Guerra

Chi era Vladlen Tatarsky, il blogger pro-Putin che diceva: «Uccideremo tutti»

Alias di Maxim Fomin, è stato ucciso con una statuetta esplosiva in un bar appartenuto a Yevgeny Prigozhin, fondatore del gruppo Wagner: sarebbe stata fermata una donna
Michele Montanari
03.04.2023 09:31

(AGGIORNATO) Il blogger nazionalista Vladlen Tatarsky, alias di Maxim Fomin, è morto ieri a causa di un’esplosione avvenuta in un bar di San Pietroburgo, in cui si stava tenendo un evento in suo onore organizzato dai membri del canale Telegram filorusso «Cyber Front Z». Il locale, lo Street Food Bar #1, una volta apparteneva a Yevgeny Prigozhin, fondatore del gruppo Wagner, con cui Tatarsky avrebbe avuto legami, e nella deflagrazione sono rimaste ferite almeno 32 persone. Il ministero dell’Interno russo ha fatto sapere che il noto propagandista favorevole alla guerra in Ucraina è stato ucciso in un attentato. RIA Novosti ha parlato di una bomba nascosta in una statuetta consegnata all'uomo come regalo durante l'incontro pubblico. Tatarsky, 40 anni, aveva più di 560.000 follower su Telegram ed era uno dei blogger militari più influenti della Russia. In occasione della cerimonia dello scorso settembre in cui Vladimir Putin aveva proclamato l'annessione di quattro regioni ucraine occupate dai russi, il propagandista aveva diffuso un videomessaggio registrato nella sede del Cremlino in cui affermava: «Sconfiggeremo tutti, uccideremo tutti, saccheggeremo qualunque cosa e tutto sarà come vogliamo noi».

Le miniere, il carcere e la guerra

Maxim Fomin era originario del Donbass, in Ucraina. Dopo aver lavorato nelle miniere di carbone, poco più che trentenne finì dietro alle sbarre, a Gorlovka, per aver rapinato una banca. Riuscì ad evadere dal carcere nel 2014, quando scoppiò il conflitto nel Donbass: da latitante imbracciò le armi per combattere in prima linea insieme ai separatisti, per due anni. Questo gli permise di diventare un esperto militare: sul suo profilo Telegram spiegava meticolosamente anche tattiche di combattimento e analizzava quotidianamente il corso dell'«operazione speciale». Da blogger, non ha risparmiato critiche agli alti ufficiali russi (definiti «idioti non addestrati»), accusati di essere stati troppo morbidi nel confronti dell’Ucraina, da lui definita uno «Stato terrorista». Tatarsky era uno dei propagandisti di spicco tra i blogger favorevoli all’invasione dell’Ucraina. Le sue posizioni erano estreme: era arrivato a sostenere che chiunque indossasse una divisa dell’esercito ucraino andasse ucciso, giustificando inoltre il massacro di Bucha («Serve a mostrare agli occidentali quello che siamo: temeteci», disse). «Bisogna colpire le infrastrutture civili, in particolare le centrali elettriche. Gli ospedali smetteranno di funzionare e tanti ucraini creperanno sui tavoli operatori», aveva affermato in un video. Il governo di Kiev lo ha sanzionato, gli ha confiscato la casa e gli ha vietato per dieci anni di rientrare nel Paese. L'ultimo messaggio di Tatarsky risale alle 15 di ieri: «È bello vedere questi manifesti per strada. Ne ho visti anche a Rostov. Ma in molte città ancora non appaiono. Spero che l'unico motivo sia che non abbiano avuto abbastanza tempo per ordinarli», aveva scritto, pubblicando la foto un manifesto per l'arruolamento nel gruppo Wagner appeso a Mosca.

Ucciso come Dugina

La fine di Tatarsky ha fatto subito pensare a Darja Dugina, la figlia del filosofo e politologo Aleksandr Dugin, uccisa il 20 agosto scorso in un attentato vicino a Mosca. Nonostante le smentite di Kiev, secondo il New York Times l’attentato, in quel caso, fu opera opera esclusivamente del governo ucraino, senza il consenso degli Stati Uniti. Per la morte del blogger nazionalista, al momento, c’è solo una sospettata: le forze di sicurezza russe hanno fermato una ragazza di 26 anni, Daria Trepova, residente a San Pietroburgo. La donna, secondo i media russi, avrebbe portato al bar una scatola con una statuetta, un busto di Tatarsky, in cui era montato un ordigno. Secondo il think tank americano ISW (Institute for the study of the war) l'omicidio potrebbe rivelare delle fratture all'interno del Cremlino e della sua cerchia ristretta. Gli analisti dell'ISW definiscono «strana» una dichiarazione di Yevgeny Prigozhin dopo il fatto di sangue. Il fondatore del gruppo Wagner ha detto che non avrebbe «incolpato il regime di Kiev» per la morte di Tatarsky, così come pure per Dugina, indicando invece quale responsabile un gruppo di radicali russi. L'ISW  ritiene che l'attacco al bar di San Pietroburgo «potrebbe anche essere un tentativo di intimidire altri blogger militari affiliati al gruppo Wagner». E aggiunge: «È possibile che i funzionari russi intendano usare l'assassinio di Tatarsky per spingere l'autocensura della società civile russa che mette in discussione i progressi della guerra». Secondo il Comitato nazionale antiterrorismo russo, l'attentato «è stato pianificato dai servizi segreti ucraini» e nel colpo sarebbero coinvolte anche «persone che collaborano con il cosiddetto Fondo anti-corruzione» dell'oppositore russo Alexei Navalny. Quest'ultima ipotesi è stata subito smentita da Ivan Zhdanov, socio dell'oppositore detenuto, che ha spiegato come la Russia abbia bisogno «non solo di un nemico assoluto esterno sotto forma dell'Ucraina, ma anche di uno interno sotto forma della squadra di Navalny».

In questo articolo: