiega De Falco: «Fino al 2012 il più noto naufragio di un transatlantico italiano è stato quello dell’Andrea Doria nel 1956, con il comandante Calamai avvinghiato alla ringhiera a esortare i suoi ufficiali di andare via e a coordinare fino all’ultimo momento le operazioni che hanno salvato 1'240 persone, con l’unica vittima una bambina morta a causa del padre che l’ha follemente lanciata verso una scialuppa. Siamo passati a questo atto di commovente e dignitoso eroismo ai silenzi, alla mancanza di collaborazione, alle fughe viste quel giorno di gennaio nei pressi del Giglio. Una vergogna».

Se è vero che ogni incidente è necessario per fare passi in avanti nella sicurezza, cosa ha insegnato la tragedia della Concordia a 10 anni di distanza? «Che a qualsiasi livello di responsabilità ognuno di noi sia chiamato, ognuno deve avere ben chiari gli obblighi e le mansioni che deve ricoprire. Perché tentennare e mancare ai propri doveri può causare gravi danni a sé stessi e agli altri. Le nostre scelte hanno conseguenze sulla società, non dobbiamo mai dimenticarlo. Specialmente in questo particolare periodo storico, dove dobbiamo affrontare uniti una minaccia globale e dove nessuno può permettersi di “abbandonare la nave” per mero egoismo».