Capitini e le debolezze di Israele: «Flop di intelligence? Una scorciatoia intellettuale»
Mohammed Deif, capo dell'ala militare di Hamas a Gaza, sabato ha dato un nome all'operazione in corso: «Alluvione al-Aqsa». Alluvione. Come la pioggia intensa di razzi, diverse migliaia, che dalla Striscia è caduta verso Israele. Un'offensiva massiccia e inaspettata, accompagnata da incursioni via terra, che ha messo in difficoltà il testatissimo sistema di difesa Iron Dome, così come l'intero esercito israeliano. Ma come ha fatto Hamas a organizzare, di nascosto, un attacco di questa portata? Quali sono gli obiettivi dell'organizzazione paramilitare? Davvero si può parlare di flop per l'intelligence israeliana? Ne abbiamo parlato con Paolo Capitini, generale dell'Esercito italiano ed esperto di scienze strategiche e storia militare.
Rudimentali
Partiamo dai razzi. Di che cosa si tratta? «I Qassam (o simili vettori utilizzati da Hamas) sono razzi – esordisce Capitini –: si distinguono dai missili perché, una volta fatti partire dalla rampa di lancio, non c'è possibilità di guidarli. In aria, si comportano come proiettili d'artiglieria, seguendo una traiettoria balistica in base all'inclinazione sulla rampa e alla carica di propellente. È quindi un sistema molto, molto rudimentale. Il suo scopo, in questa particolare fattispecie, non è quello di colpire un obiettivo specifico, quella casa invece che un'altra, ma la saturazione di un'area, cioè minacciare un'intera zona all'interno della quale verrà colpito qualcuno: così, tutti si sentono insicuri e potenzialmente in pericolo». Ma qual è il vantaggio di un sistema così impreciso? «Questi razzi sono composti, in sostanza, da un tubo, propellente e una testa esplosiva. Non hanno sistemi di guida, non hanno elettronica. Sono, insomma, facili da costruire da chiunque abbia un minimo di formazione». Di questi razzi, nelle scorse ore, Hamas ne ha lanciati tanti, tantissimi. Possibile che siano stati costruiti tutti nella Striscia? «La domanda a cui rispondere è proprio questa: sono tutti razzi costruiti in qualche garage di Gaza? O prodotti industriali che vengono da fuori? Bisognerà attendere le indagini tecniche per dare una risposta a questo quesito, capire se la firma su questa azione sia solo quella di Hamas». Se costruiti all'estero, però, i missili potrebbero aver sfruttato la celebre rete di tunnel sotterranea per raggiungere Gaza, «un sistema davvero capillare». Ma anche il mare, con un «lungo litorale difficile da sorvegliare interamente». Qualche razzo alla volta, forse ancora da assemblare: così potrebbero essere arrivati nella Striscia. «Più che di importazione, bisogna forse parlare di contrabbando».
Un attacco in grande stile, ma poi?
Comunque sia avvenuto l'approvvigionamento di razzi, questo ha permesso ad Hamas di lanciare un attacco in grande stile: «L'Iron Dome, la cupola di sicurezza aerea che protegge la quasi totalità di Israele, sembrerebbe tarata per reagire a un certo numero di razzi. Quelle decine che, solitamente, vengono lanciati in un giorno dalle organizzazioni paramilitari palestinesi. Qui, invece, si è assistito alla completa saturazione dello spazio aereo, al tiro di migliaia di razzi in un brevissimo lasso di tempo: ciò ha messo in difficoltà, se non in tilt, il sistema israeliano». Intanto, «l'accecamento di tutte le torri di sorveglianza – distrutte presumibilmente con dei droni – ha permesso l'infiltrazione di truppe (con gommoni, deltaplani, pickup, ndr). È un'operazione complessa: fa pensare che dietro l'attacco ci sia una regia abbastanza sofisticata».
E ora? «Ora Israele passerà al contrattacco. Ma fatico a credere che chi ha ideato questa offensiva, dalla parte di Hamas, non abbia poi anche pianificato come muoversi una volta costretti – inevitabilmente – alla difensiva. Quali strade chiudere, ad esempio, quali minare, dove basare nuovi depositi d'armi e centri di raccolta feriti, e così via. Non abbiamo indizi su come si svolgeranno i prossimi eventi, se ci sia stata una vera preparazione in tal senso, ma un'ipotetica fase difensiva potrebbe rendere l'operazione israeliana estremamente difficile e dispendiosa».
Fallimento dell'intelligence?
Ma i preparativi per un'operazione in grande stile rischiano di lasciare alle spalle briciole facilmente individuabili da un'attenta intelligence. Com'è possibile che i servizi segreti israeliani siano stati colti così alla sprovvista? «Staremmo parlando di qualcosa di davvero eclatante. Davvero, nei mesi che hanno preceduto questa azione, nessuno si è accorto dell'addestramento dei miliziani? Dell'avvicinarsi di persone che normalmente non vivevano nella Striscia? Del traffico di materiali? Credo sia una scorciatoia intellettuale pensare che i tre servizi segreti israeliani (Mossad, Aman, Shin Bet) non si siano accorti di nulla, pur avendo una rete di controllo nella Striscia così capillare da non avere paragoni al mondo. L'intelligence raccoglie informazioni, granello dopo granello, le valuta in base ad affidabilità, completezza, pericolosità. Poi, questi dati vengono girati ai governi. Dare credito a quanto viene detto e agire di conseguenza non sta né all'intelligence né all'esercito». Insomma, spiega Capitini, «sta in piedi con più facilità l'ipotesi che a eventuali avvertimenti dell'intelligence il governo abbia dato poco credito». Che su un'ipotetica inazione abbiano pesato i guai che il governo di Netanyahu stava attraversando, le forti proteste sulla riforma giudiziaria? «La situazione rafforza gli schieramenti che sostenevano l'impossibilità di una pace con i palestinesi. Fa, insomma, il gioco dell'attuale forza di governo, che spingeva per l'utilizzo del pugno duro». Ma di ipotesi stiamo parlando: «Uno sforzo di fantasia, che va sostenuto con prove. Va anche detto che non è nello stile di Israele, da Ben Gurion in avanti, giocare con la sicurezza nazionale per sostenere una propria visione politica. Mai nessuno ha messo a rischio l'esistenza dello Stato israeliano per un calcolo: questa, sarebbe la prima volta».
Evitare paragoni
Cadere nel paragone fra guerra in Ucraina e guerra in Israele è facile. Lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha definito «Hamas come la Russia». Ma il confronto è azzeccato? «No: è un altro mondo, un'altra situazione, un altro pregresso. Qui antefatti da una parte e dall'altra danno torti e ragioni, costruiscono una narrativa completamente differente rispetto a ciò che accade adesso in Ucraina. Faccio fatica a stabilire un collegamento. Ancor più dal punto di vista militare: Ucraina e Russia dispongono di eserciti con i propri aeroplani, elicotteri, carri armati, missili intelligenti. Hamas, secondo intelligence open source, disporrebbe in totale di 30 mila miliziani. L'esercito di Israele, senza contare i riservisti, conta 180 mila soldati muniti di tutte le tecnologie. Fra Russia e Ucraina, il grandissimo (o ritenuto tale) ha deciso di invadere il piccolissimo. Qui, invece, il piccolissimo ha colpito il grandissimo». Sono, insomma, storie diverse. Dalle conseguenze diverse. «Hamas ha dimostrato di saper effettuare un'operazione complessa, di lunga durata su un largo fronte e impegnando l'esercito israeliano nella sua totalità. Il tutto mantenendo l'iniziativa per due giorni. Non c'era mai riuscito nessuno. Questa idea di rappresentare Davide contro Golia può avere una forza, nella narrativa anti-israeliana, potentissima: un'arma che spinge all'emulazione con cui potremmo dover fare i conti nei prossimi mesi o anni». Anche in piccolo, a livello locale: non per nulla, ieri la Svizzera ha annunciato di aver inasprito le misure di sicurezza all'ambasciata israeliana a Berna e al consolato di Ginevra.