Il reportage

Betlemme, il Natale senza festa con la guerra in Terrasanta

Il patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale francescano Pierbattista Pizzaballa, ha indossato la kefiah palestinese in segno di solidarietà ma ha rivolto il suo pensiero «a tutti coloro i quali, senza distinzione, sono nel lutto e nel pianto» – Abu Mazen assente dalla messa
Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, tra il sindaco di Betlemme Hanna Hanania e l’elemosiniere del Papa, il cardinale polacco Konrad Krajewski..©Wisam Hashlamoun
26.12.2023 21:00

Betlemme, Gerusalemme, Gaza. Pochi chilometri di distanza e vite che, nella loro diversità - e spesso avversione, dell’una contro l’altra - s’intrecciano, si rincorrono, si interrompono. Vite che cercano un ristoro in una data comune, in una festa condivisa, nella terra che ha visto, per i cristiani, il messia nascere, vivere, patire, morire e risorgere. Tre modi di celebrare una ricorrenza che, da oltre duemila anni, per i credenti è simbolo di speranza e d’amore. E con la quale, in questi giorni, si è tentato di trovare un po’ di sollievo dalla guerra.

Si è cominciato a Betlemme. La città del Sud della Palestina, dove la tradizione ha fatto nascere Gesù (ma prima di lui quel Davide che, da re, avrebbe unificato Israele con Gerusalemme capitale), ha vissuto un Natale sotto tono.

Nella città del Natale, l’assenza della festa non ha bloccato la celebrazione della Notte Santa. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme e anello di congiunzione delle cerimonie a Betlemme, Gerusalemme e Gaza, sotto la cui giurisdizione ricadono le tre città, ha fatto il suo ingresso nel luogo della Santa Nascita senza l’accompagnamento delle cornamuse degli scout.

Ad accoglierlo proprio alcuni scout, ma non le folle degli anni scorsi, anche perché una sterile polemica è sorta dopo l’incontro, dovuto, che il porporato francescano (e guida del patriarcato) ha avuto, assieme agli altri leader religiosi, con il presidente israeliano Isaac Herzog giovedì scorso.

A Herzog, il cardinale Pizzaballa ha ribadito la richiesta di un cessate il fuoco immediato. Ma questo non è servito a smorzare le polemiche, in quella guerra di posizione che ha ormai cristallizzato due sole possibili alternative: o di qua, con Israele, o di là, con Hamas. Pizzaballa, che è stato accolto dal sindaco di Betlemme Hanna Hanania sotto la pioggia e che ha accettato di tenere al collo una kefiah come gesto di solidarietà verso i palestinesi, nella sua omelia è stato chiaro: «In questo momento, non possiamo non pensare a tutti quelli che in questa guerra sono rimasti senza nulla, sfollati, soli, colpiti nei loro affetti più cari, paralizzati dal loro dolore. Il mio pensiero va a tutti, senza distinzione, palestinesi e israeliani, a tutti quelli colpiti da questa guerra, a quanti sono nel lutto e nel pianto e attendono un segno di vicinanza e di calore».

Il discorso del sindaco

Ad ascoltare le parole del cardinale non c’era, come ogni anno, il presidente palestinese Abu Mazen. Nel suo discorso, il sindaco della città della Santa Nascita - il quale, per legge, è un cattolico - ha detto: «Abbiamo deciso di preservare lo spirito del Natale e di tutelare lo statu quo. Come cristiani, ci riteniamo una parte essenziale del popolo palestinese. Gesú Cristo è nato in questa città. Questo messaggio, questo nobile messaggio, dev’essere sparso in tutto il mondo, e la comunità internazionale ha il dovere di riportarlo a Betlemme, ora che Betlemme e tutta la Palestina ha bisogno di pace».

La veglia si è svolta come al solito; quest’anno, a fianco di Pizzaballa, che non ha smesso un attimo di condannare le violenze, c’era anche il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, inviato da Francesco proprio per dimostrare la sua vicinanza ai sofferenti di questa guerra.

L’esercito israeliano, che dal 7 ottobre scorso - giorno dell’attacco terroristico di Hamas - teneva chiusi i check point con Betlemme, li ha invece riaperti negli orari della messa, per garantirne l’afflusso e il deflusso sull’asse Gerusalemme-Betlemme. Non è stato difficile varcarli, non ci sono stati controlli particolari e si è celebrata la messa anche al Campo dei Pastori, il luogo a Beit Sahour, confinante con Betlemme, dove secondo la tradizione i pastori hanno atteso l’annuncio dall’angelo della nascita del Messia.

Cristiani di Israele

A qualche chilometro di distanza, nella chiesa cattolica dei santi Simeone e Anna, prima convento francescano e poi elevata a parrocchia proprio da Pizzaballa, si è celebrata la messa per la comunità cattolica di lingua ebraica, la più piccola tra le tante espressioni della Chiesa di Terra Santa. Una comunità che conta un migliaio di fedeli cattolici i quali vivono in Israele, immersi in un ambiente culturale e linguistico ebraico.

Oltre un centinaio di ragazzi che frequentano sia la parrocchia di Gerusalemme sia quelle di Tel Aviv-Jaffa, Haifa, Beer Sheva e Tiberiade oltre alle due comunità di fedeli di lingua russa, ad Haifa e Latrun, non hanno celebrato la messa di Natale perché sono impegnati come militari nell’esercito a Gaza e al Nord di Israele.

Per padre Piotr Zelazko, vicario di San Giacomo nel patriarcato, i cattolici di lingua ebraica «sono come figli: li abbiamo visti crescere nelle nostre parrocchie, al catechismo, ai campeggi. Dall’inizio della guerra - ha detto il religioso alla Catholic News Agency (CNA) - tentiamo di essere sempre in contatto con loro, fargli sentire che non sono soli, che preghiamo per loro. A volte riusciamo a fare arrivare loro qualche piccolo regalo, a volte un sacerdote può raggiungerne alcuni. Quando un ragazzo entra nell’esercito, gli diamo una benedizione particolare e preghiamo che non dimentichi i valori che ha imparato in chiesa: valori cristiani, ma soprattutto umani».

Ieri, sempre nella chiesa dei santi Simeone e Anna a Gerusalemme, è andata a cantare Noa, l’artista israeliana di origini yemenite che si è sempre battuta per la pace.

Alcuni dei ragazzi della comunità cattolica di lingua ebraica in Israele si sono trovati dinanzi alla chiesa della Sacra Famiglia di Gaza, dove si sono celebrate le funzioni natalizie. A differenza della piazza della mangiatoia di Betlemme, vuota dell’albero e del presepe (ma con installazioni che hanno politicizzato la natività, facendo storcere il naso a molti cattolici), la chiesa di Gaza aveva un presepe sotto l’altare e un bambinello davanti.

Gabriel Romanelli è il parroco della chiesa che, da più di due mesi, è divenuto rifugio per cristiani e non. Lui è rimasto bloccato a Betlemme, a celebrare a Gaza è stato il suo vice, Yousef Asad.

Il patriarca, nei giorni precedenti il Natale, di solito visitava la piccola parrocchia e qualche centinaio di fedeli riuscivano ad avere un permesso speciale dalle autorità israeliane per recarsi a Betlemme per il Natale. Cosa impossibile quest’anno. Per il parroco della Sacra Famiglia della Striscia, «Come non avere in conto i nostri fratelli e sorelle nella Striscia di Gaza, i quali dall’inizio della guerra, notte e giorno, pregano il Signore affinché sia lui la nostra salvezza? Che venga a proteggere tutta la popolazione di Gaza e di tutta la Terrasanta».