Bombe a grappolo sulla guerra
Il dado è tratto. Dopo una settimana di speculazioni, gli Stati Uniti hanno sciolto le riserve, ieri, sulla questione «bombe a grappolo»: i famigerati ordigni saranno inviati in Ucraina come parte del nuovo pacchetto di aiuti da 800 milioni di dollari. «Una decisione molto difficile», ha affermato Joe Biden passando il Rubicone. La mossa, del resto, ha fatto arricciare più di qualche naso, dentro e (soprattutto) fuori l’America: tristemente famose per la loro capacità di mietere vittime fra i civili - anche a distanza di anni dal conflitto -, le bombe a grappolo sono vietate dal 2008 dalla Convention on Cluster Munitions (CCM), un trattato internazionale che conta oltre cento Paesi firmatari. È vero: né Washington né Kiev (né, tantomeno, Mosca) hanno sottoscritto il patto. Ma le domande a cui cercano di rispondere gli analisti non riguardano certo la legalità di questa esportazione. Piuttosto: come influenzeranno queste controverse armi la guerra? E il loro utilizzo (proibito da alleati importanti quali Regno Unito, Germania e Francia) non rischierà di erodere il sostegno occidentale all’Ucraina?
Gli alleati che fanno?
Nel comunicare la decisione della Casa Bianca, il consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ha cercato di rassicurare: «Riconosciamo che le munizioni a grappolo creano rischi per i civili. Per questo Kiev si è impegnata per iscritto a minimizzare i pericoli». Tra gli alleati, tuttavia, l’imbarazzo appare palpabile. Come a Berlino, dove - pur evitando critiche - si è fatto riferimento alla già citata Convenzione: «La Germania ha firmato il trattato contro le bombe a grappolo, per noi seguire la mossa di Washington non è un’opzione». Più diretto il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, che tramite il proprio portavoce ha fatto sapere di sostenere la CCM: «Non vogliamo un uso continuato di munizioni a grappolo sul campo di battaglia». Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, dal canto suo, si è limitato a osservare che l’Alleanza «non ha una posizione sulle bombe a grappolo. Sono i singoli alleati a decidere quali armi inviare: la Russia usa le munizioni a grappolo per invadere l’Ucraina, Kiev per difendersi».
«È probabile che gli alleati della NATO che hanno firmato e ratificato la Convenzione abbiano manifestato le loro preoccupazioni agli Stati Uniti», spiega al CdT Marc Finaud, ex diplomatico francese impegnato per un decennio al Geneva Centre for Security Policy (GCSP) nella formazione di diplomatici e ufficiali militari in materia di controllo degli armamenti e sicurezza internazionale. «Ovviamente, però, i dibattiti all’interno della NATO su questo tema rimangono riservati per non intaccare l’unità dell’Alleanza nel suo sostegno all’Ucraina». Alcuni esperti e ONG hanno provato a esporsi pubblicamente contro questa decisione, evidenzia Finaud, «ma non sono riusciti a contrastare il Pentagono, probabilmente sostenuto dall’industria della difesa».
Alzare l’asticella
Sin qui, nonostante qualche mugugno (si pensi, ad esempio, al temporeggiare tedesco sui carri armati Leopard), Kiev ha potuto contare sull’invio, da Europa e Stati Uniti, di armi e mezzi progressivamente più efficaci e, soprattutto, letali. L’invio di bombe a grappolo rappresenta un ulteriore innalzamento dell’asticella? «Si tratta certamente di una nuova tappa nell’escalation delle richieste ucraine di armamenti efficaci», risponde l’esperto. «Il fatto che né la Russia né l’Ucraina abbiano aderito alla Convenzione sulle munizioni a grappolo è deplorevole. Anche se queste armi vengono utilizzate solo contro obiettivi militari, in conformità con il diritto umanitario internazionale, hanno comunque un tasso di fallimento tra il 10 e il 40 per cento, il che significa che le submunizioni (piccole bombe all’interno del grande proiettile, ndr) possono rimanere inesplose e ferire o uccidere i civili molto tempo dopo il loro utilizzo. Per questo motivo sono state vietate, come le mine antiuomo».
La differenza?
Ma quale sarà l’impatto, in guerra, delle “cluster bomb”, come vengono definite Oltreoceano? «Kiev fa già uso di bombe a grappolo, utilizzate in combinazione con obici di epoca sovietica», spiega Pietro Batacchi, analista geopolitico e direttore della Rivista Italiana di Difesa. Un’affermazione, questa, sostenuta da numerose indagini effettuate da organizzazioni umanitarie, come quella pubblicata pochi giorni fa da Human Rights Watch. «Per le forze ucraine, come per quelle russe, le cluster hanno una loro indubbia utilità bellica. Grazie al loro effetto areale e dispersivo, sono particolarmente efficaci nel colpire le zone con alte concentrazioni di truppe o per distruggere le linee di trincea. Ma ora buona parte dell’artiglieria ucraina è composta da obici di produzione occidentale da 155 mm, non utilizzabili con le bombe a grappolo sovietiche. Di qui l’intervento statunitense».
«Le armi statunitensi», chiosa invece Gianandrea Gaiani, giornalista esperto di questioni militari e direttore di Analisi Difesa, «possono avere maggiore qualità o gittata, ma di certo non rappresenteranno, come si dice in gergo, un “game changer” per la controffensiva ucraina». A breve termine, le bombe a grappolo potrebbero non intaccare gravemente la popolazione ucraina, «perché questa è una guerra ad alta intensità che si combatte tra eserciti. Il grosso delle perdite (a differenza di quanto avvenuto recentemente in conflitti in Medio Oriente) si registra tra i militari: le vittime civili sono relativamente poche». Ma il peggio, con le bombe a grappolo, arriva dopo. Presto o tardi, Kiev dovrà fare i conti con le munizioni inesplose sparse sul territorio. «Basta guardare in Italia: ordigni risalenti alla Seconda guerra mondiale vengono rinvenuti ancora oggi. È chiaro che anche l’Ucraina, quando la guerra sarà finita, si ritroverà con una marea di ordigni inesplosi, cluster o meno». Il gioco, insomma, potrebbe non valere la candela.