C'è chi l'aveva detto: attenzione a Putin
Per anni, i continui avvertimenti della Polonia e dei Paesi baltici sono stati ignorati dall’Occidente. La Russia si espanderà, dicevano. E ancora: la Russia ha una politica aggressiva. Niente. Risposte di circostanza da parte della «vecchia» Europa e, in generale, dell’Occidente. Al grido «ma figurati se Putin…».
Assurdo, visto quanto successo. E considerando che, per ragioni evidenti dettate dalla storia, queste nazioni hanno una conoscenza maggiore, profonda anche, del Cremlino. Soprattutto, sapevano che Mosca per raggiungere il suo fine sarebbe stata disposta a usare qualsiasi mezzo. Anche il bombardamento di intere città.
Il ruolo di Angela Merkel
Il dito, ora, è puntato in particolare contro la Germania e, va da sé, Angela Merkel. La cancelliera era la prima firmataria di una teoria, rivelatasi errata: la Russia può essere un partner economico e commerciale, finanche politico. Ora, Baltico ed Est Europa attaccano: noi lo sapevamo, lo abbiamo sempre saputo, ma l’Europa diceva che vivevamo di rancori e pregiudizi, volendo farla breve.
La Polonia, in questo senso, aveva cercato di farsi portavoce di un intero (ex) blocco, quello uscito dall’influenza di Mosca per abbracciare l’Unione Europea. Nello specifico, erano risuonati tutti i campanelli di allarme: i ciberattacchi, il doppio gioco dei russi, il gas come arma a doppio taglio. Alla NATO, in tempi meno sospetti, erano giunte anche richieste puntuali: bisogna rinforzare la linea a Est. Sikorski, all’epoca ministro della Difesa in Polonia, nel 2006 aveva addirittura definito l’accordo fra Germania e Russia su Nord Stream qualcosa di simile, molto simile al patto Molotov-Ribbentrop. Brividi.
Nel 2014, ancora, i leader di Polonia e Paesi Baltici avevano tuonato: attenzione, l’annessione della Crimea da parte della Russia è un segnale inequivocabile. Ovvero, Putin ha appena cominciato. E non si fermerà. A suo tempo, l’UE non impose sanzioni pesanti alla Russia. Nonostante un’annessione che, nei fatti, era un’invasione.
Diffidenze dettate dalla storia
Le ragioni di Polonia e Paesi Baltici, dicevamo, sono altresì storiche. I polacchi, ad esempio, persero la loro indipendenza nel Diciottesimo secolo a causa di un attacco guidato dalla Russia. Per tacere delle rivolte del secolo successivo, della vittoria sui Soviet nel 1920, dell’invasione sovietica del 1939 e di quattro decenni di dittatura comunista dopo la Seconda guerra mondiale. I Paesi baltici, per contro, vennero annessi all’Unione Sovietica in un contesto post-bellico (eufemismo) complicato, fra deportazioni e uccisioni. Ai loro occhi, insomma, la Russia è sempre stata un invasore. E, viene da dire, sempre lo sarà.
A detta di molti esperti, le origini di questa guerra risalgono al 2007. O, se preferite, al discorso che Putin tenne alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. All’epoca, il presidente russo criticò gli Stati Uniti e il tentativo della NATO di espandersi verso Est.
La Polonia, a sua volta, criticò la NATO e l’UE per il mancato sostegno. Come se il cosiddetto mondo democratico non volesse riconoscere il pericolo annunciato. E di riflesso il ruolo dei polacchi, divenuto l’ultimo bastione dell’Occidente.
Di sicuro non hanno aiutato, in seguito, le svolte anti-Germania e anti-UE di Varsavia.
Il ciberattacco all'Estonia
I racconti e i ricordi, mentre l’Ucraina è alle prese con un’invasione e una guerra vera, si accavallano. L’Estonia, nel 2007, fu colpita da un attacco informatico su vasta, vastissima scala. Il tutto dopo che Tallinn decise di spostare un monumento «ai liberatori dell’Estonia» lontano dal centro città.
Il governo russo a più riprese negò un coinvolgimento, la stessa NATO non sembrava convinta al riguardo. L’Estonia fu accusata di russofobia. E dire che proprio i Paesi Baltici, spesso, dispongono della migliore intelligence riguardo alla Russia. Una questione di legami storici, appunto, ma anche di paura.
La Lettonia, per dire, informò la NATO che la Russia aveva determinate ambizioni in Georgia. Ben prima dell’invasione del 2008. Anche qui, nessuno riuscì a convincere il «vecchio» Occidente.
Anche gli Stati Uniti, a detta degli esperti, hanno creduto in una Russia amica. In questi giorni tesi e drammatici riemerge il famoso reset fra Washington e Mosca del 2009. Con tanto di bottone rosso e gaffe statunitense: sopra quel bottone, in russo, c’era scritta la parola sbagliata. Ahia.
La vera anima di Putin, ora, è sotto gli occhi del mondo. E sorprende, tornando all’Europa, che Angela Merkel – nata e cresciuta a Est – non se ne fosse accorta quando era in carica.
Sanzioni sì o sanzioni no?
Tornando al 2014, dopo l’annessione della Crimea vi fu una feroce battaglia sulle possibili sanzioni da infliggere alla Russia. Polonia e Paesi Baltici, ovviamente, erano per la linea dura. Ed erano spalleggiati da Svezia e Regno Unito. Gli altri, invece, erano più freddi.
Eppure, Putin aveva seminato ogni indizio possibile circa le sue intenzioni. Detto del 2007, nel 2008 il presidente russo definì l’Ucraina una creazione artificiale. Fu bacchettato, ma nulla più.
Sorridono, oggi, i leader dei Paesi che un tempo rispondevano a Mosca. Sorridono amaramente, pensando al tentativo (vano) di Emmanuel Macron poco prima dell’invasione.
Chissà, forse l’Europa e l’Occidente hanno imparato la lezione. Un domani, prima di parlare con la Russia sarà necessario conoscere davvero Mosca. E, quindi, rivolgersi a chi ne ha subito le angherie lungo il corso della storia.