Cercapersone esplosivi: quello di Israele è stato un attacco illegale?
Continua l'escalation fra Hezbollah e Israele. Nella giornata di venerdì le forze dello Stato ebraico hanno bombardato un quartiere di Beirut, capitale libanese, poco dopo il lancio da parte del gruppo islamista di 150 razzi nel nord di Israele. Le offensive si stanno sviluppando sugli strascichi dell'operazione condotta da Tel Aviv ai danni di Hezbollah. Fra martedì e mercoledì, lo ricordiamo, migliaia di dispositivi elettronici in dotazione all'organizzazione – principalmente cercapersone e walkie-talkie – sono stati fatti esplodere in un'operazione mai rivendicata ma universalmente attribuita a Israele. Il bilancio più recente parla di almeno 39 morti e migliaia di feriti, con vittime tra i civili. Le conseguenze dell'attacco sono state pesanti non solo per Hezbollah, ma anche per lo Stato libanese, che nelle scorse ore, ad esempio, si è visto costretto a vietare, a bordo dei voli di linea, tutti i dispositivi elettronici wireless. In che grado l'attacco israeliano ha colpito anche la popolazione e le istituzioni libanesi? L'operazione ha rispettato i limiti imposti dal diritto internazionale? Ne abbiamo parlato con Marc Finaud, ex diplomatico francese impegnato per un decennio al Geneva Centre for Security Policy (GCSP) nella formazione di diplomatici e ufficiali militari in materia di controllo degli armamenti e sicurezza internazionale.
Secondo l'ipotesi più accreditata, Israele avrebbe manomesso i dispositivi elettronici con materiale esplosivo. Che cosa dice il
diritto internazionale sugli attacchi condotti con questa tipologia di armamenti?
«Non esistono norme giuridiche specifiche che regolino l'uso di queste attrezzature, che sono principalmente per uso civile. Tuttavia, poiché ci troviamo in un conflitto armato internazionale (tra due Stati, anche se Hezbollah è considerato da alcuni un gruppo armato non statale), le norme del diritto internazionale umanitario impongono il rispetto di alcuni principi: divieto di attacchi deliberati contro i civili, principio di precauzione per evitare danni collaterali, divieto di qualsiasi arma di natura tale da causare sofferenze inutili e lesioni superflue. Alcune di queste regole sono codificate nei Protocolli aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra del 1977, di cui Israele non è parte, ma sono considerate regole di diritto consuetudinario applicabili da tutti gli Stati».
L'attacco, svolto in due fasi, ha provocato appunto anche il ferimento e la morte di civili. Come valuta il rapporto rischio di danni collaterali-benefici dell'operazione?
«Il principio di precauzione richiede che questo rischio sia misurato prima di qualsiasi attacco: se il rischio esiste, l'attacco non è conforme al diritto internazionale, anche quando i combattenti si rifugiano in un obiettivo civile come una scuola o un ospedale. Inoltre, l'unico obiettivo accettabile secondo il diritto internazionale è il beneficio militare nelle ostilità e i metodi utilizzati devono essere a esso proporzionati. Israele, che non rivendica la responsabilità di simili operazioni all'estero, potrebbe in seguito spiegare che questa operazione aveva lo scopo di indebolire Hezbollah eliminando alcuni dei suoi leader militari e complicando le sue comunicazioni, in vista di un'operazione militare su più vasta scala. Ma questo non giustifica in alcun modo la violazione delle norme del diritto internazionale umanitario».
Quali conseguenze a lungo termine potrebbe avere l'attacco? Qual è l'impatto sui civili?
«Il terrore provocato da questo attacco nella popolazione, ben oltre l'obiettivo dei combattenti di Hezbollah, porterà probabilmente molti attori statali e non statali a rinunciare all'uso di alcuni dispositivi elettronici a causa del rischio di esplosione. Bin Laden, il leader di Al Qaeda negli anni '90, aveva già proibito ai suoi collaboratori di usare telefoni cellulari, computer ed e-mail per sfuggire alla sorveglianza e all'individuazione. Hezbollah probabilmente trarrà ispirazione da questo, tornando a metodi di comunicazione più sicuri. I civili in possesso di dispositivi sospetti dovrebbero farli analizzare dalle autorità o consegnarli».
Negli anni, i servizi segreti israeliani hanno abituato a operazioni in grande stile. Pensiamo a quella effettuata nel 2010, quando in un hotel di Dubai il Mossad assassinò Mahmoud al-Mabhouh, co-fondatore delle Brigate Qassam di Hamas. Come sono trattate queste attività dalla comunità internazionale?
«Queste operazioni dei servizi israeliani sono spesso ammirate per la loro abilità tecnica o di pianificazione: l'eliminazione di leader terroristici è raramente rimpianta, anche se, dal punto di vista legale, l'assassinio mirato è illegale e, dal punto di vista politico, può essere controproducente in quanto i leader più anziani e moderati vengono generalmente sostituiti da altri più giovani e aggressivi. In generale, per anni Israele ha contato sul sostegno degli Stati Uniti e di alcuni Paesi occidentali e ha goduto della totale impunità per le sue violazioni del diritto internazionale. Dopo la guerra di Gaza, data l'entità dei morti, le decisioni della Corte internazionale di giustizia e i possibili mandati di arresto della Corte penale internazionale contro i leader israeliani potrebbero contribuire a esercitare pressioni sulla politica israeliana».