Che cos'è la «Nakba» e perché i palestinesi di Gaza ne parlano
I bombardamenti su Gaza, pesantissimi, proseguono. Con conseguenze devastanti anche, se non soprattutto, per la popolazione, al di là dell'invito rivolto dal presidente statunitense Joe Biden a Israele: minimizzare le vittime civili. I palestinesi della Striscia, in queste ore, hanno ritirato fuori un vocabolo che credevano perduto nel tempo: Nakba. È una parola araba che significa catastrofe. E che rimanda agli eventi del 1948, tumultuosi, con la creazione dello Stato di Israele, la prima guerra arabo-israeliana e l'inizio dell'esodo di arabi palestinesi, con 700 mila persone che abbandonarono città e villaggi.
Ieri, martedì, Israele ha attaccato in maniera feroce. Costringendo in molti alla fuga, sebbene il confine promesso, quello con l'Egitto a Rafah, sia stato chiuso sine die. «La situazione è assurda, nessun posto è letteralmente al sicuro» ha affermato la giornalista Plestia Alaqad a Reuters. «Personalmente, sono stata evacuata tre volte». Dopo che il suo condominio è stato colpito, in effetti, si è rifugiata da un'amica. Ma anche quella casa, le è stato detto in seguito al telefono, sarebbe presto stata presa di mira. Quindi, è passata in ospedale per ricaricare il cellulare e, infine, si è rifugiata in un'altra abitazione assieme ad altri giornalisti. «Solo adesso ho capito quello che mio nonno, che riposi in pace, mi ha raccontato sul 1948 e sulla Nakba. Quando ne sentivo parlare, non capivo».
Sono passati decenni e decenni dal 1948. E la ferita, ora, si è riaperta. La Palestina non è ancora uno Stato a tutti gli effetti. E i rapporti con Israele, dopo l'attacco di Hamas e la risposta, violentissima, dello Stato Ebraico, sono ai minimi termini. A margine della prima guerra arabo-israeliana, come detto, 700 mila palestinesi – la metà della popolazione araba se pensiamo alla Palestina sotto il controllo britannico – fuggì o venne cacciata. Le prospettive, per chi vive nella Striscia, ora sono perfino peggiori: Israele ha inasprito la morsa su Gaza, ovvero il blocco in vigore dal 2007, quando Hamas prese il potere, vietando completamente le importazioni di cibo e carburante e, ancora, tagliando la fornitura di elettricità. Non solo, il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha detto che lo Stato Ebraico sta combattendo contro «animali umani» e che l'esercito si comporterà di conseguenza. Tradotto: presto o tardi ci sarà un'offensiva via terra.
Intanto, però, Gaza sta facendo i conti con devastazioni e macerie, per tacere dei morti. «Non avremmo mai immaginato che la nostra casa potesse diventare una montagna di macerie» ha confidato a Reuters Radwan Abu al-Kass, istruttore di boxe e padre di tre figli. Con cui si è rifugiato da un amico a pochi chilometri di distanza. «Questo è il nostro 1948. È la stessa cosa. È un'altra Nakba». Le Nazioni Unite, tramite l'Alto Commissario per i diritti umani Volker Türk, hanno provato a mettere pressione su Israele affinché rispetti i civili. Definendo la guerra totale lanciata lungo la Striscia una violazione del diritto internazionale umanitario. L'appello, tuttavia, per ora è rimasto inascoltato. E così i palestinesi di Gaza stanno vivendo una nuova Nakba.