Ariel Henry a Porto Rico, e ad Haiti è ancora caos
La situazione ad Haiti è ancora fuori controllo. Il Paese, che ha dichiarato lo stato d'emergenza negli scorsi giorni in seguito all'assalto alle carceri e alla fuga di numerosi detenuti, sta ancora lottando con violenze e tensioni. La nazione caraibica, insomma, è nell'anarchia. Nonostante il premier Ariel Henry, dopo giorni di assenza e di silenzio, stia cercando di ritornare nel Paese, anche se fino ad ora senza successo.
Il primo ministro – nonché bersaglio delle gang criminali che hanno confessato di aver agito per provocarne le dimissioni – negli scorsi giorni, quando tutto è cominciato, si trovava in Africa. Solo ieri ha cercato di fare ritorno ad Haiti, ma ha dovuto rinunciare a causa del caos che ha invaso gli aeroporti del Paese, e per un divieto ad atterrare imposto dalle autorità della Repubblica Dominicana, che hanno addirittura annunciato una chiusura dello spazio aereo sull'isola Hispaniola che Santo Domingo divide con Haiti. Non potendo far rientro in patria, il primo ministro, col suo aereo privato, si è dunque diretto a Porto Rico, dove è atterrato nello scalo della capitale.
Il rientro verso casa del premier, in qualche modo, è stato visto come un punto di svolta, dopo giorni di silenzio. Ciononostante, Henry – che ha assunto il potere nel 2021, dopo l'assassinio di Jovenel Moïse –non ha ancora proferito parola in merito a quanto stia accadendo ad Haiti. L'unica risposta che ha fornito, in maniera indiretta, è stata quella relativa a dove si trovasse, dopo giorni di assenza.
Nel frattempo, però, ad Haiti i gruppi armati non si sono fermati. Anzi, hanno approfittato dell'assenza di potere, esplodendo colpi di arma da fuoco contro la polizia, anche e soprattutto nell'aeroporto internazionale di Haiti. Oltre a provocare la fuga di massa dei detenuti dalle due più grandi prigioni del Paese. Nel corso della scorsa giornata sono state chiuse scuole e banche, mentre i trasporti pubblici sono rimasti fermi. I legislatori della città hanno parlato di una situazione «catastrofica», che potrebbe portare anche a un aumento del numero di migranti. Soprattutto qualora il governo haitiano cadesse. Nel caso in cui le bande criminali riuscissero nell'intento di portare Henry verso le dimissioni, i legislatori temono infatti un peggioramento della crisi migratoria.
A tal proposito, il leader della banda «G9 an fanmi» Jimmy Chérizier, soprannominato «Barbecue», ha ribadito che il loro obiettivo è quello di bloccare Henry una volta che avrà fatto ritorno ad Haiti, forzandone le dimissioni. «Il nostro obiettivo è rompere il sistema», ha dichiarato ieri nel corso di una conferenza stampa improvvisata. «Stiamo combattendo contro Ariel con l'ultima goccia del nostro sangue».
Ma i problemi non sono finiti. Secondo l'ONU, i circa 9.000 agenti di polizia haitiani che garantiscono sicurezza e ordine nel Paese presto potrebbero non essere più in grado di combattere contro le bande criminali. Secondo Eddy Acevedo, capo dello staff del think tank Wilson Center, la polizia nazionale di Haiti potrebbe sopravvivere «solo un'altra settimana, o giù di lì». Mostrando, una volta in più, quanto sia urgente un intervento per fermare le violenze.
Dal canto suo, l'amministrazione Biden ha dichiarato di non aver intenzione di impegnare le sue truppe per Haiti, ma ha piuttosto proposto di offrire «denaro e supporto logistico». Ciononostante, i funzionari americani rimangono in stretto contatto con il governo haitiano. Anche se, secondo quanto rivela Politico, è probabile che gli abitanti dello Stato caraibico non gradirebbero un ulteriore aiuto da parte di Washington. I difensori dei diritti umani haitiani, infatti, rimangono diffidenti riguardo alla possibilità di un intervento americano dopo che, nel 1915, gli Stati Uniti invasero e occuparono l'isola a seguito dell'assassinio del presidente Jean Vilbrun Guillaume Sam.