Moneta e società

Avete ancora vecchie lire sotto il materasso? Non siete gli unici

A vent’anni dall’introduzione dell’euro, l’equivalente di 8,5 miliardi in differenti monete nazionali non è ancora stato convertito nella valuta unica europea e in alcuni Paesi è ormai troppo tardi - Cosa spinge a conservare banconote inutilizzabili? Ne abbiamo parlato con Saverio Simonelli, docente in scienze economiche all’USI
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Giacomo Butti
20.01.2022 19:24

Non tutti posseggono lo spirito del collezionista. Quell’amore per la conservazione e catalogazione di oggetti dal valore più o meno riconosciuto, dalle vere opere d’arte a semplice chincaglieria. Ma sono molti a soffrire (in varie gradazioni) della «sindrome» da accumulatore seriale. Quella che fa riempire la casa di oggetti a cui ci si è affezionati o che semplicemente si pensa possano tornare utili, ma che rimangono poi in un angolo, dimenticati, a coprirsi di polvere. Che sia per la prima o la seconda di queste disposizioni d’animo, c’è qualcosa di cui gli europei hanno faticato a liberarsi nell’ultimo ventennio. Qualcosa che spesso e volentieri occupa ancora un cassetto della credenza o, come nei film, uno spazio sotto il materasso. Parliamo delle vecchie valute nazionali, quelle in uso prima che l’euro, nel 2002, le mandasse tutte in pensione. Proprio così: secondo un recente articolo di «Bloomberg», l’equivalente di 8,5 miliardi di euro in vecchie valute non è ancora stato riconvertito in moneta corrente. E per parte di essi è ormai troppo tardi. Ma davvero tutti questi soldi giacciono nei solai dei cittadini europei? E se sì, cosa spinge, oltre alla nostalgia per tempi passati, a conservare denaro divenuto ormai inutile? Ne abbiamo parlato con Saverio Simonelli, docente di economia e politica monetaria all’USI.

Relativizzare le cifre
Oltre 8,5 miliardi di euro (quasi 9 miliardi di franchi), dicevamo, si trovano ancora in circolazione sotto forma di vecchie valute nazionali. «Sembra una grande somma, ma va messa in prospettiva», comincia Simonelli. «In realtà rappresenterebbe solamente lo 0,5% della quantità di banconote e monete in euro attualmente in circolazione. Se domani tutti i possessori di queste vecchie valute volessero (e potessero) effettuare questo cambio, l’aumento di euro in circolazione sarebbe equivalente a quello che si è osservato solamente negli ultimi due mesi nell’euro area». La cifra, sottolinea dunque l’esperto, «è piccola. Prendiamo l’esempio della Germania. Di questi 8,5 miliardi, ben 6,3 sono marchi tedeschi. Divisi per la popolazione si tratta solamente di 75 euro a testa». Chiedersi però perché queste valute non siano state completamente convertite «è comunque interessante», sottolinea Simonelli, anche perché la risposta «varia a seconda del Paese preso in considerazione, a dipendenza se una conversione in euro sia ancora possibile o meno».

Il fenomeno è interessante, ma dall’impatto economico limitato

Il tesoro italiano
Sono diverse le nazioni nella zona euro dove le vecchie valute non possono più essere trasposte. Tra queste, Francia, Grecia, Spagna. E anche l’Italia. Secondo la stima pubblicata da «Bloomberg», l’equivalente di 1,2 miliardi di euro si trovano ancora, in lire, nelle tasche degli italiani. Ma forse parlare di tasche non è corretto. «In Italia non è più possibile convertire la vecchia valuta in euro dal dicembre del 2011», racconta l’esperto. «La storia su questa scadenza è interessante: la data fu anticipata di circa un anno rispetto ai programmi grazie a un decreto-legge, la manovra ‘‘Salva Italia’’. La situazione economica nel Paese era particolarmente difficile. Mario Monti, allora al Governo, decise di mettere uno stop alla convertibilità della lira. In questo modo dal bilancio della Banca d’Italia fu cancellata anche la passività. A chi andò il profitto di tale operazione? Al tesoro italiano, che in quel momento aveva bisogno di essere sanato a causa dei forti debiti pubblici. Si trattò di una manovra che in molti definirono un’espropriazione».

E quegli 1,2 miliardi? «Quella cifra rimarrà tale per sempre, data l’impossibilità di conversione». Le lire sopravvissute, insomma, non sono che «un ricordo per gli italiani. Non hanno più alcun valore, se non per il tesoro che li ha trasformati in un attivo a inizio 2012».

E i tedeschi?
Ma a fare la parte del leone, fra le nazioni europee più restie al cambio, è la Germania. Ben 6,3 degli 8,5 miliardi di euro totali sono marchi tedeschi. È vero, a Berlino la conversione in euro è ancora possibile. Ma colpisce l’enorme differenza rispetto al secondo Stato nella classifica degli «aficionados» delle vecchie valute ancora convertibili: l’Austria, dove a non essere stati ancora riconsegnati sono scellini per l’equivalente di «soli» 612,4 milioni di euro.

Il marco tedesco era considerato una moneta stabile: molti Paesi, soprattutto nell’Est Europa, hanno investito nella valuta

A cos’è dovuta questa discrepanza? «Difficile dirlo con certezza. Bisogna considerare che molti di questi marchi, con ogni probabilità, non si trovano in Germania. Prima dell’avvento dell’euro, la valuta tedesca era considerata una moneta particolarmente stabile. Per questo, soprattutto nei Paesi dell’Est Europa, si investiva in essi. Possiamo immaginare dunque che molti di questi marchi siano sparsi in diverse nazioni. E riportarli entro i confini tedeschi non è una procedura evidente, anche a livello doganale». Dal punto di vista pratico, poi, la conversione in euro (benché ancora possibile) segue un processo relativamente tortuoso. «Chi vuole cambiare i marchi tedeschi in euro deve consegnare il denaro alla Deutsche Bundesbank insieme a uno specifico modulo. Se le banconote sono riconosciute fra le emissioni ancora valide, il corrispettivo in euro viene poi versato sull’IBAN di un’altra banca tedesca. La somma convertita non può superare l’equivalente di 15 mila euro e anche questo può essere un problema». Anche a causa di questo sistema, insomma, la riconversione avviene lentamente, ma non si è mai fermata.

Ogni anno 100-150 milioni di marchi vengono convertiti: parliamo di circa 50-75 milioni di euro

«Non tutti questi miliardi sono all’estero», spiega Simonelli, citando poi il direttore della Bundesbank che qualche anno fa si era espresso sulla questione: «I tedeschi trovano ancora marchi nel corso di ristrutturazioni, nelle soffitte e nei bauli dei nonni. Ogni anno circa 100-150 milioni della vecchia valuta nazionale (circa 50-75 milioni di euro) vengono convertiti dalla Deutsche Bundesbank. Pian piano dunque questi 6,3 miliardi sono destinati a ridursi». Attendere, del resto, può solo risultare dannoso: «Dal punto di vista economico è difficile giustificare la mancata conversione. Essa avviene ancora con il cambio stabilito con l’introduzione dell’euro (1,96 marchi per un euro, ndr). Ma negli ultimi 20 anni nell’euro area si è registrata un’inflazione totale di circa il 35%: un fatto che comporta un’equivalente perdita di valore del marco, dato che la conversione non protegge dall’inflazione».

E cosa dire a chi spera nella caduta dell’euro e al ritorno alle valute nazionali? «Anche in questo caso non avrebbe senso conservare le vecchie banconote. La Banca centrale tedesca garantirebbe il passaggio dal vecchio euro al nuovo marco. Il vecchio marco non avrebbe corso legale, dovrebbe fare una doppia conversione per essere utilizzabile».

Il peso politico
Alcune nazioni, dicevamo, hanno imposto una scadenza per la conversione delle banconote. Altre lo hanno fatto solo per le monete e non per le banconote. Poche, invece, hanno deciso di non porre alcun termine ai propri cittadini per il cambio. «La scelta ha sicuramente un peso politico», spiega Simonelli. «Per convincere il proprio popolo ad abbandonare il marco per entrare nell’euro, la Germania ha garantito ai cittadini un riconoscimento permanente della vecchia valuta. Simbolicamente è una scelta importante. Altri Paesi economicamente più deboli hanno accettato più di buon grado il passaggio alla moneta unica».

E per confermare la dignità della propria moneta, la Bundesbank non guarda al pelo nell’uovo: «La conversione delle banconote avviene anche se la banconota è strappata e rovinata, basta che la serie sia riconvertibile». Un’usanza con la quale si è voluto «rassicurare il cittadino tedesco: il marco non è stato tradito ma mantiene un suo valore anche senza un corso legale valido».