Che pasticcio, Boris Johnson!

Creare e imporre regole ha senso solo se chi le crea e le impone dà l’esempio. Le rispetta, predica bene e razzola in egual misura. Logico e lineare, verrebbe da dire. Non sembrerebbe così per il Primo ministro britannico Boris Johnson, la cui coerenza tra il dire e il fare, almeno secondo una buona parte della stampa inglese (capeggiata dal Mirror) e di tutta l’opposizione, si sarebbe inceppata a più riprese. L’ultimo intoppo in ordine cronologico è il Christmas quiz del 15 dicembre 2020, a cui Bojo avrebbe partecipato – per alcuni solo virtualmente – mentre Londra era prigioniera di rigide misure restrittive che vietavano qualsiasi riunione tra nuclei familiari e feste aziendali. Un lockdown, in sostanza, che proprio lui stesso aveva indetto. E secondo le ultime indiscrezioni che giungono Oltremanica, il numero 10 di Downing Street avrebbe ospitato anche un’altra festa, o forse altre due, durante il confinamento.
L’effetto Cummings e la «cultura del disprezzo»
Gli scivoloni di Johnson, ancora senza smentite, hanno aumentato la riluttanza e la sfiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini, ma soprattutto la fatica ad adattarsi alle norme per contrastare la COVID-19. Un processo ribattezzato «effetto Cummings», dal nome dell’ex super-consulente di Johnson accusato di aver violato il lockdown nel marzo 2020, in piena emergenza sanitaria, raggiungendo la tenuta dei suoi genitori nel Nord Est dell’Inghilterra dove aveva portato moglie e figlio che avevano mostrato sintomi. Bene, ma se al primo ministro – e non solo – è concesso non rispettare le regole, perché dovrei rispettarle io? Si saranno chiesti i britannici. Una domanda lecita, visto il fuoco incrociato da cui si deve riparare Bojo, accusato di alimentare una «cultura di disprezzo delle regole in seno al governo». Oppure, per dirlo con le parole del leader dell’opposizione laburista Keir Starmer, «abbiamo il peggior Primo ministro possibile nel peggior momento possibile».

Disobbedienza alle norme per combattere la pandemia, dicevamo. Facciamo un esempio pratico: la University College di Londra aveva monitorato le opinioni di 40 mila britannici relative all’approccio del governo alla pandemia per un periodo di sei settimane nel 2020. I risultati del documento, pubblicati sulla rivista Lancet, mostravano che, proprio nelle settimane successive alle rivelazioni di Cummings e alla titubanza di Johnson nel rimuoverlo dall’incarico, la volontà di aderire alle linee guida era improvvisamente crollata. Il risultato? Nonostante le restrizioni i britannici si erano riversati in massa in spiaggia e nei parchi perché, scriveva ad esempio sulle colonne del Guardian Patricia Riddell, professoressa di neuroscienze applicate alla Reading University, «la gente viene condizionata nel vedere persone infrangere le regole e a farla franca».
Come un boomerang a Westminster
La progressiva perdita di fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini, scaturita proprio dalle discutibili azioni di chi traghetta il Paese, si è tramutata in un pericoloso boomerang che è finito dritto all’interno di Westminster ed è andato a colpire nientemeno che lo stesso partito capeggiato da Johnson. I conservatori, sentendosi traditi dal proprio leader, gli hanno girato le spalle proprio durante il dibattito sull’introduzione del green pass andato in scena alla Camera dei comuni. Un centinaio (101 per la precisione) di deputati Tory ha infatti votato contro il provvedimento in una sorta di clamorosa ribellione che mina l’autorità del premier e potrebbe avere gravi conseguenze politiche. Il pacchetto anti-COVID è stato poi approvato, ma a soccorrere Johnson sono stati, paradossalmente, i voti dell’opposizione laburista.
I media britannici hanno sottolineato la portata della rivolta in seno al partito conservatore, seconda soltanto ai 118 «ribelli» che votarono contro Theresa May nel gennaio 2019 in quella che fu allora definita «la maggiore sconfitta della storia per il governo». Palese, quindi, la presenza di un malcontento Tory che ribolle, al punto che osservatori e media nel Regno Unito hanno segnalato perfino alcuni tra i suoi più fedeli sostenitori tra coloro che sollevano dubbi sulla durata della sua guida del partito, e quindi del Paese. La poltrona di Bojo traballa. E i nomi di possibili successori stanno già circolando.