Armi e ravioli di granchio, ma com'è nata l'amicizia fra Vladimir Putin e Kim Jong-un?
Mercoledì, gli Stati Uniti hanno confermato la presenza di truppe nordcoreane in Russia. Una svolta, questa, che potrebbe avere risvolti importanti, se non importantissimi nell’ambito della guerra in Ucraina. Il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin, riassumendo al massimo, al riguardo ha spiegato che, qualora i soldati della Corea del Nord si aggregassero a quelli russi al fronte, saremmo di fronte a una questione «molto seria». Non solo, l’aiuto e il contributo di Pyongyang allo sforzo bellico di Mosca rappresenta l’ennesima conferma dei legami, sempre più stretti, fra i due Paesi. Ma dove, o meglio quando, nasce questo rapporto? Proviamo a fare chiarezza.
Dall'URSS alla convenienza
Mosca e Pyongyang, in un certo senso, si erano allontanate dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, all’inizio degli anni Novanta, ma hanno (ri)trovato un’intesa e un terreno di caccia comune. Entrambi i Paesi, infatti, hanno puntato il dito contro i cosiddetti valori democratici e/o occidentali, fra cui la libertà di parola. L’invio di truppe in Russia, per contro, come spiega fra gli altri Axios sarebbe da ascrivere (più che altro) a questioni di convenienza. L’esercito russo ha perso moltissimi uomini in Ucraina e, parallelamente, ha bisogno di munizioni. La Corea del Nord, per contro, necessita di cibo e nuove tecnologie, come pure di scorciatoie per accedere al sistema finanziario internazionale e, di fatto, evadere le sanzioni.
L'amicizia fra Putin e Kim
Il rapporto, sempre più stretto, fra Mosca e Pyongyang è dettato, evidentemente, anche dall’amicizia personale fra il presidente russo Vladimir Putin e il leader nordcoreano Kim Jong-un. Un’amicizia che la visita di Kim nell’Estremo Oriente russo, nel settembre del 2023, passata alla storia sia per il treno su cui aveva viaggiato il leader nordcoreano sia per uno dei luoghi-simbolo scelti per l’incontro, il cosmodromo di Vostochny, aveva contribuito a rinsaldare. Lo stesso dicasi per il viaggio di Putin in Corea del Nord, lo scorso giugno, durante il quale erano stati intensificati gli sforzi di collaborazione sul fronte militare. Sforzi culminati in un’intesa di mutuo soccorso in caso di attacco. Sia nel 2023, davanti a succulenti ravioli di granchio, sia lo scorso giugno i due capi di Stato avevano parlato, in ogni caso, di armi.
L'America in difficoltà
In realtà, anche prima di queste visite e di questi scambi di sorrisi e strette di mano le intelligence occidentali, con gli americani in testa, avevano accusato la Russia di aver acquistato armi dalla Corea del Nord in gran quantità. Proprio gli Stati Uniti, scrive sempre Axios, si trova ora in una posizione scomoda: per anni, ha usato la strategia del bastone (le sanzioni) e della carota (gli aiuti umanitari) per «contenere» Pyongyang. Carota che, ora, anche la Russia ha usato per garantirsi armi e truppe nordcoreane. E che, di riflesso, offre meno carte alla politica estera statunitense. In particolare, gli analisti temono possibili ripercussioni per Corea del Sud e Giappone.
Ma la Russia, alla fine, che cosa ci guadagna?
La convenienza, dicevamo. O, se preferite, la contingenza. La Russia, dal primo incontro tra Kim e Putin, avvenuto come detto nel 2023, ha ricevuto circa 260 mila tonnellate metriche di munizioni o materiali correlati dalla Corea del Nord. Le munizioni extra hanno permesso a Mosca di mantenere un alto tasso di fuoco in Ucraina, stimato in almeno 10 mila proiettili di artiglieria al giorno. La Russia ha pure iniziato a utilizzare i missili balistici nordcoreani contro l’Ucraina: a dicembre 2023, per dire, ne aveva lanciati oltre 40.
I benefici per Pyongyang
Quanto ai benefici per la Corea del Nord, come detto, è difficile valutare che cosa possa guadagnare Pyongyang al di là di denaro contante e cibo. Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Kirby, scrive ancora Axios, lo scorso gennaio aveva dichiarato che la Corea del Nord desidera «aerei da combattimento, missili terra-aria, veicoli blindati, attrezzature o materiali per la produzione di missili balistici». E li desidera dalla Russia. L’intelligence statunitense ha invece suggerito che Pyongyang avrebbe ricevuto «concessioni diplomatiche, economiche e militari» da Mosca. In ballo ci sarebbero pure il petrolio russo e un aiuto, concreto, per il lancio del primo satellite nordcoreano a inizio anno. Oltre, va da sé, a un minimo di respiro a livello di sanzioni. I trasferimenti di armamenti dalla Corea del Nord alla Russia, di per sé, hanno violato le sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sostenute (anche) dalla Russia dopo i test nucleari e missilistici condotti negli anni 2000 e 2010. La Russia, però, ha bloccato ulteriori sanzioni nei confronti della Corea del Nord per i suoi test di missili balistici nel 2022 e nel 2023. Non solo, lo scorso marzo ha impedito il rinnovo di un gruppo di esperti che controlla l’attuazione delle sanzioni ONU contro Pyongyang. La Russia, infine, ha pure sbloccato milioni di dollari di beni nordcoreani precedentemente congelati in istituzioni finanziarie russe.
L'asse anti-Occidente
I rapporti fra Mosca e Pyongyang rientrano, allargando il campo, in una logica anti-occidentale ben rappresentata, in questi giorni, anche dal vertice dei cosiddetti BRICS o, se preferite, dal Sud globale. Un Sud che la Svizzera ha cercato, sia in occasione del Bürgenstock, sia in questi giorni dopo la proposta di pace di Brasile e Cina, di coinvolgere, non senza critiche al riguardo. Rimanendo alla guerra in Ucraina, la Russia ha ricevuto importanti aiuti militari dall’Iran (anche tramite vettori commerciali) e continua a beneficiare dell’appoggio, tecnologico e politico, della Cina, la cui ambiguità è stata criticata a più riprese dall’Occidente.
A unire questi Paesi sono altresì quelle che Axios definisce «questioni territoriali». Pyongyang non ha mai nascosto di voler rappresentare l’intero popolo coreano, la Cina ha detto e ribadito di voler mettere le mani (anche con la forza) su Taiwan mentre l’Iran, concludendo, per anni ha usato diversi proxy, da Hamas e Hezbollah, per ampliare la propria sfera di influenza in Medio Oriente.