Chernobyl: 36 anni dopo il disastro, ancora non c'è tregua
Pripyat, notte del 26 aprile 1986. Sono passati 36 anni da quello che tutti conosciamo come «Disastro di Chernobyl». Una catastrofe di livello 7 («Incidente di maggiore gravità», secondo la scala INES) che ancora oggi è impossibile dimenticare. Nel 2019, una miniserie televisiva ripercorse in cinque puntate la storia della catastrofe, basandosi sui resoconti e sulle testimonianze degli abitanti di Pripyat, raccolte dalla scrittrice Premio Nobel Svjatlana Aleksievič. Oggi, la centrale è tornata a essere oggetto di preoccupazione in ogni angolo del mondo, dopo che i soldati russi avevano posizionato alcune truppe nel territorio in seguito all'invasione dell'Ucraina lo scorso 24 febbraio. Facciamo ora un tuffo nel passato e ripercorriamo quello che accadde nella notte di 36 anni fa.
Un test basato su altri test fallimentari
Ore 01:23:45 del 26 aprile. La centrale stava effettuando un test di sicurezza, volto a verificare se, in assenza di alimentazione esterna, la turbina accoppiata all'alternatore fosse in grado di continuare a produrre energia elettrica, sfruttando l'inerzia del gruppo turbo-alternatore anche nel momento in cui il circuito di raffreddamento non stesse più producendo vapore, necessario ad alimentare le pompe di circolazione. Detto con parole più semplici, con l'esperimento si voleva verificare la fattibilità di alimentare le pompe del sistema di raffreddamento anche in caso di blackout elettrico, tramite l'utilizzo di sistemi d'emergenza. Per permettere la riuscita dell'esperimento vennero disabilitati alcuni circuiti di emergenza. Il vero scopo del test era quello di riuscire a colmare il lasso di tempo (di 60 secondi) che intercorreva tra l'interruzione di produzione di energia elettrica del reattore e l'intervento del gruppo diesel di emergenza. In questo modo sarebbe aumentata la sicurezza dell'impianto, che in condizioni simili avrebbe provveduto autonomamente a far girare l'acqua nel circuito di raffreddamento, fino all'avvenuto avvio del diesel. Per certi versi, si può affermare che il disastro di Chernobyl sia stato basato su degli errori recidivi. Dei test simili, infatti, erano stati già condotti in passato, nel 1982. Solo quattro anni prima. In tutti e tre i casi, l'esito dell'esperimento fu negativo. In aggiunta, il test che provocò l'incidente era stato posticipato di 10 ore rispetto all'orario previsto. Questo fece sì che il personale di turno che si trovò impegnato nell'esperimento fu diverso dalla squadra che - al contrario - si era preparata per affrontare il test.
Le due esplosioni
Il cosiddetto «test di sicurezza sul n°4 della centrale» che causò il disastro aveva, in realtà, il fine di riuscire a far ottenere la definitiva omologazione dell'impianto. Prima dell'esperimento, il reattore coinvolto venne mantenuto a una potenza ridotta per diverse ore. Durante il lasso di tempo precedente lo spegnimento previsto dal test, la potenza del reattore fu ulteriormente abbassata. Tuttavia, per ragioni accidentali, la potenza del reattore diminuì molto più di quanto desiderassero gli operatori, oltrepassando i limiti di sicurezza. A peggiorare la situazione vi fu anche il fenomeno dell'avvelenamento da xeno, che mascherava la reale attività del reattore. I protocolli, in una condizione di questo tipo, prevedevano il totale spegnimento del reattore e l'interruzione istantanea del test, eppure vennero prese decisioni differenti. Gli operatori cercarono di incrementare nuovamente la potenza estraendo quasi tutte le barre di controllo. In questo modo, il reattore divenne instabile, e i tecnici dovettero inevitabilmente interrompere il test, mettendo in atto la manovra di spegnimento istantaneo, tramite l'attivazione del pulsante AZ-5. La procedura non andò però come da piani, portando alla catastrofe. Le ricostruzioni furono controverse, ma con un dato certo nella narrazione: all'inizio della manovra d'emergenza, anziché spegnersi, il reattore guadagnò ancora più potenza, velocissimamente, e andando oltre ogni limite di sicurezza. Questa conseguenza anomala fu causata da un grave difetto di progettazione delle barre di controllo, che portò al surriscaldamento improvviso. Ci vollero pochissimi secondi per superare i 30 GW di potenza, andando dieci volte oltre il massimo previsto e producendo enormi volumi di gas. Da qui ebbe origine la prima esplosione che proiettò in aria il pesantissimo coperchio di cemento e acciaio del reattore. Quest'ultimo ricadde verticalmente, lasciando il recipiente scoperchiato. Come conseguenza, si scatenò la seconda devastante esplosione, causata dall'ignizione dell'idrogeno e della polvere di grafite che, una volta espulsi dal reattore, si mescolarono con l'ossigeno dell'aria, distruggendo l'edificio. La grafite contenuta nel nocciolo fu in seguito responsabile dell'incendio che si estese alle strutture adiacenti.
Prima la calma, poi la «Luce di Cherenkov»
All'inizio, le autorità dell'allora Repubblica Socialistica Sovietica Ucraina non dichiararono l'incidente. La notizia venne divulgata solamente dopo alcuni giorni, quando in Svezia venne segnalato un aumento anomalo delle radiazioni atmosferiche. Dopotutto, fino al momento antecedente la prima esplosione, l'atmosfera nella sala controllo era di assoluta calma. L'ordine di premere il pulsante AZ-5 venne impartito come un semplice atto previsto dalla procedura. Solo dopo l'esplosione si cominciò a comprendere la gravità di quanto accaduto. In un primo momento, l'esplosione portò a una mancanza di illuminazione. Quando le luci si riaccesero, gli operatori erano in uno stato di confusione. Dal soffitto cadevano frammenti e polvere, mentre una nebbia grigiastra si diffondeva nell'aria, da uno dei bocchettoni di areazione. La seconda esplosione doveva ancora verificarsi. Gli operatori si resero conto di quello che stava realmente accadendo solo dopo che quest'ultima si verificò. Abbandonate le macerie dei serbatoi, da fuori ad attendere gli operatori vi era uno spettacolo terrificante. La sala del reattore n°4 non esisteva più: il tetto era scoperchiato e una parete intera era crollata. Tutto l'ambiente era invaso da scintille provocate dai cortocircuiti causati dai cavi troncati nell'esplosione. Dalla voragine dove si trovava il reattore si innalzava una «colonna iridescente» di luce bianco-azzura, causata dall'effetto «Luce di Cherenkov», che altro non è che la ionizzazione radioattiva dell'aria.
Di chi fu, quindi, la colpa?
La storia del disastro di Chernobyl è complicata, fitta di dettagli e di ricostruzioni divergenti. Per comprendere meglio cosa accadde è necessario soffermarsi sulle due tesi, che vennero formulate dopo l'incidente. Nel primo caso, in un rapporto pubblicato nel mese di agosto, a distanza di quattro mesi dalle esplosioni, le autorità attribuirono tutta la responsabilità agli operatori dell'impianto. In un secondo caso, nel 1991, diversi anni dopo l'incidente, vennero prese in considerazione tra le cause anche le gravi debolezze di progettazione del reattore nucleare RBMK. Non solo. In aggiunta, venne anche segnalato un errore nella progettazione delle barre di controllo. Nonostante le conclusioni finali delle inchieste appaiano contrastanti, il verdetto definitivo suggerì che l'evento fu il risultato di un'impressionante somma di fattori di rischio. Una sorta di catena di errori e mancanze, su tutti i piani: dalle caratteristiche intrinseche del tipo di macchina, agli errori meccanici del progetto, ma anche una sbagliata gestione economica e amministrativa e la scelta del personale direttivo di effettuare un esperimento così rischioso, che di fatto causò l'incidente, anche a causa di errori di coordinamento e manovre. Inoltre, ciò che emerse dalle indagini suggerì che gli operatori della centrale ignorarono i problemi tecnici del reattore.
Secondo la testimonianza del direttore del progetto, Anatolij Djatlov, i progettisti erano ben consapevoli che il reattore in certe condizioni potesse essere pericoloso, ma lo avevano tenuto nascosto intenzionalmente ai tecnici. Dopo le esplosioni, una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore, ricadendo su un'ampia area attorno alla centrale, che venne immediatamente contaminata. A poco servirono le azioni di spegnimento dell'incendio dei pompieri. Nonostante un pronto intervento, nulla poterono per spegnere il nocciolo di grafite e bloccare completamente l'emissione radioattiva. Solamente nei giorni successivi, le autorità utilizzarono elicotteri militari per coprirlo con sabbia e boro. 336.000 persone vennero presto evacuate e reinsediate in altre zone. Furono 65 i morti accertati, mentre furono segnalati più di 4.000 casi di tumore alla tiroide fra coloro che avevano tra 0 e 18 anni all'epoca della catastrofe. Tuttavia, i dati ipotizzati dalle associazioni antinuclearistiche come Greenpeace suggeriscono che nel corso di 70 anni, potrebbero essere fino a 6.000.000 i decessi su scala mondiale, contando tutte le tipologie di tumori provocabili dalle radiazioni. 36 anni fa, dopo un iniziale smarrimento, ci si rese conto immediatamente della gravità della situazione, ma fra le preoccupazioni dell'Unione Sovietica vi fu soprattutto quella di riprendere il prima possibile le attività degli altri reattori non coinvolti nell'incidente. Rimasti intatti, avrebbero infatti ricominciato a produrre elettricità già nel mese di ottobre.
Dalla luce bianco-azzurra al fumo nero delle bombe
Nel giorno del 36. anniversario della catastrofe, Rafael Grossi, direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) ha visitato la centrale in dismissione. Come si apprende da la Repubblica, si tratta della prima volta dallo scoppio della guerra che a un osservatore esterno viene consentito l'accesso alla centrale. Nelle prime settimane del conflitto si è assistito a una risalita della radioattività, a causa delle attività belliche nella zona di esclusione. Sono stati diversi, oltretutto, anche gli incendi causati dai bombardamenti nell'area. «Nel giorno dell'anniversario dell'incidente ribadiamo la nostra massima preoccupazione per i rischi per la sicurezza nucleare, causati dalle recenti azioni della Russia nell'area dell'impianto», hanno ribadito quest'oggi l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, Josep Borrel, e la commissaria per l'energia, Kadri Simon. 36 anni dopo la catastrofe che sconvolse l'Europa, la centrale di Chernobyl è di nuovo sotto i riflettori di tutto il mondo. La primavera, mai tornata in quei luoghi abbandonati, si è ora fermata tutt'attorno nel Paese. Il fumo bianco e azzurro della ionizzazione radioattiva dell'aria ha lasciato il posto a quello grigio e nero delle bombe, che sovrasta i cieli ucraini e ha costretto i cittadini a scappare - proprio come 36 anni fa - da un angolo di mondo che non sembra avere tregua.