Il profilo

Chi è Javier Milei, il nuovo presidente dell'Argentina

Laureato in economia, ex portiere dei Chacarita Juniors, famoso per il suo ideale libertario, in campagna elettorale si è distinto per la sua retorica populista e per gli eccessi
© Juan Ignacio Roncoroni
Marcello Pelizzari
20.11.2023 10:30

Javier Milei è il nuovo presidente dell'Argentina. L'esponente di estrema destra, ultraliberista, ha vinto il ballottaggio. Ha ottenuto oltre il 55% delle preferenze, contro il 44% dell'altro candidato. L'attuale ministro dell'Economia Sergio Massa, della coalizione di centrosinistra Unione per la Patria. Il quale, prima ancora che i risultati ufficiali venissero annunciati, ha ammesso la sconfitta. Largo a Milei, già, che prenderà il posto del presidente uscente Alberto Fernández.

Milei, manco a dirlo, ha fatto discutere. Tanto, tantissimo. Non tanto, o non solo, per la sua capigliatura. Ma soprattutto per aver condotto una campagna elettorale giudicata eccessiva. Ha vinto, spiegano gli analisti, grazie (anche) all'appoggio dell'ex presidente argentino Mauricio Macri, a suo tempo anche presidente del Boca Juniors. Una delle squadre più titolate e tifate del Paese. Macri, di orientamento liberale, è considerato una figura fondamentale nel centrodestra argentino. Al primo turno, aveva sostenuto Patricia Bullrich, la candidata di Uniti per il Cambiamento che, però, arrivando terza era rimasta esclusa dal ballottaggio. Non a caso, lo stesso Milei al termine di questa tornata elettorale ha ringraziato sia Macri sia Bullrich per il supporto.

La vittoria del nuovo presidente e del suo partito, La Libertà Avanza, è stata netta. Oseremmo dire totale. Milei, infatti, ha ottenuto una larga maggioranza più o meno ovunque. Solo tre province sono andate a Massa: Buenos Aires, Formosa e Santiago del Estero.

Portiere e pure cantante

L'ascesa di Milei è stata veloce, se non velocissima. E ha provocato scossoni evidenti. Il nuovo presidente non solo ha ripreso le classiche tematiche dell'estrema destra, ma ha impostato la campagna in maniera anticonvenzionale. Come fosse un attore di teatro consumato. I suoi messaggi, estremi, erano pure semplici. Soprattutto, sono stati accompagnati da una retorica populista. Si potrebbe dire, insomma, che Milei ha fatto breccia parlando alla pancia del Paese. Basti pensare alla promessa di rendere effettiva la dollarizzazione, cioè l'abbandono della moneta nazionale – costantemente svalutata – a favore del dollaro americano, per combattere l'inflazione. In stile (quasi) trumpiano e bolsonarista, invece, ha parlato spesso, citiamo, di «bruciare la Banca Centrale argentina».

Milei, anche grazie a una laurea in economia, ha parlato quasi esclusivamente di temi economici durante la campagna. Attirando l'attenzione su di sé anche per il suo passato di portiere dei Chacarita Juniors, nelle divisioni inferiori argentine, e di cantante degli Everest, essenzialmente una cover band dei Rolling Stones. Ma non ha mancato di esprimere posizioni estreme, per alcuni estremiste, su ogni argomento. Rivelando, altresì, una certa incoerenza di fondo. Si è dichiarato fortemente contrario all'aborto e alle diagnosi prenatali, ma favorevole alla vendita di organi («una risorsa economica», ai suoi occhi). 

Ha vinto Milei o ha perso Massa?

Per alcuni politologi, comunque, più che una vittoria di Milei questa è stata una sconfitta di Massa. O, se preferite, un modo dell'elettorato argentino di spezzare il legame fra l'attuale ministro dell'Economia e la lunga, tentacolare crisi economica e finanziaria che sta attanagliando il Paese. Massa, d'altro canto, in campagna si è preoccupato più dell'avversario che di affrontare i temi più attuali e stringenti per gli elettori. Fra questi, il pessimo stato dell'economia. 

Milei, nel suo primo discorso da vincitore, ha spiegato che «la situazione dell’Argentina è critica». E ancora: «I cambiamenti che servono al nostro Paese sono drastici. Non c’è spazio per la gradualità». Il nuovo presidente ha pure preteso, dal governo precedente, una vera e propria assunzione di responsabilità in vista del 10 dicembre, quando il cambio alla presidenza diventerà realtà. Massa, in tutta risposta, ha ricordato a Milei che, come nuovo rappresentante delle istituzioni, toccherà a lui, ora, assumersi la responsabilità di guidare l'Argentina. Dovrà farlo, ha aggiunto Massa, dando «garanzie sul funzionamento politico, sociale ed economico dell’Argentina». Ovvero, allontanandosi dalle dichiarazioni, pesanti, fatte in campagna. 

Milei, una volta in carica, dovrà innanzitutto trovare appoggio e alleati per varare le sue proposte più radicali. Se è vero che ha vinto, stravinto le elezioni a giudicare dai dati, è altrettanto vero che il suo movimento politico è ancora inesperto e, allo stato attuale, non occupa alcuna posizione di potere nelle sedi nevralgiche del Paese. Nessun esponente della Libertà Avanza è governatore provinciale, per dirne una. In Parlamento, inoltre, sarà necessaria un'alleanza con Uniti per il Cambiamento, il partito di Macri e Bullrich, che vanta molti più parlamentari rispetto a quello di Milei.

Ma chi è, allora, Javier Milei?

Nato a Buenos Aires nel 1970 da una famiglia di classe media, mamma casalinga e papà proprietario di un'impresa di trasporti, come detto Milei si è laureato in economia e, nel suo passato, è stato anche un portiere di discreto successo. Con i Chacarita Juniors, infatti, è arrivato a un passo dall'esordio nel massimo campionato. In seguito, è stato consulente economico e professore di macroeconomia. Amante degli animali, possiede quattro mastini. A cui ha dato nomi di famosi economisti: Murray per Murray Rothbard, Milton per Milton Friedman, Robert e Lucas per Robert Lucas. Tutti e quattro sono dei cloni del defunto padre, Conan, morto nel 2017, ottenuti negli Stati Uniti.

È stata proprio la morte di Conan a spingere Milei in politica. Dopo la morte del cane, infatti, ha vissuto una crisi profonda. Che lo ha portato a rivolgersi addirittura a una medium per mettersi in contatto con l'animale. Un percorso mistico che, nel tempo, gli avrebbe permesso di comunicare con i morti e, da ultimo, con Dio. Il quale, in stile Blues Brothers, gli avrebbe assegnato una missione: guidare l'Argentina. 

Milei, detto degli esordi come economista e dei suoi discorsi con l'aldilà, ha costruito la sua immagine pubblica collaborando con le migliori testate giornalistiche del Paese. Salvo poi passare alla televisione, dove debuttò nel 2016. In politica, si è subito imposto come elemento di rottura. Contro tutto e tutti: i peronisti, i kirchneristi e via discorrendo. Tutti delinquenti, ai suoi occhi, da cacciare a patadas en el trastre, ovvero a calci in quel posto. Eletto deputato alle elezioni di metà mandato, nel 2021, si è distinto in particolare per i suoi voti contrari. Ha detto no all'accordo di ristrutturazione del debito argentino con il Fondo monetario internazionale. E ha detto no pure alla proposta di legge per individuare cardiopatie congenite nei bambini. Semplicemente perché l'approvazione della legge «avrebbe portato a una maggiore presenza dello Stato e maggiori costi». 

Milei, concludendo, è stato etichettato come un ossessionato. Il suo ideale è riassumibile in un aggettivo, sul cui significato però si dibatte parecchio: libertario. Da economista, non crede nel fallimento del mercato e non crede allo stimolo rappresentato dall'intervento pubblico. Chissà, forse quando i tifosi dei Chacharita lo avevano ribattezzato El Loco, il matto, avevano intuito che, dietro ai guantoni, si nascondeva un uomo dalla visione politica particolare. Per non dire estrema.

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