«Anche la vendita di un cornetto può permettere a Putin di pagare un proiettile»
Unilever è ancora in Russia. A un anno e passa dall'invasione dell'Ucraina da parte dell'esercito di Mosca. E la cosa, a molti, non piace. Soprattutto se pensiamo alla moltitudine di prodotti e marchi gestiti, dal sapone Dove al mitico Cornetto Algida. Sollecitata da più parti, la multinazionale ha spiegato che uscire dalla Federazione «non è semplice». E il motivo è presto detto: le sue attività, qualora il colosso lasciasse il Paese, finirebbero nelle mani dello Stato.
Si stima che Unilever contribuisca all'economia russa per oltre 660 milioni di franchi all'anno. Una cifra, questa, messa in piedi da un gruppo di attivisti denominato Moral Rating Agency, che ha puntato il dito contro l'azienda accusandola, nello specifico, di continuare a favorire la guerra e lo sforzo bellico di Vladimir Putin. «Unilever deve smettere di nascondersi dietro il suo bilancio e le sue scuse e affrontare la realtà» ha dichiarato il fondatore del gruppo Mark Dixon. «E la verità è che la vendita di un gelato può permettere a Putin di pagare un proiettile».
Una serie di aziende occidentali, da Apple a Levi's passando per Ikea e McDonald's, aveva abbandonato la Russia in seguito all'invasione dell'Ucraina nel febbraio 2022, sia per motivi etici sia perché le sanzioni, di giorno in giorno, avevano reso difficile operare nel Paese. In realtà, come emerso da uno studio, a lasciare il Paese è stato solo l'8,5% delle imprese di Paesi UE o del G7. Molti, insomma, sono rimasti. Non solo Unilever, ma anche altri giganti come Procter & Gamble sebbene quest'ultimo abbia dichiarato di aver limitato, e molto, le proprie attività nella Federazione Russa.
Unilever, dal canto suo, ha spiegato di aver interrotto le esportazioni e le importazioni da e verso la Russia. E di non fare più pubblicità nel Paese. Stando a quanto dichiarato dall'azienda, in Russia vende solo e soltanto prodotti essenziali come alimenti di uso quotidiano e prodotti per l'igiene. Una posizione di per sé neutrale, se non fosse che la Moral Rating Agency ha ribadito che gli impianti di produzione di Unilever, nella Federazione, hanno continuato a produrre e vendere la maggior parte dei prodotti. Non soltanto quelli essenziali, dunque.
Quanto alla cifra, quei 660 milioni di franchi e oltre attraverso cui Unilever, direttamente o indirettamente, contribuisce all'economia russa, nascono da un dato specifico, inserito nel rapporto annuale del 2022: le attività in Russia rappresentano l'1,4% del fatturato totale di Unilever.
Unilever, a febbraio, aveva dichiarato di comprendere le ragioni di chi chiede, a gran voce, un'uscita dalla Russia. «Vogliamo però essere chiari sul fatto che non stiamo cercando di proteggere o gestire la nostra attività in Russia» l'aggiunta. «Tuttavia, per aziende come Unilever, che hanno una presenza fisica significativa nel Paese, uscire non è semplice». Unilever impiega circa 3 mila persone in Russia. Dovesse lasciare il Paese dall'oggi al domani, i suoi marchi «verrebbero gestiti dallo Stato». Finora, il gigante dei beni di consumo non è riuscito a trovare un modo per cedere le proprie attività che, citiamo, «eviti allo Stato russo di trarre ulteriori vantaggi e che salvaguardi il nostro personale».
L'azienda ha pure ribadito che non esistevano opzioni «auspicabili», ma anche di continuare a gestire le sue attività in Russia con «vincoli rigorosi».
Unilever, dicevamo, non è la sola azienda a essere rimasta o ad aver continuato a fare affari con la Russia. La Shell, come riferisce la BBC, questa settimana è stata aspramente criticata per aver continuato a commerciare gas russo un anno dopo aver garantito di volersi ritirare dal mercato energetico della Federazione. Shell, dal canto suo, ha detto che gli scambi per i quali è stata criticata sono semplicemente il risultato di «impegni contrattuali a lungo termine» e non violano leggi o sanzioni.