Caso Almasri: la versione dei ministri

L'arresto eseguito senza la preventiva consultazione col ministero della Giustizia. Il mandato della Corte penale internazionale con «gravissime anomalie» e dunque «radicalmente nullo». L'espulsione su un aereo di Stato, come avvenuto altre volte. I ministri italiani Carlo Nordio (della giustizia) e Matteo Piantedosi (dell'Interno) ricostruiscono in Parlamento il caso Almasri sostenendo la correttezza dei loro atti contrapposta alle «incongruenze» ed agli «errori» di quelli della Corte dell'Aja. E Nordio annuncia una richiesta di chiarimenti all'organismo europeo.
Problemi di forma, dunque, ma anche di contenuto. È il ministero della Giustizia, secondo la legge 237 del 2012, a curare «in via esclusiva» - recita la norma - i rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale. Ma via Arenula (sede del Ministero della giustizia) è stata tagliata fuori fin dall'inizio in questa vicenda, lamenta Nordio.
Una notizia informale dell'arresto, avvenuto a Torino alle 9.30 del 19 gennaio, spiega, «è stata trasmessa da un funzionario Interpol a un dirigente del nostro ministero alle 12,37». Solo il giorno dopo, lunedì 20 alle 12.40, il procuratore della Corte d'appello di Roma ha trasmesso «il complesso carteggio». Ed alle 13.57 l'ambasciatore italiano all'Aja ha inviato al ministero la richiesta di arresto. La comunicazione della questura, nota Nordio, «era pervenuta al ministero ad arresto già effettuato e, dunque, senza la preventiva trasmissione della richiesta di arresto a fini estradizionali emessa dalla Cpi al ministro».
Sul punto la Corte, nella sua comunicazione del 22 febbraio scorso, aveva assicurato di aver avviato il «dialogo con le autorità italiane per garantire l'efficace esecuzione di tutte le misure richieste dallo Statuto di Roma per l'attuazione della richiesta» di arresto. Ricordando alle stesse autorità che «nel caso in cui individuino problemi che possano ostacolare o impedire l'esecuzione della presente richiesta di cooperazione, dovranno consultare senza indugio la Corte per risolvere la questione». Cosa che non è avvenuta, è l'accusa dell'Aja.
Nordio, da parte sua, puntualizza che la Giustizia non ha un ruolo da mero «passacarte», ma è un «organo politico» che analizza e valuta bene prima di decidere. E mentre via Arenula valutava, la Corte d'appello di Roma scarcerava il libico, rilevando «irritualità» nell'arresto, perchè «non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia», che, interessato il giorno prima dalla stessa Corte «non ha fatto pervenire alcuna richiesta in merito». Ma non c'è stata negligenza, sottolinea il guardasigilli: nel documento della Cpi, «c'era tutta una serie di criticità che avrebbero reso impossibile un'immediata richiesta alla Corte d'appello».
Problemi di date, innanzitutto. Dalle carte dell'Aja non è chiaro se i reati attributi ad Almasri sono iniziati nel febbraio 2011 o nel marzo 2015. Incongruenza sanata in una seconda versione del documento, datata 24 gennaio, in cui la Corte si è riunita «ribaltando completamente il precedente mandato di arresto. Quindi il primo atto in base al quale io avrei dovuto chiedere alla Corte d'Appello la conferma era un atto nullo», evidenzia il ministro segnalando anche che una delle tre giudici che si sono occupate del mandato era contraria, ma «il suo parere non ci è stato mandato».
Se il ministro della Giustizia si assolve per non aver dato corso al mandato d'arresto dell'Aja, per quello dell'Interno non c'è stato nulla di irregolare nella veloce espulsione verso Tripoli a bordo di un Falcon dei servizi del comandante libico, martedì 21 gennaio. Piantedosi ha firmato l'espulsione «per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato». Non è un evento raro, sottolinea. Da quando è in carica ne ha firmati 24. È stato criticato l'uso dell'aereo di Stato. Per il titolare del Viminale, si è scelto di agire rapidamente «per i profili di pericolosità riconducibili al soggetto e per i rischi che la sua permanenza in Italia avrebbe comportato».
L'aereo è partito da Ciampino per Torino la mattina del 21, quando ancora la Corte d'appello non aveva disposto la scarcerazione. Ma ciò, rimarca, «rientra tra quelle iniziative a carattere preventivo, e quindi aperte a ogni possibile scenario (ivi compreso l'eventuale trasferimento in altro luogo di detenzione), che spettano a chi è chiamato a gestire situazioni che implicano profili di tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico di tale rilevanza».