L'intervista

Alec Ross: «Elon Musk? Un ideale da Übermensch, se è oligarchia lo capiremo presto»

A tu per tu con l'ex consigliere di Barack Obama e senior advisor per l'Innovazione di Hillary Clinton, ora docente di geoeconomia e geopolitica alla Bologna Business School
Mark Zuckerberg di Meta, Jeff Bezos di Amazon con la compagna, Sundar Pichai di Google ed Elon Musk di X durante l'insediamento di Donald Trump. © SAUL LOEB / POOL
Paolo Galli
23.01.2025 06:00

Alec Ross, 53 anni, oggi insegna a Bologna. È uno dei massimi esperti di innovazione, al punto che fu consigliere di Barack Obama e senior advisor per l’Innovazione dell’allora segretaria di Stato Hillary Clinton. È autore del best seller Il nostro futuro. Come affrontare il mondo nei prossimi vent’anni.

Che effetto le ha fatto vedere, alle spalle di Donald Trump, lunedì, tutti i patron delle Big Tech? Che cosa significa quell’immagine anche sul piano simbolico?
«Ci sono diversi livelli di significato dietro la presenza dei leader delle più grandi aziende tecnologiche americane al fianco di Trump durante l’inaugurazione. Innanzitutto, a livello culturale, è importante capire che gli Stati Uniti sono un Paese definito dall’imprenditorialità e dai suoi imprenditori. L’atto stesso di venire negli Stati Uniti, secoli fa e ancora oggi, è un atto di imprenditorialità. Mentre gli italiani tendono a rivolgersi al Governo per trovare soluzioni ai loro problemi, gli americani si affidano alle loro imprese. A un livello più specifico, con Trump, bisogna comprendere che lui valuta le persone in base alla loro ricchezza. Per lui, circondarsi degli uomini più ricchi d’America rappresenta la forma più forte di validazione immaginabile. A loro volta, questi miliardari non sono stupidi. Sanno che coltivare un rapporto con Trump aumenterà sostanzialmente il loro potere. Per il resto del mondo, la lezione da trarre è che Trump intende liberare le imprese americane da qualsiasi forma di regolamentazione. L’Europa ha già molte più regole rispetto agli Stati Uniti, e Trump ha dichiarato che per ogni nuova regolamentazione, ne dovranno essere eliminate dieci. Quindi, sia simbolicamente che concretamente, si dovrebbe guardare alla presenza di Musk, Zuckerberg, Bezos e degli altri come un segnale chiaro: alcune delle persone più potenti al mondo stanno per diventare ancora più potenti».

Secondo lei possiamo davvero parlare di oligarchia tech industriale come ha fatto Joe Biden nel suo discorso d’addio?
«C’è stata un po’ di ipocrisia nelle parole di Biden. Mi sembra un uomo anziano e amareggiato. È ipocrita, innanzitutto, perché nei giorni precedenti la fine del suo mandato ha conferito la Presidential Medal of Freedom, una delle più alte onorificenze del nostro Paese, proprio a diversi miliardari. Quindi mi pare che a Biden piacciano i miliardari che lo sostengono e non quelli che non lo sostengono. Per quanto riguarda l’oligarchia, non c’è dubbio che tutti questi uomini possiedano un potere enorme. Credo che Elon Musk sia probabilmente la quinta persona più potente al mondo oggi, dopo Trump, Xi Jinping, Modi e Putin. Il vero test per capire se questa è una vera oligarchia si vedrà nei prossimi uno o due anni, osservando come sceglieranno di esercitare il loro potere. Rimarrà confinato al regno economico o, come nel caso di Musk, attraverserà anche quello politico? Vediamo».

Soprattutto: possono rappresentare una minaccia per la democrazia?
«Non ho un punto di vista religioso su questo. Sto ancora studiando la questione. Trump è stato eletto democraticamente. Non ho votato per lui, ma il semplice fatto è che, votando per Trump, il popolo americano ha scelto questo approccio al governo. Il quadro più ampio, dove credo risieda la vera minaccia alla democrazia, è quando persone di enorme ricchezza estendono il loro potere manipolando i nostri ecosistemi di notizie e informazioni. Mark Zuckerberg ha una lunga storia in questo senso. Elon Musk lo ha fatto durante le elezioni del 2024 con X, e Jeff Bezos è il proprietario del Washington Post, anche se non abbiamo ancora visto molti cambiamenti editoriali lì. Penso che ci siano diversi strati di complessità in questa situazione, ma è sicuramente vero che, eleggendo democraticamente Donald Trump, il popolo americano ha dato potere a una comunità molto specifica di miliardari americani».

Lei conosce il mondo delle Big Tech negli Stati Uniti: questi miliardari hanno interessi solo finanziari rispetto all’insediamento di Trump o a muoverli sono anche altre motivazioni?
«Conosco e ho passato del tempo con tutti questi uomini. Alcuni li conosco meglio di altri, ma penso di conoscerli abbastanza bene per dire che, pur avendo alcune cose in comune, come un’enorme ricchezza, hanno obiettivi molto diversi tra loro. Credo che Elon Musk sia più motivato dall’ideologia e dalla filosofia del transumanesimo che dal denaro. Penso che Mark Zuckerberg sia principalmente motivato dal denaro. Jeff Bezos, invece, ha un ventaglio di interessi più ampio. Ad esempio, il Bezos Earth Fund è, se non sbaglio, il più grande fondo filantropico dedicato al cambiamento climatico. Bezos ha interessi sia imprenditoriali che filantropici, più che politici. Per ognuno di loro, penso che le risposte siano diverse. Possono essere raggruppati, ma analizzandoli individualmente si vede chiaramente che spesso hanno obiettivi diversi».

Questa sorta di iper-mascolinità radicata nell’approccio dell’Übermensch nietzschiano non è più qualcosa di nascosto. Ne parlano apertamente. E non mi sfugge che Peter Thiel sia tedesco, sia per origine che per cultura

Si sta facendo largo, negli Stati Uniti, la lettura secondo cui questi miliardari sarebbero mossi anche da una sorta di delirio di onnipotenza, da moderni übermensch. Più vicini al potere istituzionale sono, più libertà hanno di influenzare il mondo secondo la loro logica e fantasia. Può esserci del vero secondo lei? E qual è questo mondo ideale?
«C’è assolutamente del vero in questo. Peter Thiel è il vero padre intellettuale di questo movimento. E sotto di lui ci sono probabilmente una trentina di suoi discepoli che promuovono questa ideologia. Penso che questa descrizione si adatti molto bene anche a Musk. Questa sorta di iper-mascolinità radicata nell’approccio dell’Übermensch nietzschiano non è più qualcosa di nascosto. Ne parlano apertamente. E non mi sfugge che Peter Thiel sia tedesco, sia per origine che per cultura».

In un’altra intervista, professore, lei stesso citava la PayPal Mafia. L’impressione è di un ideale di mondo molto maschile, di maschi alfa. Su che cosa si basa questo immaginario?
«La mia è una lettura che si basa sulle interazioni personali avute con loro e su ciò che dichiarano pubblicamente. L’estrema mascolinità ha radici che, a mio avviso, sono più psicologiche che filosofiche. È un argomento scomodo quando si inizia davvero a scavare nelle origini di ciò che guida questa ideologia. Ci sono sfumature di grigio. E conoscendo molti di questi uomini, so che in certi casi possono esserci radici ideologiche, ma il più delle volte si tratta di radici psicologiche».

Quale potrebbe essere la loro influenza concreta su Trump e sull’indirizzo della sua politica?
«La loro maggiore influenza si manifesta nei dettagli delle politiche. Trump non ha un orientamento preciso; ama le grandi dichiarazioni, ma non è bravo con i dettagli. Al contrario, molti di questi imprenditori, con Elon Musk in testa, sono maestri nei dettagli. Pensano e lavorano come ingegneri. Ciò che possono fare, una volta che Trump dichiara un obiettivo o una politica, è essere messi nella posizione di definire tutti i dettagli, plasmando concretamente il modo in cui la politica viene formulata ed eseguita».

Alcuni tra questi aspiranti oligarchi hanno grossi interessi anche in Cina. Potrebbero essere visti quindi come un argine rispetto al muro contro muro tra Washington e Pechino?
«Questa è una questione aperta. Alcuni di loro, come Elon Musk e Tim Cook di Apple, hanno enormi investimenti in Cina. Altri, come Jeff Bezos di Amazon, Mark Zuckerberg di Meta e i leader di Google, sono stati esclusi dalla Cina da tempo. Quindi, all’interno di questa comunità di miliardari tecnologici, esiste una tensione intrinseca sulla questione cinese. Detto questo, questo è un ambito in cui Donald Trump non necessariamente vuole o ha bisogno dell’orientamento del settore tecnologico. È fortemente anti-Cina e ha già deciso come si sente riguardo alla Cina. Naturalmente, restano molti dettagli da definire. Mi aspetto grandi scontri interni tra i vari stakeholder nell’orbita di Trump per determinare quali saranno le politiche specifiche nei confronti della Cina».

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