Come funzionano i centri italiani per migranti in Albania
Con 5 mesi di ritardo - la fine dei lavori era prevista entro il 20 maggio - l'Italia ha formalmente aperto i centri migranti in Albania, nei quali verranno ospitati gli uomini intercettati in acque internazionali che dall'Africa cercano di raggiungere l'Europa.
L'ambasciatore italiano in Albania, Fabrizio Bucci, in un incontro con i giornalisti al porto di Shëngjin, sulla costa adriatica albanese, ha fatto sapere che i centri sono operativi e pronti ad accogliere le prime persone che verranno recuperate in acque internazionali. I primi arrivi sono previsti per settimana prossima. Durante la loro permanenza nei centri, le autorità italiane esamineranno le richieste di asilo. Di fatto, le strutture sono gestite dall'Italia e sono sotto la giurisdizione italiana, mentre le guardie albanesi si occuperanno della sicurezza esterna.
L’accordo tra Italia e Albania, considerato controverso e aspramente criticato dai gruppi per i diritti umani, è stato tacitamente approvato dall'UE, e prevede che fino a 3 mila uomini al mese possano essere portati nei centri di Shëngjin, una città sul mare a circa un’ora da Tirana, e di Gjader, vicino a un ex aeroporto militare nell’entroterra albanese. Qui, oltre ad una struttura di prima accoglienza e un Centro di permanenza e rimpatrio (CPR), è presente anche un piccolo carcere in grado di ospitare fino a 20 detenuti. Donne incinte, bambini e altri individui considerati vulnerabili dovrebbero essere portati direttamente nei porti italiani, senza far tappa nelle strutture albanesi. I centri, tra costruzione e spese di gestione su 5 anni, costeranno all'Italia circa 670 milioni di euro, mentre l’Albania non ha sostenuto alcun costo per il progetto.
L'accordo per la costruzione dei centri fuori dai confini nazionali, era stato firmato lo scorso novembre dalla presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni e dal primo ministro albanese Edi Rama. Meloni, ricorda il Guardian, aveva dichiarato che in cambio del sostegno di Rama avrebbe fatto tutto il possibile per favorire l'adesione dell'Albania nell'Unione europea.
La premier italiana, lo scorso giugno, aveva spiegato come il progetto potesse «rappresentare uno straordinario strumento di deterrenza per i migranti illegali destinati a raggiungere l’Europa», aggiungendo che «l’accordo potrebbe essere replicato in molti Paesi e diventare parte della soluzione strutturale dell’UE» rispetto alla crisi migratoria. Meloni ha poi fatto sapere che i funzionari italiani cercheranno di elaborare le richieste di asilo entro 28 giorni, un lasso di tempo decisamente più breve rispetto ai diversi mesi attualmente necessari per tali procedure nella Penisola.
L'Albania elaborerà solo le domande di persone provenienti dai 21 Paesi considerati sicuri dall'Italia. Questo porta a prevedere che la maggior parte delle richieste verrà respinta, perché gran parte delle Nazioni da cui provengono i richiedenti asilo sono considerate sicure. Le persone che vedranno respinta la propria richiesta saranno trattenute prima del rimpatrio. Se la loro richiesta verrà accettata, verranno invece condotte in Italia.
Negli scorsi mesi, le organizzazioni umanitarie hanno fortemente criticato l'accordo tra Italia e Albania, temendo che i centri raggiungano in poco tempo il sovraffollamento, tra nuovi arrivi e persone che attendono di essere rimpatriate.
Lo scorso 14 agosto, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha espresso serie preoccupazioni in merito all'accordo, promettendo di monitorarne la situazione nei primi tre mesi di operatività dei centri per aiutare a «salvaguardare i diritti e la dignità» dei migranti trattenuti.
Secondo il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa la mossa italo-albanese si aggiunge «alla preoccupante tendenza europea all’esternalizzazione delle procedure di asilo». In uno statement pubblicato a fine 2023, l’istituzione scriveva che «le misure di esternalizzazione aumentano significativamente il rischio di esporre rifugiati, richiedenti asilo e migranti a violazioni dei diritti umani. Lo spostamento di responsabilità oltre confine da parte di alcuni Stati incentiva anche altri a fare lo stesso, il che rischia di creare un effetto domino che potrebbe minare il sistema europeo e globale di protezione internazionale».