Il punto

Come fa la Russia sopportare il peso delle sanzioni?

Colpita da misure senza precedenti, Mosca sta imparando tecniche di aggiramento sempre più sottili grazie ai Paesi non allineati – Ma gli esperti ribadiscono: l'impatto si vedrà a lungo termine
© ALEKSEY NIKOLSKYI/SPUTNIK/KREMLI
Marcello Pelizzari
05.02.2023 18:15

Oggi, 5 febbraio, nell’Unione Europea è entrato in vigore il divieto di importazione di petrolio russo raffinato. È solo l’ultima di tante, tantissime misure che l’Occidente – dal 2014, cioè dall’annessione della Crimea – ha intrapreso nei confronti della Federazione Russa. Misure, va da sé, volte a ostacolare il Cremlino e il suo sforzo bellico. Mai, nella storia moderna, un Paese era stato sanzionato così pesantemente come la Russia. Mai, soprattutto, le restrizioni hanno toccato, nello stesso momento, più settori. Dall’energia alla finanza, passando per i trasporti e la difesa. Alla fine del 2022, ha sottolineato Libération, nei confronti di Mosca erano «attive» ben 13 mila misure.

L’Unione Europea, da sola, ha votato nove pacchetti di sanzioni e ne sta valutando un decimo. Circa 1.400 persone e 171 entità, ad oggi, sono soggette al congelamento di beni o al divieto di ingresso nel territorio europeo. E questo perché, citiamo il Consiglio Europeo, le loro azioni «hanno compromesso l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina». Tradotto dal politichese: parliamo di persone e aziende che hanno legami e interessi con il Cremlino e Vladimir Putin. A proposito di beni congelati, quelli della Banca Centrale russa all’estero ammontano a 300 miliardi di dollari secondo alcune stime.

Nonostante ciò, la Russia (per ora) sta parando il colpo. Possibile?

Stime riviste al rialzo

Possibile, sì. Quando Vladimir Putin ha lanciato la cosiddetta operazione speciale in Ucraina, infatti, la Russia poteva vantare riserve record: 630 miliardi di dollari. Una strategia mirata, questa, avviata in seguito all’annessione della Crimea e proprio per far fronte a nuove, possibili sanzioni. L’Occidente, come detto, ha potuto toccare e congelare solo le riserve in dollari, euro e sterline. Ma Mosca aveva (e ha) anche riserve in oro, yuan e altre valute non occidentali. Una riserva alternativa che ha permesso al Cremlino di colmare il disavanzo di bilancio, ai massimi in dicembre complice la spesa militare.

La Russia, dunque, non solo non è andata in default a causa del suo debito. Ma sembrerebbe essere riuscita a superare la disorganizzazione delle prime settimane a livello di produzione industriale, grazie anche all’aiuto di partner strategici. Il Fondo monetario internazionale, a tal proposito, ha rivisto al rialzo le sue previsioni di crescita. Questo, si badi, non significa che le sanzioni occidentali siano inutili: nel 2022 il PIL russo si è comunque contratto del 2,2%. Si è contratto, però, non quanto ci si attendesse. E questo perché, banalmente, le sanzioni necessitano di tempo per produrre effetti concreti.

Tempo e coerenza

Le sanzioni necessitano di tempo e, verrebbe da dire, di coerenza. Per dire: le importazioni di microchip sono aumentate del 34% nel 2022. Parliamo di componenti essenziali e indispensabili, visto che sono alla base del funzionamento tanto di un frigorifero quanto di un moderno carro armato. Ma le citate sanzioni non colpivano anche il settore tecnologico? Sì, eppure Mosca – attraverso giochi di esportazione e riesportazione – appoggiandosi su Paesi come la Cina, la Turchia o il Kazakistan, per tacere di Emirati Arabi Uniti e Israele, ha trovato il modo per eludere determinate sanzioni.

Peggio, addirittura, sta andando con le sanzioni commerciali. Da un’inchiesta del New York Times, come riferisce il Post, è infatti emerso che la scorsa estate, in Armenia, sono arrivati tanti, troppi telefoni cellulari. Dieci volte in più rispetto alle importazioni dei mesi precedenti. Ebbene, quei cellulari sono poi finiti in Russia.

La «musica del Cremlino»

Coerenza, dicevamo. E qui, secondo gli esperti, emergono i limiti dell’Europa o, meglio, dell’Unione Europea. Composta da 27 Paesi e, al netto di una certa compattezza nel condannare la guerra di Putin, da tanti piccoli, grandi interessi personali. Cipro, Grecia e Malta, ad esempio, a novembre avevano spinto e non poco per alzare il tetto al prezzo del barile di petrolio russo voluto dal G7. Il Belgio, invece, in autunno ha detto no al divieto di importare diamanti russi in Europa per proteggere il suo hub di Anversa. Della serie: gli affari sono affari.

Gli analisti, parlando delle sanzioni, sottolineano pure due aspetti. Il primo: per la prima volta l’Europa si è trovata a punire un Paese con cui, Germania e Italia in testa, in passato i rapporti sono stati molto intimi. Intimi a livello commerciale, finanziario e, ancora, energetico. Di qui, appunto, alcune reticenze. Il secondo: alcuni leader credevano che le sanzioni avrebbero avuto un effetto immediato, laddove l’impatto – vero – si può vedere soltanto a lungo termine.

In questo spazio, manco a dirlo, si è infilata quella che Vladimir Milov – uno dei pochi oppositori politici di Putin – ha definito «la musica del Cremlino». Già, perché la Russia, tramite la solita narrazione, ha invertito cause e conseguenze. E così, fenomeni come l’inflazione, l’aumento dei prezzi dell’energia o dei generi alimentari sarebbero una conseguenza diretta delle sanzioni, mentre in realtà sono una conseguenza stessa della guerra decisa da Putin. Discorsi, questi, che hanno fatto molta presa nei cosiddetti Paesi non allineati e che, come sappiamo, hanno fatto breccia anche alle nostre latitudini.

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