Com’è strano meno Starbucks a Milano

Perché in Canton Ticino non ci sono locali di Starbucks? Qualche risposta può arrivare dalla vicina Milano, dove due Starbucks sugli otto totali, quelli in Porta Romana e via Turati, sono da poco stati chiusi. Anche se in managerese non si parla mai di chiusura, ma di riorganizzazione e di nuove sfide. Eppure Milano sembrava la città ideale per il successo di questo marchio americanissimo, una città priva delle retorica sul caffè più buono del mondo che in certe località, come Napoli e Trieste, raggiunge livelli difficili da sopportare per chi non sia del posto.
Colpa del coronavirus?
Visto che ormai ogni vicenda viene spiegata attraverso il coronavirus, possiamo in parte farlo anche per Starbucks: la scorsa settimana Confcommercio ha segnalato che l’effetto COVID-19 sul totale della clientela di bar e ristoranti di Milano sia quantificabile in un drammatico meno 72%. Smart working, crollo del turismo e dei viaggi business, quarantene e anche semplice paura di uscire di casa. In questo quadro la chiusura del 25% dei propri locali è un risultato quasi buono, visto che Starbucks si può sempre reinventare mentre i bar a conduzione familiare no. Senza contare che le grandi aziende hanno anche più facilità nell’aggiornarsi per seguire protocolli sanitari spesso cervellotici.
Com’è messa la Svizzera
Se in Ticino Starbucks è confinato a qualche distributore automatico e supermercato, che comunque non ne colgono la vera essenza, nella Svizzera tedesca e francese la situazione è ben diversa: ne abbiamo contati 16 a Zurigo, 7 a Ginevra, 3 a Berna e Losanna, 2 a Lucerna, Zugo e San Gallo, più altri singoli. In tutti quelli frequentati abbiamo, in Svizzera come a Milano, trovato la filosofia Starbucks: non il caffè bevuto di fretta al bancone e meno che mai un circolo chiuso come molti bar di quartiere o di paese, ma un luogo in cui stare anche per ore senza sentirsi osservati, giudicati, pressati. Un luogo per turisti, per studenti, per chi viaggia per lavoro o ha bisogno di una sorta di secondo ufficio. In generale per chiunque, soprattutto se di sesso femminile, si sia sempre trovato a disagio nell’entrare in un «vecchio» bar.

La Milano da bere
La terra promessa degli eventi, delle fiere, della moda e della finanza fino a inizio 2020 ha richiamato molto potenziale popolo di Starbucks: aspiranti stiliste dalla borsa enorme (nei casi estremi con cagnolini tipo Paris Hilton), fuoricorso e fuorisede all’affannosa ricerca del wi-fi, agenti di commercio con appuntamento preso su Tinder, addetti stampa che hanno bisogno di meditare sul loro comunicato di cinque righe, segretarie autonominatesi assistenti, assistenti autonominatesi manager, imprenditori 4.0, esperti di internet of things, ereditieri di quattro bilocali della nonna iscritti ad Airbnb, ereditieri veri con SUV parcheggiato in doppia fila e targa ticinese (percentuale di ticinesi veri intorno al 2%), mamme bene che si lamentano delle babysitter, babysitter che si lamentano delle mamme bene, agenti immobiliari con iPad, turisti che non sanno cosa vedere a Milano, solo per citare qualche categoria. Una fauna che non è totalmente scomparsa, anzi, ma che dal marzo 2020 esce di meno. Certo Starbucks attira poco la classica clientela dei bar con cui siamo cresciuti, quella dei videogame e delle carte, senza bisogno di arrivare a quella del biliardo. E questo è considerato un plus da chi ama Starbucks, che in un certo senso si autoseleziona senza bisogno di buttafuori.
La guerra dell’espresso
Fin dall’apertura nel settembre 2018 del primo Starbucks milanese, la cosiddetta Roastery, quello nella centralissima piazza Cordusio, in partnership con il gruppo di Antonio Percassi (proprio il presidente dell’Atalanta), il grande tema mediatico è stato quello della guerra dei caffè, quello americano contro il classico espresso all’italiana. Quello che il 90% dei bar milanesi, italiani, ticinesi, mondiali, serve bruciato, ad un prezzo quasi uguale a quello di un quotidiano. Una discussione priva di senso, anche se l’espresso nei menu di Starbucks esiste: ma è solo una delle tante bevande e nemmeno la più iconica, senz’altro lo è meno del cappuccino, del frappuccino (frappé e cappuccino, appunto), del matcha tea latte, del caffè americano, eccetera, senza contare la pasticceria e il salato.
Il futuro
Quale futuro per Starbucks a Milano e in Ticino? Drive through, short store e, per dirla semplice, piccoli chioschi in punti di grande passaggio come stazioni e centri commerciali. Insomma, niente a che vedere con lo Starbucks dell’immaginario collettivo, quello della caffetteria all’americana, però un intelligente sfruttamento del marchio andando a scontrarsi con diversi cloni (a Lugano, in zona universitaria, non mancano). Certo una rinascita del turismo e di tutte quelle finte professioni momentaneamente ridimensionate, per non parlare di studenti liberi di socializzare, cambierà di molto gli scenari. Non a caso Starbucks, che ha quasi 34.000 punti vendita nel mondo, ha in programma per i prossimi anni altre 2.000 aperture. Ma la vita e il caffè sono adesso.