Anche in Groenlandia la pazienza ha un limite: «I tempi della fiducia in Washington sono finiti»

Donald Trump ne parla, ormai, da mesi. «In un modo o nell'altro», gli Stati Uniti metteranno le mani sulla Groenlandia, con buona pace della popolazione locale che – come dimostrato da un fresco sondaggio – con l'idea di un'annessione americana non vuol avere nulla a che fare. Alla storia, già lunga, si è recentemente aggiunto un nuovo capitolo. Ore fa, infatti, la Second Lady Usha Vance, moglie del vicepresidente americano JD Vance, ha annunciato tramite i suoi profili social che questa settimana si recherà a Nuuk, in concomitanza con la gara nazionale di slitte trainate dai cani della quale «gli Stati Uniti sono sponsor». Ma la visita è tutt'altro che di piacere. Usha Vance, spiegano i media americani, guiderà infatti una delegazione americana di alto livello che comprende anche il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Mike Waltz e il segretario all'energia Chris Wright, i quali hanno in programma di visitare la base militare statunitense in Groenlandia, la Pituffik Space Base.
L'annuncio, non è difficile immaginarlo, non è piaciuto per nulla al governo groenlandese, che per le ingerenze statunitensi sta dimostrando di non avere più pazienza.
In un'intervista concessa al quotidiano groenlandese Sermitsiaq, il primo ministro Mute B. Egede ha definito la visita programmata dai funzionari statunitensi «altamente aggressiva», criticando in particolare la presenza di Waltz. «Cosa ci fa il consigliere per la sicurezza nazionale in Groenlandia? L'unico scopo è quello di dimostrare il suo potere su di noi», ha detto Egede. «La sua sola presenza in Groenlandia alimenterà senza dubbio la fiducia degli americani nella missione di Trump, e la pressione aumenterà». Egede ha dichiarato al Sermitsiaq: «Ogni minuto è importante per garantire che il sogno degli americani di annettere il nostro Paese non diventi realtà». In una serie di dichiarazioni, le più «dure e arrabbiate» dall'inizio del tira e molla, secondo i media americani, il premier groenlandese è andato oltre: «Fino a poco fa potevamo fidarci tranquillamente di Washington, ma questi tempi sono finiti». La leadership statunitense è «completamente e totalmente indifferente a ciò che ci ha uniti sinora, perché ora si tratta solo di prendere il controllo del nostro Paese, contro la nostra volontà». Con un accorato appello, Egede ha chiesto agli alleati internazionali di esprimere con maggior fermezza la propria opposizione alle mire espansionistiche statunitensi: «Nascondersi in un angolino e sussurrare che ci sostengono non ha alcun effetto. Se non si esprimono ad alta voce sul modo in cui gli Stati Uniti trattano la Groenlandia, la situazione si aggraverà di giorno in giorno e l'aggressione americana aumenterà».
Un punto di vista condiviso
La posizione di Egede è condivisa da tutto lo spettro politico groenlandese. Sconfitto nelle recenti elezioni parlamentari, il partito del premier, la sinistra di Inuit Ataqatigiit, dovrà cedere il passo alla destra di Demokraatit, mentre Egede rimarrà primo ministro sino alla formazione di una nuova coalizione di governo. Sulla visita della Second Lady e della delegazione statunitense, tuttavia, Jens-Frederik Nielsen, presidente del Demokraatit e possibile futuro premier, ha espresso posizioni del tutto simili a quelle del primo ministro uscente. Interrogato dal Sermistiaq, Nielsen ha affermato che la tempistica della visita americana mostra «una mancanza di rispetto». «Gli americani sanno molto bene che siamo ancora in una situazione di negoziazione (per la formazione del governo, ndr) e che le elezioni comunali non si sono ancora concluse, ma hanno comunque approfittato del momento per venire in Groenlandia, ancora una volta, il che dimostra una mancanza di rispetto per la popolazione groenlandese».
La prima ministra danese Mette Frederiksen, da parte sua, ha dichiarato che né la Danimarca né la Groenlandia hanno sollecitato i viaggi statunitensi (quello previsto per questa settimana, e quello di Donald Jr a inizio gennaio). Insomma, Washington si è auto-invitata, nuovamente, a Nuuk. «La visita degli Stati Uniti non può essere considerata separatamente dalle dichiarazioni pubbliche che sono state fatte», ha dichiarato Frederiksen, aggiungendo: «È una cosa che prendiamo sul serio». La Danimarca, ha spiegato la politica di Copenaghen, vuole cooperare con gli Stati Uniti, ma che ciò dovrebbe essere basato sulle «regole fondamentali della sovranità».