L'approfondimento

Boris Eltsin, un presidente da rivalutare nella storia della Russia

Dal cuore dei monti Urali alla presidenza del Paese, passando per l'annuncio del suo addio il 31 dicembre del 1999
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Luca Lovisolo
28.07.2024 06:00

«Mio padre riprese la cintura, per picchiarmi. Io gli afferrai il braccio e gli dissi: adesso basta, con la tua educazione a frustate». A parlare è Boris Eltsin, quando racconta la sua gioventù tra i monti Urali. Quando lascia la presidenza della Russia, nel 1999, è solo e malato. Si allontanano uomini di antica fiducia: Evgenij Primakov, suo ministro degli esteri e capo di governo; Viktor Černomyrdin, per lunghi anni suo primo ministro. Il parlamento tenta per la terza volta di destituirlo: l’impeachment non passa, ma aggrava il suo isolamento. Alle elezioni parlamentari il campo favorevole a Eltsin si crepa.

Il 31 dicembre 1999 Eltsin registra il messaggio di capodanno 2000. Ripete la registrazione più volte, racconta la figlia minore Tat’jana, non è mai contento. All’ultima ripresa, quella che passa in TV, aggiunge: «Oggi ho una cosa importante da dirvi […]. Me ne vado. Ho fatto tutto ciò che ho potuto». Ha meno di settant’anni, ne dimostra dieci di più. Biascica le parole, il volto è gonfio. Fa triste contrasto con lo Eltsin guerriero dei momenti migliori.

Gli anni in famiglia e le memorie

Gli anni successivi, sino alla morte nel 2007, la moglie Naina li ricorda come i più belli: liberato dagli oneri della presidenza, Eltsin, ormai nonno, si rimette in salute e si dedica alla famiglia. Tra il 2002 e il 2003 registra con spiritosa lucidità un’intervista-fiume di 9 ore con il giornalista Andrej Maksimov. L’intervista è un ritratto narrato di settant’anni di storia sovietica e si aggiunge ai tre libri di memorie lasciati da Eltsin: Ispoved’ na zadannuju temu («Confessioni su tema dato»), Zapiski prezidenta («Annotazioni del presidente») e Prezidentskij marafon («Maratona presidenziale»); sono scritti con il giornalista Valentin Jumašev, intimo degli Eltsin sin dalla gioventù e terzo marito della figlia Tat’jana.

Le memorie dei politici vanno prese con prudenza, ma sono racconti privilegiati del loro tempo. Quelle di Eltsin ci svelano un uomo animato da un senso innato di libertà. Ci mostrano quanto sia ingiusta la denigrazione che subisce ancora oggi la sua figura, diventata scomoda. Eltsin beveva, ma non tutti i barcollamenti che vediamo nei filmati di repertorio sono dovuti all’ubriachezza. La debolezza cardiaca gli rende la vita difficile sin dagli anni delle battaglie contro Gorbačëv; da metà anni Novanta due infarti e un intervento al cuore stroncano la sua vitalità.

Cinque pezzetti di pane

Nelle testimonianze dei tanti che lavorarono a fianco di Eltsin – anche di chi ebbe attriti con lui – nessuno mai contesta la sua correttezza verso colleghi e collaboratori. «Eltsin dava del voi a tutti [in russo corrisponde al nostro lei] – ricorda Leonid Kravčuk, primo presidente dell’Ucraina indipendente – Lo vidi spesso bere, anche molto, ma non perdeva mai la lucidità e il controllo sulle cose».

Boris Nikolaevič Eltsin nasce nel 1931, vive infanzia e adolescenza a cavallo della guerra. Il suo ricordo di allora è «la sensazione di fame costante. Due, tre, dieci, quindici anni: sempre fame, fame, fame. Eravamo in cinque: mia mamma tagliava cinque pezzetti di pane e per sé teneva il più piccolo».

«Ho sempre voluto essere leader» continua. Giovanetto, dinanzi al consiglio scolastico, Eltsin contesta un’insegnante. Racconta: «Dissi che quell’insegnante non era in grado di educare, che era impossibile avere fiducia in lei. Seguì un silenzio di tomba, poi lo scandalo. Quando tornai a casa, mio padre voleva punirmi frustandomi con la cinghia». Qui s'innesta l'episodio con il quale abbiamo aperto: Eltsin resiste per la prima volta alle cinghiate del padre. Perde un anno di scuola, dopo essersi ammalato durante un avventuroso viaggio a piedi e in barca negli Urali, durato settimane, con alcuni coetanei. Non si dà per vinto e sostiene gli esami da esterno. «Di notte dormivo tre ore e mezza, mai di più. Il resto del tempo leggevo e studiavo. I soldi erano pochi, anche perché spendevo continuamente in libri» racconta di quando, ragazzo, vive in una sorta di comune con altri studenti. E’ un appassionato cultore di sport, in particolare di pallavolo.

La carriera come costruttore

Terminati gli studi all’Istituto delle costruzioni, a Eltsin viene proposta la nomina a capomastro. Lui chiede di lavorare per un anno in cantiere, cambiando ogni mese mansione: «Ho sempre voluto capire a fondo le cose: mai parlare di ciò che non si conosce bene. Solo dopo quell’anno, accettai la nomina». Diventa poi dirigente di un gruppo di imprese edili.

La scelta di iscriversi al Partito comunista è obbligata: «Nessuno della mia famiglia era mai stato iscritto, ma un dirigente del mio livello non iscritto al Partito non andava bene».

Quando gli viene proposto di dirigere il Segretariato costruzioni della sua regione, Sverdlovsk, Eltsin accetta per disciplina politica: sa che rifiutare gli «inviti» del Partito significa la fine di qualunque carriera. E’ il suo primo ingresso in politica. Licenzia vecchi funzionari, introduce un’organizzazione del lavoro per obiettivi, sconosciuta alle gerarchie comuniste.

Nel 1976 viene promosso a Primo segretario, di fatto governatore della regione. Introduce una procedura mai vista in Unione sovietica: la possibilità di criticare la massima autorità locale, cioè lui stesso. «All’inizio ci furono timidezze. Poi i miei collaboratori videro che non subivano conseguenze, se mi criticavano: non venivano licenziati, i nostri rapporti restavano cordiali. Per la maggior parte, le critiche erano giuste. Si creò così un grande spirito di squadra, tra noi». E’ un atto di rottura, nella vita sovietica, immersa nel culto dell’autorità.

A Mosca: visite a sorpresa e lo scontro con Gorbačëv

Nel 1985 Eltsin passa a Mosca, come responsabile del Segretariato costruzioni del Partito per tutta l’Unione sovietica. L’anno dopo è già Primo segretario per la sezione di Mosca, la prima autorità della capitale. Lo si incontra la mattina presto sui mezzi pubblici; compare senza preavviso nelle fabbriche per vedere come vanno le cose; va nei supermercati per capire perché gli scaffali sono vuoti, si scaglia contro la corruzione imperante. Dagli altri funzionari del Partito riceve invidie e accuse di populismo, ma il suo non è solo teatro. Eltsin si dimostra efficace, nell’affrontare alcuni problemi della capitale. La sua popolarità cresce.

A Mosca Eltsin si scontra da vicino con Michail Gorbačëv: lo giudica indeciso e privo di carattere. Gorbačëv pensa che il sistema sovietico si possa riformare, Eltsin ha capito che bisogna abbatterlo (dopo il crollo dell’URSS, sarà Gorbačëv a riconoscere di aver sbagliato prospettiva). Il contrasto culmina durante la riunione del Comitato centrale dell’ottobre 1987. Gli altri partecipanti intervengono con mielose adulazioni a Gorbačëv, parlano pochi minuti ciascuno. «Io parlai per circa mezz’ora – ricorda Eltsin – e feci una seria critica in 20 punti. Alla fine Gorbačëv si alzò di scatto e se ne andò».

Lo scontro è durissimo. Secondo tesi mai confermate ma circolanti Eltsin avrebbe tentato il suicidio. Di certo, pochi giorni dopo quella riunione ha una grave crisi cardiaca. Mentre è in ospedale, con vendicativo cinismo Gorbačëv organizza l’assemblea che deve decidere il suo futuro come Primo segretario del Partito a Mosca: «Una decisione disumana. Mi portarono all’assemblea dall’ospedale, sotto sedativi – racconta Eltsin – e non ci capii quasi niente». Tutti si pronunciano contro Eltsin, che viene rimosso e retrocesso a un ufficio del Ministero delle costruzioni. «Non ti farò più fare un solo passo in politica», lo minaccia Gorbačëv.

Il rientro trionfale al nuovo Congresso

Gorbačëv sbaglia i conti: Eltsin si rialza, nel 1989 vuole candidarsi per la circoscrizione di Mosca al nuovo Congresso dei deputati del popolo, voluto proprio da Gorbačëv, forse l’istituzione più vicina a un parlamento mai esistita sino a quel momento in tutta la storia russa e sovietica. Il Congresso prevede quote riservate al Partito comunista, che fa di tutto per bloccare la candidatura di Eltsin.

Con uno strattagemma lecito, ma che denota tutta la sua scaltrezza, Eltsin si candida approfittando del ritiro improvviso di un altro aspirante. Il Partito non riesce più a fermarlo. Sono passati due anni, ma gli abitanti di Mosca non hanno dimenticato il loro energico Primo segretario: alle elezioni, Eltsin vince il seggio al Congresso con una maggioranza astronomica e torna trionfante alla politica attiva. Da quel momento, la strada verso la presidenza della Russia è breve, ma deve ancora superare il golpe d’agosto 1991.

Eltsin, da presidente, commette errori: tra i più gravi la crisi costituzionale del 1993 e la guerra in Cecenia, della quale parleremo. Lo si può criticare per i suoi limiti. In una classe dirigente malata di viltà e conformismo, però, nessun altro sarebbe riuscito a far respirare ai russi un primo, vero alito di libertà: nella vita, nei media, nell’economia. Le parole che meglio certificano il ruolo di Eltsin le pronuncia proprio il giornalista Andrej Maksimov, all’inizio di quell’intervista-fiume a uno Eltsin ormai in pensione: «La mia vita – dice Maksimov – è cambiata grazie a Lei, come quella di tutti: non sarei diventato giornalista, se non ci fosse stato Lei. Un enorme grazie per tutto ciò che ha fatto».

Questo approfondimento fa parte di una seria curata dal ricercatore indipendente Luca Lovisolo in esclusiva per CdT.ch. Per leggere la prima puntata clicca qui. Per leggere la seconda puntata clicca qui. Per leggere la terza puntata clicca qui. Per leggere la quarta puntata clicca qui. Per leggere la quinta puntata clicca qui. Per leggere la sesta puntata clicca qui.

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