Aborto in Giappone: tra consensi e ostacoli
Giappone del Sud. Prefettura di Kumamoto. L'ospedale Jikei è l'unico dell'isola a ospitare le donne che desiderano dare in adozione il figlio che portano in grembo. Il motivo è semplice. Sebbene si tratti di uno dei Paesi più ricchi del mondo, in Giappone le restrizioni sull'aborto sono ancora piuttosto severe. Nella nazione, infatti, a una donna è permesso interrompere la gravidanza solo con il consenso del coniuge, salvo rarissime eccezioni. Più uniche che rare. Secondo il Center for Reproductive Rights, lo stesso obbligo è presente in soli altri dieci Paesi del mondo: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Guinea Equatoriale, Indonesia, Kuwait, Marocco, Siria, Taiwan, Turchia, Yemen e, fino a pochi anni fa, Corea del Sud. In Giappone, in particolare, il requisito si applica però nella maggior parte delle situazioni anche alle donne non sposate. Questo porta a volte ad alcuni casi estremi, dove le madri danno alla luce il proprio bambino in luoghi pubblici (come i bagni), per poi abbandonarlo in un secondo momento, portandolo quindi a morte certa. Secondo quanto riporta il Washington Post, nel 2018 sono stati 28 i casi noti di infanticidio di bambini sotto l'anno di età nel Paese. L'ospedale Jikei, nel suo ruolo di «rifugio per neonati», cerca quindi di offrire una soluzione alternativa per limitare il fenomeno, che in Giappone è molto più preoccupante di quanto sembri.
«Ancora nel Medioevo»
«Forse il Giappone è ancora nel Medioevo». Sono le parole di Mizuho Fukushima, una donna politica della minoranza socialdemocratica. Le perplessità e i dubbi della donna sono presto spiegati. Nel Paese, infatti oltre a essere legale solo con il consenso del coniuge, il costo dell'intervento chirurgico di aborto è decisamente elevato. Secondo il Ministero della salute giapponese, i prezzi per l'intervento hanno un costo che varia tra i 100.000 e i 406.000 yen giapponesi (ossia, tra i 700 e i 3.000 franchi). Solo recentemente si è iniziata a considerare la possibilità di rendere disponibili anche le pillole abortive, trattamento meno invasivo ma efficace e sicuro, già utilizzato in diversi Stati. L'uso dei contraccettivi in Giappone è inoltre basso basso, specie per quanto riguarda la pillola anticoncezionale. Dei Paesi industrializzati, il Giappone è stato l'ultimo ad adottare il medicamento e attualmente si stima che solo il 3% della popolazione femminile ne faccia uso. La pillola anticoncezionale è stata a tutti gli effetti approvata solo nel 1999, dopo 44 anni di dibattiti sull'argomento. E le pillole del giorno dopo? La storia non è molto diversa. Oltre a essere particolarmente costose, sono ancora disponibili solo su prescrizione medica. «L'aborto costa parecchio e l'accesso agli ospedali è molto difficile. Ecco perché non c'è fine al numero di casi, anno dopo anno, di persone che fanno nascere i bambini nei bagni e poi li abbandonano o li uccidono», confessa sempre Mizuho Fukushima al Washington Post.

L'esperienza di Yuriko
La situazione in Giappone, quindi, è grave. La mancanza di opzioni, in alcuni casi, può infatti portare a pesanti conseguenze, come nel caso di Yuriko. La giovane, 26.enne, ha raccontato la sua storia al quotidiano statunitense, spiegando come una gravidanza non pianificata abbia infranto le speranze che riponeva nel suo futuro. Yuriko prendeva la pillola da circa un mese, quando ha conosciuto l'uomo che sarebbe diventato il padre di suo figlio. Pur pensando di prendere le giuste precauzioni, infatti, la giovane è rimasta incinta. Sognava di laurearsi. Non era pronta ad avere un bambino. Ha fatto domanda all'ospedale di Hokkaido per l'aborto, ma le è stato negato. Il feto era ancora troppo piccolo e nel frattempo avrebbe comunque dovuto ottenere il consenso del padre del bambino, anche se non erano sposati. La 26.enne, terrorizzata, ha prenotato un viaggio verso Tokyo, per far firmare all'uomo i documenti. Temeva non si presentasse all'incontro, aveva paura di tornare a casa senza la firma di cui tanto aveva bisogno. Nell'attesa, però, Yuriko ha fatto ricerche sull'aborto, al punto tale da spaventarsi e cambiare idea sulla specializzazione a cui tanto ambiva per concludere i suoi studi e sull'interruzione di gravidanza. Decisivo, infatti, per la giovane, è stato scoprire in che cosa consistesse l'intervento invasivo a cui si sarebbe dovuta sottoporre. «Se ci fossero state delle pillole abortive, come è previsto in altri Paesi, sarei andata avanti con l'interruzione di gravidanza». Yuriko, a breve, diventerà mamma.
Pochi bambini, meno aborti
La possibilità di abortire delle donne giapponesi è fortemente minacciata anche dal recente calo di natalità che ha colpito il Paese. Alcuni politici, ormai da anni, si domandano se le donne debbano continuare ad avere accesso all'aborto, o se non si tratti di una scelta da abolire, visto il declino demografico e il basso tasso di natalità nella nazione. Secondo i sostenitori pro aborto, la salute riproduttiva e sessuale delle donne è una faccenda totalmente separata dalle esigenze demografiche del Paese. Un'opinione condivisa dai politici? Non proprio. «Mi è capitato di incontrare alcune figure politiche e di parlare dell'argomento. A volte, mi è stato chiesto: "Perché parlare di contraccettivi, quando abbiamo un numero così basso di bambini nel nostro Paese?"», spiega l'attivista Kazuko Fukuda al Washington Post. «Penso però che il problema sia diverso. Le questioni relative alla riproduzione sono sempre pensate nel contesto di un profitto nazionale, invece che nell'ottica di una scelta delle donne. La discussione dovrebbe quindi vertere sulla creazione di un sistema sociale in grado di sostenere maggiormente la popolazione femminile».

Un'unica via di fuga
In Giappone, di conseguenza, il numero di donne incinte e isolate rimane elevato. «Non riescono a ricevere aiuto da chi le circonda, sono timorose che altri scoprano la loro gravidanza. Noi siamo la loro ultima risorsa», ammette Takeshi Hasuda, direttore dell'ospedale Jikei. A partire dal 2007, anno di fondazione dell'unico rifugio sicuro del Paese per le donne con gravidanze indesiderate, sono 161 i bambini abbandonati dopo essere stati messi alla luce. Inoltre, nonostante il Giappone non si posizioni tra i Paesi più religiosi del mondo, la nazione è caratterizzata da un forte senso di responsabilità sociale, che si trasferisce di riflesso nel dibattito sull'aborto. Sono molte, infatti, le donne che provano un sentimento di vergogna quando ammettono di aver preso in considerazione la procedura per abortire. «Le donne che cercano di abortire molto spesso si vergognano e non si sentono in grado di chiedere diritti, sia per quanto riguarda una riduzione dei costi, o altri tipi di accessibilità», confessa il dottor Hasuda. «E dal momento che queste persone non alzano la voce, è difficile che qui da noi questi argomenti diventino veri e propri temi di discussione, come invece è accaduto negli Stati Uniti».