L'anniversario

Charlie Hebdo, dieci anni dopo: «La satira fatica a sopravvivere»

Nella mattinata del 7 gennaio 2015 i due fratelli Kouachi uccisero dodici persone presso la sede del settimanale francese – Ne parliamo con lo storico Laurent Bihl (Sorbonne)
© KEYSTONE (REUTERS/Stefan Wermuth)
Danilo Ceccarelli
07.01.2025 06:00

Più che un anniversario, i dieci anni dall’attentato jihadista contro la redazione di Charlie Hebdo che ricorrono oggi rappresentano una dolorosa commemorazione. Di quelle che non servono solo a ricordare le vittime, ma anche a fare i conti con le conseguenze di quel terribile attacco che decimò la redazione parigina del settimanale satirico. Lo dimostra la sfilza di omaggi organizzati per l’occasione, che vanno dalle cerimonie istituzionali ai tanti approfondimenti televisivi previsti, passando per i libri e le decine di articoli pubblicati in questi giorni da tutte le testate d’oltralpe. La rivista stessa uscirà proprio oggi in edicola con un numero speciale di 32 pagine, nel quale saranno pubblicate le caricature selezionate al termine del concorso #RireDeDieu (Ridere di Dio), lanciato a metà novembre con l’obiettivo di denunciare «l’ascendente di tutte le religioni» sulla società. Ma l’edizione straordinaria conterrà anche i risultati di un sondaggio intitolato «La Francia è ancora Charlie?».

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La sede oggi è top secret

Una domanda che viene naturale porsi a un decennio di distanza da quel tragico evento che suscitò un’ondata di commozione in Francia e nel resto del mondo, espressa con l’ormai celebre slogan «Je suis Charlie», nato in segno di solidarietà nei confronti del giornale. Perché quello del 7 gennaio del 2015 fu un attacco prima di tutto alla libertà di stampa e di espressione, incarnata dal più estremo dei suoi rappresentanti. Un giornale che ha fatto dell’ironia più irriverente il proprio marchio di fabbrica, alzando di volta in volta l’asticella per vedere fin dove si poteva spingere uno dei valori fondanti della Francia laica e repubblicana. Con la pubblicazione delle vignette su Maometto era caduto nel mirino dell’islamismo radicale, che ha finito per colpire aprendo l’annus horribilis della Francia, segnato da una lunga scia di sangue terminata a Parigi la sera del 13 novembre con gli assalti al Bataclan, allo Stade de France e ad alcuni bistrot. Dodici mesi che hanno fatto scoprire al Paese dei Lumi l’orrore della follia islamista, rimasta nel quotidiano dei francesi con cicatrici ancora ben visibili.

Oggi la rivista satirica, che ha spostato la redazione in una sede top secret per motivi di sicurezza, è diretta da Riss, rimasto ferito a una spalla durante l’attentato e che come molti altri colleghi vive sotto scorta. Le minacce al giornale, infatti, sono proseguite negli anni con le intimidazioni dell’Isis e di Al-Qaeda, ma anche con episodi più concreti. Come quello avvenuto nel settembre 2020, quando un uomo di origini pakistane armato di una mannaia si è presentato all’ingresso di quella che ormai era la vecchia sede di Charlie Hebdo ferendo gravemente due persone. Ma le paure dei francesi sono riemerse prepotentemente un mese dopo, con l’uccisione del professore Samuel Paty, sgozzato poco fuori Parigi per aver mostrato in classe le caricature di Maometto pubblicate proprio da Charlie Hebdo. Il ritorno di un incubo, che ha cambiato la percezione dei francesi nei confronti della libertà di pensiero.

Saturazione di immagini

«C’è un prima e un dopo gli attentati, perché per la prima volta nella storia della stampa un’intera redazione è stata distrutta», spiega al Corriere del Ticino lo storico Laurent Bihl, professore alla Sorbonne e specialista dell’immagine satirica. «Charlie Hebdo continua a esistere, ma è evidente che dopo il 2015 la libertà di espressione non gode di ottima salute», afferma il docente, sottolineando tre cause conseguenti agli attentati: «La prima sta nel fatto che alcuni disegnatori hanno paura di affrontare certi temi e per questo si autocensurano; poi c’è il fatto che molti giornali nel mondo si mostrano meno tolleranti nei confronti delle caricature e dei disegni ironici, come ad esempio il New York Times che ha deciso di non pubblicare più vignette politiche; infine si registra un calo di interesse nei confronti delle caricature». Un esempio su tutti, quello del settimanale La Tribune du dimanche, che secondo quanto svelato pochi giorni fa da Le Monde avrebbe deciso all’ultimo di non pubblicare una caricatura inedita di Charlie Hebdo sulla prima pagina di un suo prossimo numero commemorativo. Fattori che, sotto certi aspetti, rappresentano un paradosso se si pensa a quel movimento internazionale di solidarietà esploso subito dopo l’attentato, che l’11 gennaio di dieci anni fa, pochi giorni dopo l’assalto, portò nelle strade di tutta la Francia circa 4 milioni di persone in quella che è stata ribattezzata la “marcia repubblicana”, alla quale presero parte decine di capi di Stato e di Governo.

Viene quindi da chiedersi se oggi i francesi sarebbero ancora una volta pronti a scendere in piazza per difendere simili principi. Eppure, secondo un sondaggio condotto nel 2020 dall’Ifop (Istituto francese di sondaggio d’opinione) su commissione di Charlie Hebdo, il 59% di loro sostiene che i giornali hanno ragione nel pubblicare le caricature di Maometto nel nome della libertà d’espressione (+21% rispetto al dato registrato nel 2006), mentre il 31% parla di una «provocazione inutile» (-23%). Segno di una maggiore consapevolezza da parte della società, che al tempo stesso sembra aver perso interesse nei confronti dell’argomento, soprattutto quando si parla di caricature e satira visiva, il cui impatto sull’opinione pubblica è sempre più debole. «Dal 19. secolo la caricatura ha l’obiettivo di aprirci lo sguardo, ma questo non è possibile quando c’è una minaccia religiosa e una saturazione di immagini come quella attuale, che richiederebbe una maggiore educazione», spiega Bihl. Lo specialista, poi, sottolinea il fatto che oggi la vignetta satirica «viene ridotta solamente all’attacco di una religione in particolare», quella islamica. «La caricatura è laica da sempre, qualunque sia il credo nella quale viene diffusa», aggiunge il professore. Uno strumento utile a capire il mondo da un’altra prospettiva, che in questi ultimi tempi sembra allontanarsi sempre di più.

Il 2015, l'anno degli attacchi nel cuore della Francia

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Il 2015 rimarrà nella storia di Parigi come l’anno degli attentati, della paura. Normale pensare alla strage del Bataclan: 90 morti. Oppure a quella dei bistrot, sempre quel 13 novembre: 13 al Carillon e al Petit Cambodge, 5 al Café Bonne Bière e alla Casa Nostra, 21 alla Belle Équipe. In totale, quella notte morirono 137 persone, compresi sette attentatori. Più di 400 i feriti.

L’anno, però, si aprì con un altro attentato, appunto quello alla sede del Charlie Hebdo, avvenuto nella tarda mattinata del 7 gennaio, che fece dodici vittime. Undici i feriti. Morirono il direttore Stéphane Charbonnier, i vignettisti Jean Cabut, Georges Wolinski, Bernard Verlhac e Philippe Honoré, il curatore editoriale Mustapha Ourrad, la giornalista Elsa Cayat, l’economista Bernard Maris, l’intellettuale Michel Renaud, l’addetto alla manutenzione Frederic Boisseau, ma pure l’agente di polizia Ahmed Merabet - giustiziato in strada con un colpo alla testa - e la guardia del corpo del direttore, ovvero Franck Brinsolaro. Dopo la strage, i due attentatori, i fratelli Kouachi, il 34.enne Said e il 32.enne Chérif, fuggirono su una Citroën nera - e a quel punto si imbatterono in Merabet - e poi ancora su un veicolo rubato. Vennero individuati nel corso della notte successiva dalle parti di Reims, ma circondati e uccisi soltanto nel pomeriggio del 9 gennaio a Dammartin-en-Goële, all’interno di una tipografia.

Parallelamente, l’8 gennaio avvenne pure l’uccisione da parte di Amedy Coulibaly di una poliziotta a Montrouge, a Sud di Parigi. Coulibaly conosceva i fratelli Kouachi. Scappato a quella sparatoria, si nascose - sempre il 9 gennaio - all’interno di un supermercato kosher, dove uccise altre tre persone, tutte di religione ebraica, prima di essere a sua volta colpito a morte dalle forze speciali francesi. Coulibaly, 32.enne di origini maliane, aveva giurato fedeltà allo Stato islamico, mentre i fratelli Kouachi, franco-algerini, si erano detti finanziati da Al-Qaeda in Yemen.

Non va dimenticata, l’anno successivo, il 2016, la strage di Nizza, avvenuta il 14 luglio per mano del franco-tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, «soldato» dell’ISIS, che con un autocarro falciò la folla sulla Promenade des Anglais facendo 86 morti, tra i quali anche tre cittadini svizzeri.

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