L'approfondimento

Boris Eltsin atto secondo: cala il sipario sulla democrazia

Ripercorriamo le elezioni del 1996: il presidente è indebolito a livello di salute ed è in lotta perenne contro il Parlamento
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Luca Lovisolo
27.11.2024 11:01

In precedenti puntate abbiamo lasciato Boris Eltsin al suo primo mandato come presidente della Russia, un alternarsi di atti coraggiosi e gravi errori: il golpe dell’agosto 1991la crisi costituzionale del 1993 e la guerra in Cecenia. Nel 1996 la sua carica termina e si tengono nuove elezioni.

Eltsin è indebolito nella salute e in lotta perenne contro il Parlamento. Il suo gradimento è a terra: la guerra cecena doveva risollevare la sua popolarità, ma è un disastro; la privatizzazione dell’economia arricchisce alcune parti di società, ma ne lascia altre in miseria; gli oligarchi controllano interi settori dello Stato. Eppure, Eltsin si candida per un secondo mandato e vince, da un letto d’ospedale. Ecco cosa succede.

Rinasce il Partito comunista

Dalle ceneri del Partito comunista sovietico rinasce nel 1993 il Partito comunista della Federazione russa, sotto la guida di Gennadij Zjuganov. Vladimir Milov, allora giovane attivista e oggi oppositore di Putin, ne parla così: «Zjuganov sembra una caricatura: i comunisti avrebbero dovuto scegliersi un leader capace di parlare un linguaggio nuovo. Invece, Zjuganov usa le stesse frasi contorte che si sentivano nelle riunioni dell’epoca sovietica, persino peggio: ha un suo carisma, però».

Il carisma di Zjuganov risiede nel saper conquistare le parti di società che non accettano la fine dell’Unione sovietica. Negli anni Novanta, anche in altri Paesi dell’Est i partiti comunisti risorgono, ma si riposizionano come partiti socialdemocratici. Nessuno rinnega un risoluto avvicinamento all’Occidente. In Polonia, l’adesione alla NATO (1999) e all’Unione europea (2004) avvengono durante la presidenza di Aleksander Kwaśniewski, che nella Polonia comunista era stato funzionario di partito e poi ministro.

Lo stesso può dirsi di altri Paesi dell’Est: timorosi di ricadere sotto l’influenza di Mosca, in quegli anni anche i partiti che si richiamano al passato guardano verso Ovest, consapevoli che riproporre alle opinioni pubbliche i miti e i linguaggi del comunismo li condannerebbe a scomparire.

I neo-comunisti russi: le strade si dividono

In Russia, la conversione del Partito comunista alla socialdemocrazia non avviene: è un altro segnale di quanto si divarichino le strade dello sviluppo sociale tra Russia ed Europa, in quel momento, e di quanto fossero artificiali le alleanze raccolte attorno all’Unione sovietica nel Patto di Varsavia fino al 1991. E’ un’altra lezione degli anni Novanta: oggi c’è chi vede nell’allargamento della NATO un atto di minaccia contro la Russia voluto dall’Occidente. Se si approfondiscono le trasformazioni di allora in tutto il blocco dell’Est, ci si convince in fretta del contrario: sono i Paesi dell’Est a premere con forza per accedere alle alleanze occidentali. Più emergono documenti – tra i quali le memorie di Angela Merkel, di prossima pubblicazione anche in italiano – più si riconosce che è proprio l’Occidente, per non irritare la Russia, a moderare l’ansia di alcuni Paesi di aderire alla NATO. Una miopia che oggi indebolisce la sicurezza di tutta Europa.

Gennadij Zjuganov è un ex dirigente del Komsomol, la gioventù comunista sovietica, abile funzionario e deputato. Quando, a cinquant’anni, prende le redini del rifondato Partito comunista, ha dietro di sé il vecchio apparato del Partito, emarginato dalla Perestrojka di Gorbačëv e smembrato con la fine dell’Unione sovietica.

A differenza di quanto avviene in Polonia e negli altri Stati dell’ex Patto di Varsavia, l’apparato del comunismo russo non mostra alcuna intenzione di apprendere la lezione della Storia, dietro le rassicurazioni di circostanza.

Le parlamentari del 1995: campanello d’allarme

Nel dicembre 1995, sei mesi prima delle elezioni presidenziali, si tengono le elezioni per il rinnovo del Parlamento. Il rifondato Partito comunista di Zjuganov ottiene la maggioranza relativa: la raggiunge con il solo 22% dei voti. Anche sommando l’esito di partiti minori che aderiscono alla stessa linea, il campo neo-comunista non supera il 30%, ma è il più coeso. Il maggior partito che sostiene Eltsin, Casa nostra Russia, guidato dal primo ministro Viktor Černomyrdin, raccoglie appena il 10%, superato anche dall’estrema destra di Vladimir Žirinovskij.

Sembra chiara la sconfitta del centro riformista, che promette alla Russia l’uscita definitiva dal passato sovietico. In realtà, se si analizzano i dati, si osserva che il centro è ancora sostenuto da una non esorbitante ma visibile maggioranza di elettori, nonostante il bassissimo gradimento verso la persona di Eltsin. I voti, però, sono frammentati su una miriade di micro-partiti incapaci di una visione comune.

Passa la rinascita dell’Unione sovietica

Una maggioranza di russi è ancora consapevole che consegnare la Russia ai neo-comunisti o agli estremisti di destra significherebbe compromettere il futuro: ricostituire l’Unione sovietica e restaurare il mito imperiale darebbe la stura a tante repliche delle guerre di Cecenia e Jugoslavia, gli incubi di quegli anni. Ci vorranno i vent’anni di Putin e i miti del neo-eurasiatismo, per convincere i russi a sostenere la guerra contro l’Ucraina.

Eppure, l’incredibile accade: poco dopo le elezioni, il Partito comunista promuove in Parlamento una mozione che dichiara nullo il trattato del 1991 tra Russia, Bielorussia e Ucraina con il quale l’Unione sovietica era stata proclamata disciolta. Significa resuscitare l’URSS e riaffermare la sovranità di Mosca sulle repubbliche ex sovietiche. Con i voti decisivi dell’estrema destra e di partiti-satellite, la mozione comunista è approvata. Eltsin controsterza e riesce a farla ritirare, evitando un disastro per le relazioni internazionali della Russia, ma rischia una nuova crisi istituzionale. E’ un gioco pesante.

Eltsin, ultimo colpo di coda

Il tempo stringe, bisogna indicare i candidati per le elezioni presidenziali. Sul fronte neo-comunista si candida Zjuganov. Appare favorito, anche a causa della frammentazione dei campi opposti.

Come successore di Eltsin serve una personalità carismatica, che unisca i partitini in cui è diviso il fronte riformista. Potrebbe presentarsi il primo ministro Černomyrdin. «Si decise di candidare comunque Eltsin, perché si temeva che Černomyrdin non avrebbe raccolto consensi sufficienti, e fu un errore» – ricorda Gennadij Burbulis, stretto collaboratore di Eltsin sin dalle prime ore e suo Segretario di Stato durante il primo mandato – «Un uomo più forte e in salute, come Černomyrdin, avrebbe contrastato meglio gli interessi impropri».

Eltsin si lancia a rotta di collo nella campagna elettorale. Esce in testa al primo turno, ma pochi giorni prima del ballottaggio è colpito da infarto e viene ricoverato. Il suo entourage nasconde il fatto con mille stratagemmi e Eltsin assesta il suo ultimo colpo di coda: vince anche il secondo turno e resta presidente. Il giorno del giuramento si regge in piedi a fatica.

Gli oligarchi e il Presidente

Al risultato contribuiscono gli oligarchi, orchestrati da Boris Berezovskij: imprestano soldi allo Stato per mimare un miglioramento economico; controllano i media; alimentano la campagna elettorale. Ottengono in cambio a prezzi di realizzo ciò che resta dell’economia di Stato ex sovietica. Difficile stabilire, però, se il loro ruolo sia determinante per il risultato: Eltsin vince con il 54% dei voti, le proporzioni non variano molto rispetto alle parlamentari di sei mesi prima, se si consolidano i dati. Il distacco da Zjuganov è del 14%. Votano per lui le grandi città, le aree più sviluppate e le componenti sociali più attratte dai modelli occidentali.

Cinque mesi dopo la vittoria, Eltsin viene operato all’aorta, resta sotto i ferri per sette ore. Recupera, ma l’energia degli anni più verdi è un ricordo. Boris Nemcov, giovane vice primo ministro voluto da Eltsin nel 1997, un giorno telefona al presidente per discutere di affari di governo. Gli risponde la figlia Tat’jana, che obietta: «Ma… ne hai già parlato con i ragazzi?» Nemcov ribatte, stupito e adirato: «Ma quali ragazzi! Sei impazzita?»

In Russia comandano «i ragazzi»?

I ragazzi sono i componenti della «famiglia», il gruppo che governa di fatto la Russia durante il secondo mandato di Eltsin. Ruota intorno alla figlia, ad alcuni funzionari e agli oligarchi, primo fra tutti Berezovskij. Continua Nemcov: «Berezovskij mi disse: la Russia la gestiamo noi. Capii in quel momento che per la Russia era la fine».

Nonostante la vittoria, spingere Eltsin al secondo mandato è stato un errore: aveva ragione il saggio Burbulis, che si ritira dalla politica l’anno dopo la riconferma dell’anziano presidente. L’entusiasmo dell’agosto 1991, quando resisteva a fianco di Eltsin, asserragliato nel palazzo del governo in una Mosca assediata dai golpisti, si è dissolto.

Passa il tempo, altri sodali di lungo corso, come Evgenij Primakov e lo stesso Černomyrdin, si allontanano da Eltsin, sempre più ostaggio dei gruppi di potere, del Parlamento, della sua salute. I cambi di governo si succedono disordinati. La situazione sociale peggiora ancora. Tra gli ultimi atti di Eltsin, nel 1999, vi è una riforma fiscale che porterà frutti al suo successore, Vladimir Putin. Vedremo, nel prossimo e ultimo articolo di questa serie, come, insieme agli anni Novanta, si spengono anche le ultime, flebili luci della prima democrazia russa.

Questo approfondimento fa parte di una seria curata dal ricercatore indipendente Luca Lovisolo in esclusiva per CdT.ch. Per leggere la prima puntata clicca qui. Per leggere la seconda puntata clicca qui. Per leggere la terza puntata clicca qui. Per leggere la quarta puntata clicca qui. Per leggere la quinta puntata clicca qui. Per leggere la sesta puntata clicca qui. Per leggere la settima puntata clicca qui. Per leggere l'ottava puntata clicca qui. Per leggere la nona puntata clicca qui. Per leggere la decima puntata clicca qui.