Assange: oggi è il giorno
Oggi è il giorno di Julian Assange. Nelle prossime ore, secondo l'ordine del giorno dell'Alta Corte di Londra, la giustizia britannica si esprimerà sul caso del giornalista australiano e confondatore di WikiLeaks: la pronuncia della sentenza inizierà a partire dalle 10.30 locali (le 11.30 in Svizzera). Detenuto dal 2019 nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh – la «Guantanamo britannica» –, Assange deve affrontare 18 capi d'accusa negli Stati Uniti per il suo presunto ruolo nell'ottenere e divulgare documenti classificati relativi alla difesa nazionale, comprese prove di crimini di guerra commessi dall'esercito statunitensi fra Iraq e Afghanistan a inizio Duemila. Oggi, l'Alta Corte di Londra deciderà se accogliere l'appello di Assange o se dare, di fatto, il proprio via libera all'estradizione del giornalista negli Stati Uniti, dove rischia una pena fino a 175 anni di reclusione. Se Assange dovesse perdere (anche) questo appello finale, potrebbe venire estradato negli Stati Uniti nel giro di qualche settimana, o anche in tempi più rapidi, come avevano dichiarato i suoi avvocati.
Contro l'estradizione
Nel corso degli anni, il giornalista australiano ha svelato, con la sua piattaforma, centinaia di migliaia di documenti riservati riguardanti governi e società di tutto il mondo. Ma è stata la pubblicazione, fra 2010 e 2011, di una serie di dossier imbarazzanti per gli Stati Uniti (dagli Iraq War Logs al Cablegate, passando per l'Afghan War Diary), ad aver reso Assange una sorta di nemico numero uno per Washington. Se estradato negli Stati Uniti, sottolinea da anni il team legale dell'attivista, «Assange non otterrà un processo equo».
Ma le preoccupazioni su una sua estradizione riguardano anche e soprattutto la salute di Assange nel breve termine. Apprensione, in tal senso, è stata recentemente espressa anche dalla relatrice speciale dell'ONU sulla tortura, Alice Jill Edwards: «Nel caso di Assange, sulla base del materiale che mi è stato fornito e di quanto è stato documentato anche dal tribunale, ci sono tre ragioni per cui sono particolarmente preoccupata. La prima è che Assange - ed è ben documentato e accettato anche dal tribunale, e il motivo per cui la sua estradizione è stata sospesa fino ad oggi - soffre di un disturbo depressivo. Qualsiasi estradizione negli Stati Uniti è molto probabile che aggravi le sue condizioni mediche di base, e c'è un rischio molto concreto di suicidio».
Il secondo motivo, ha evidenziato Edwards in un'intervista concessa a UN News, «è che Assange rischia una custodia cautelare negli Stati Uniti in attesa del processo e durante il processo. Se venisse condannato, ovviamente, verrebbe punito con la detenzione. Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di isolamento e di confinamento solitario, che consiste nel tenere le persone in celle individuali senza interazioni quotidiane. Quindi, è molto probabile che qualsiasi forma di isolamento, soprattutto se prolungato, abbia un impatto irreparabile sulla salute psicologica e potenzialmente anche fisica di Assange».
Terzo: «Assange rischia una pena di 175 anni. Possiamo tutti fare i conti: Assange ha 53 anni. Si tratta di oltre tre volte la sua età attuale e due volte e mezzo una normale condanna all'ergastolo». Una pena «eccessiva e un maltrattamento ai sensi del diritto internazionale».
Cosa c'è in gioco
Fra ong e autorità internazionali (ONU in primis) si moltiplicano gli appelli a non creare un pericoloso precedente contro la libertà di parola. «Ogni legge, che si tratti di una legge sul tradimento o sulla sicurezza nazionale, dovrebbe incorporare la protezione degli informatori incorporata o una difesa degli informatori. A questo punto, negli Stati Uniti non è così, a quanto mi risulta. La legge che viene applicata non è stata aggiornata per riflettere gli standard dei diritti umani del XXI secolo. E questo è molto problematico per altri che si trovano in una situazione simile a quella di Assange, che potrebbero voler denunciare informazioni su attività che vengono svolte dai loro governi o che si presume vengano svolte dai loro governi. L'intero sistema internazionale funziona sulla base della nostra capacità di esprimere la nostra opinione, di parlare liberamente, di rivelare e di chiamare in causa i governi per potenziali violazioni».