Alice Weidel, la leader della destra che vuole Berlino fuori dall'UE
Sostiene Andreas Rödder, storico dell’Università Johannes Gutenberg di Magonza, che l’ondata populista globale in grado di spingere l’estrema destra di Giorgia Meloni al potere in Italia nel 2022, di dare al Rassemblement National di Marine Le Pen la vittoria al primo turno delle elezioni francesi della scorsa estate e di assicurare, a novembre, la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca, «fa parte di uno spostamento tettonico nelle democrazie occidentali: il pendolo si sta muovendo verso destra, e questo è ciò a cui si è collegato anche Alternative für Deutschland (AfD)».
L’efficace sintesi di Rödder è contenuta nel lungo profilo che il Financial Times ha dedicato, qualche giorno fa, ad Alice Weidel, co-presidente di AfD, la formazione di estrema destra in procinto probabilmente di diventare, il prossimo 23 febbraio, il secondo partito della Germania.
Indicata dal congresso di Riesa, in Sassonia, quale candidata alla Cancelleria, Alice Weidel è oggi il soggetto misterioso della politica tedesca. Molto si può dire di questa donna 45.enne, ma non che «rientri nello stereotipo di un radicale di destra». Sposata con la produttrice cinematografica svizzera Sarah Bossard, che è nata nello Sri Lanka, Weidel vive con la compagna e i due figli adottivi ad Einsiedeln, nel canton Svitto. Dopo la laurea in Economia, ha lavorato come analista per Goldman Sachs a Francoforte e, in seguito, ha scritto una tesi di dottorato sul sistema pensionistico cinese. Gli osservatori, scrive il Financial Times, «vedono Weidel come il tentativo di AfD di presentare un volto più appetibile al pubblico in un Paese in cui molti attribuiscono grande serietà all’evitare di ripetere gli errori che hanno portato all’oscuro passato nazista».
Un partito di professori
Ma chi è, veramente, Alice Weidel? Che cosa propone? E quanto può fare paura all’Europa la leader di un movimento che intende trascinare la Germania fuori dalla moneta unica e fuori, anche, dall’Unione europea? «Per capire Alice Weidel bisogna fare un passo indietro e tornare alla fondazione di Alternative für Deutschland, nata nel febbraio 2013, e questo è interessante ribadirlo, come partito di professori contro l’euro e capace poi di raccogliere una serie di malesseri legati al processo di riunificazione - dice al CdT Brunello Mantelli, germanista, già associato di Storia contemporanea all’Università di Torino - Nel tempo, AfD è cresciuta ed è diventata una sorta di movimento degli scontenti, o di una significativa fetta degli scontenti, costruendo le proprie roccaforti a Est, nei Länder della ex Germania orientale, dove a lungo c’è stato, e in parte secondo me c’è ancora, un forte bisogno di rappresentatività. La stessa rappresentatività - sottolinea Mantelli - per un certo periodo affidata alla PDS (erede della SED, il partito che governava la Germania comunista, ndr) e poi attenuatasi con la Linke. Nella DDR, il fattore di legittimazione del discorso nazionale era l’idea di essere la Germania migliore, vera, diversa da quella americanizzata e occidentalizzata. E, in questo crinale, si è inserita l’AfD».
Un partito fortemente conservatore e «nazionalgermanico», lo definisce Mantelli, «più somigliante ai nostalgici dell’Impero della Deutschnationale Volkspartei (DNVP) di Weimar che ai nazisti. L’AfD è attraversata da anime e componenti diverse, e Alice Weidel è stata a lungo espressione dell’ala più moderata. E anche se adesso, ovviamente, in campagna elettorale, tira fuori slogan di fuoco, la sua storia personale in realtà permette, anzi costringe, in qualche modo, questo tipo di destra ad accettare come propri alcuni elementi di modernizzazione».
Come negli USA Trump insiste sul concetto di Make America Great Again, rendi di nuovo l’America forte, «allo stesso modo l’Afd afferma di volere Machen wir Deutschland wieder großartig - dice Mantelli - e in questo modo pone, tra l’altro, un problema reale, poiché dalla riunificazione in poi la Germania fatica a restare, come prima, gigante economico e nano politico. Basti pensare alla fatica di Olaf Scholz per far approvare uno stanziamento straordinario per le armi da inviare in Ucraina. La questione è seria: in un Paese in cui parlare di guerra e forze armate resta un tabù legittimo, visto quanto accaduto nella Seconda guerra mondiale, emergono domande non più rinviabili. Lo stesso ministro della Difesa, Boris Pistorius, figura importante della SPD, ha esortato i socialdemocratici ad affrontare il discorso visto il contesto bellico esploso a poche centinaia di chilometri dal confine tedesco».
Il caso Austria
L’ascesa di Weidel e, soprattutto, dell’AfD riflette, come detto, una dinamica non soltanto tedesca. «In Austria, alle elezioni del 29 settembre scorso, c’è stata una vittoria importante del Partito della Libertà (FPÖ), diventato per la prima volta la principale forza politica del Paese - dice al Cdt Luca Lecis, associato di Storia contemporanea all’Università di Cagliari e profondo conoscitore della realtà austriaca - Dopo mesi, in una situazione di stallo, il presidente della Repubblica Alexander van der Bellen si è visto costretto ad affidare al leader dell’FPÖ Herbert Kickl l’incarico di formare il governo. Ma la strada è in salita. Gli unici che potrebbero allearsi con l’FPÖ sono i Popolari (ÖVP) di Karl Nehammer, che ha però delegato le trattative al segretario del partito Christian Stocker . Questo accade perché Kickl, alla pari e forse più di Weidel, è un personaggio molto controverso: pur avendo fatto parte di governi precedenti, oggi è sotto l’attenzione mediatica sia per i riferimenti all’epoca nazista e all’Olocausto, sia per quanto detto durante la pandemia contro le misure restrittive. È inoltre molto vicino alla Russia di Vladimir Putin, antieuropeista e anti-immigrati».
Chiaramente, dice ancora Lecis «l’opinione pubblica è sovrana. E tuttavia, da questi partiti di destra emerge una tendenza a risposare la causa dell’autoritarismo. C’è un’area, soprattutto nell’Europa centro-orientale, in cui si manifesta sempre più insofferenza per il sistema pienamente democratico e in cui si accarezza la cosiddetta “idea dell’uomo forte”. Pensiamo al caso della Polonia dei gemelli Lech e Jaroslaw Kaczyñski o all’Ungheria di Viktor Orbán, Paesi nei quali c’è stata, o c’è tuttora, una gestione del potere sempre più accentrata e in cui le opposizioni sono via via ridotte al silenzio». In tutta l’area tedesca, ma non solo, sottolinea ancora Lecis, «si registra una forte avanzata dei partiti anti-sistemici. Già dal nome, Alternative für Deutschland è un richiamo molto accattivante per l’opinione pubblica della Germania, si presenta come alternativa, appunto, alle forze politiche che hanno gestito la contestata riunificazione. C’è, ed è diffusa, soprattutto in Germania, ma anche in Austria, la tendenza a cedere a questi partiti lo scettro affinché dimostrino le loro capacità. La cosiddetta prova del governo si gioca però fuori dalla retorica e ha sempre penalizzato queste formazioni politiche. Il contesto internazionale poi, è oggi molto diverso e molto scivoloso sul piano del contesto geopolitico europeo: penso all’appoggio dato dalla Germania all’Ucraina dopo l’invasione della Federazione Russa, alla questione dei rapporti interni dell’Unione europea e, soprattutto, al rapporto tra l’Europa e l’imminente, nuova, presidenza Trump».
Qualche problema c’è, aggiunge ancora Brunello Mantelli, «per usare un’espressione molto ragionevole utilizzata di recente dal capo del governo svedese Ulf Kristersson, “In questo momento non siamo in guerra, ma nemmeno siamo in pace”. È un’esatta percezione del contesto europeo, qualcosa che scatena una serie di tensioni soprattutto nei Paesi dove non prevalgono atteggiamenti apertamente ostili a Putin: Austria, Slovacchia, Ungheria».
Tensioni che alimentano la destra anti-sistema. Una destra «insidiosa, più che pericolosa - conclude Luca Lecis - Nell’ultima sua intervista, Oliviero Toscani parlava in alcuni passaggi del coraggio di accettare le sfide e le situazioni scomode, perché soltanto nei frangenti complicati siamo capaci di tirare fuori il meglio e possiamo anelare a uno stato di benessere e di pace. È vero che la situazione contemporanea è molto diversa rispetto agli ultimi decenni, ma forse un anelito alla speranza è più che legittimo».