Guerra

Aysenur Ezgi Eygi, l'attivista turco-americana uccisa in Cisgiordania

La 26.enne viene descritta come una persona impegnata che sentiva il forte obbligo morale di portare l'attenzione sulla condizione dei palestinesi – L'ONU ha chiesto «un'indagine approfondita», Blinken ha promesso di agire «se necessario»
© KEYSTONE (Courtesy of the Eygi family/International Solidarity Movement via AP)
Red. Online
07.09.2024 10:59

La guerra in Medio Oriente ha ormai un fronte esteso, in Cisgiordania. Quanto accaduto nelle scorse ore rischia di creare (o ampliare) profondi attriti fra Washington e lo Stato ebraico. Ieri, l'attivista filopalestinese turco-americana Aysrnur Egzi Eygi è stata uccisa mentre partecipava a una protesta in difesa di agricoltori palestinesi a Beita, a sud di Nablus. L'esercito israeliano ha ammesso che suoi «soldati hanno aperto il fuoco contro un provocatore che lanciava pietre contro le nostre forze», ma «i dettagli dell'incidente sono attualmente oggetto di indagine».

Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha deplorato la «tragica» morte della cittadina americana in Cisgiordania e ha promesso di agire «se necessario». Alla domanda se gli USA intraprenderanno azioni contro Israele, il capo della diplomazia di Washington ha risposto: «Prima di tutto dobbiamo scoprire esattamente cosa è successo», poi «ne trarremo le necessarie conclusioni e conseguenze».

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha parlato di «barbaro intervento di Israele su una protesta civile contro l'occupazione in Cisgiordania» e promesso che Ankara userà «ogni piattaforma per porre fine alla politica di occupazione e genocidio di Israele».

L'ONU ha chiesto «un'indagine approfondita»: «I responsabili devono essere chiamati a risponderne», ha affermato il portavoce del segretario generale, Stephane Dujarric. «I civili», ha aggiunto, «devono essere protetti in ogni momento».

«Una ragazza impegnata davvero»

La 26.enne Aysrnur Egzi Eygi, uccisa mentre protestava nella Cisgiordania occupata, è stata ricordata da amici ed ex professori come una persona impegnata che sentiva il forte obbligo morale di portare l'attenzione sulla condizione dei palestinesi. «L'ho pregata di non andare, ma lei aveva questa profonda convinzione di voler partecipare alla tradizione di testimoniare l'oppressione delle persone e la loro dignitosa resilienza», ha detto al Guardian Aria Fani, docente di lingue e culture mediorientali all'Università di Washington a Seattle, che Eygi frequentava. «Combatteva veramente l'ingiustizia ovunque fosse».

Eygi si è laureata all'inizio di quest'anno con una specializzazione in psicologia e una minore in lingue e cultura del Medio Oriente, ha aggiunto Fani. Durante la cerimonia è salita sul palco con una grande bandiera della «Palestina libera».

Il professore ha raccontato di avere conosciuto la 26.enne quando lui ha tenuto una lezione in un corso sul cinema femminista del Medio Oriente e ha parlato della sua esperienza di protesta in Cisgiordania nel 2013. «Non immaginavo che sarebbe stata ispirata a intraprendere un'esperienza simile», ha ammesso, raccontando di come Eygi gli abbia chiesto consiglio mentre si preparava a unirsi all'International Solidarity Movement. «Ho cercato di dissuaderla, ma da una posizione molto debole, dato che l'avevo già fatto io stesso. Nella breve vita che ha vissuto è stata molto, molto attiva». Durante il suo ultimo anno accademico, ha dedicato molto tempo «a fare ricerche, a parlare con i palestinesi e a parlare del loro trauma storico. Era incredibilmente informata su come fosse la vita in Cisgiordania. Non era una viaggiatrice ingenua. Questa esperienza è stata il culmine di tutti i suoi anni di attivismo».

Eygi era un'organizzatrice della Popular University for Gaza Liberated Zone nel campus dell'università, una delle decine di accampamenti pro-palestinesi creati durante le proteste della primavera. «È stata in prima linea nelle proteste contro i legami dell'università con Boeing e Israele e nel condurre il dialogo con l'ateneo», ha aggiunto il professore. «Era una causa molto importante per lei. A volte la vedevo dopo che aveva dormito solo un'ora o due. Le dicevo di fare un pisolino. E lei rispondeva: «No, ho altre cose da fare». Si è impegnata così tanto ed è riuscita a laurearsi, il che è davvero sbalorditivo».

Lui l'ha avvertita della violenza che aveva affrontato in Cisgiordania, compresi i gas lacrimogeni, e ha temuto profondamente per la sua sicurezza: «Non avevo idea che sarebbe tornata avvolta in un sudario. Era molto critica nei confronti della politica estera statunitense e della supremazia bianca negli Stati Uniti, e Israele non faceva eccezione».

Un clima (molto) teso

Oltre che dalla morte dell'attivista, il clima è stato esacerbato dall'annuncio della Croce Rossa: una ragazza palestinese di 13 anni è stata uccisa dall'esercito israeliano in uno scontro tra coloni e palestinesi nel villaggio di Qaryut, sempre a sud di Nablus.

Eppure, poche ore prima dell'uccisione di Aysrnur Egzi Eygi, Blinken aveva esortato Israele e Hamas a firmare un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza dato che, a suo avviso, ormai il 90% dell'accordo è pronto. Il capo della diplomazia ha affermato che gli USA offriranno nei prossimi giorni ulteriori «idee» per un patto tramite i mediatori di Egitto e Qatar.

L'ex capo dello Shin Bet, Nadav Argaman, in un'intervista televisiva, ha dichiarato che «l'unica cosa che spinge Netanyahu in questo momento è il desiderio di continuare a essere il primo ministro di Israele, qualunque cosa accada. Hamas ha rapito oltre 250 civili e soldati dello Stato di Israele. È nostro dovere riportarli a casa, ieri. Siamo stati presi in ostaggio da un governo fanatico che deve essere sostituito domani». Argaman, che ha guidato lo Shin Bet tra il 2016 e il 2021, per lo più sotto Netanyahu, sostiene che l'insistenza del primo ministro nelle ultime settimane sul fatto che Israele debba mantenere il controllo del corridoio di Filadelfia per il prossimo futuro serva all'obiettivo di mantenere unita la coalizione piuttosto che a preoccupazioni di sicurezza. Argaman accusa i partner della coalizione di estrema destra di Netanyahu di essere «alimentati da una visione messianica del mondo che, sfortunatamente, ha preso il sopravvento sullo Stato di Israele».

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