Come ti distruggo l'opposizione: Ekrem Imamoglu e l'inferno vissuto dal 2019

«Idioti». Usò proprio questa espressione, sei anni fa, Ekrem Imamoglu. Il candidato del Partito Popolare Repubblicano (CHP) aveva appena conquistato la poltrona di sindaco a Istanbul strappandola all'AKP, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, dopo quindici lunghissimi anni, ma i funzionari della Commissione elettorale pensarono bene di annullare la sua vittoria alle urne. Un tentativo, secondo gli esperti, di non riconoscere la volontà degli elettori e, in un certo senso, di ristabilire l'ordine naturale delle cose. Furono necessarie nuove elezioni, a pochi mesi di distanza, nuovamente vinte (anzi, stravinte) dal citato Imamoglu. A quel punto, anche Recep Tayyip Erdogan – il presidente della Repubblica – fu costretto a congratularsi con la stella nascente del kemalismo e, allargando il campo, del laicismo. Dietro alle strette di mano e ai complimenti a denti stretti, tuttavia, si celava qualcosa di più profondo: il Sultano, infatti, si annotò quel nome. E il motivo è presto detto: intravvide, in Imamoglu, una seria minaccia politica.
Il sindaco di Istanbul, come noto, alcuni giorni fa è stato arrestato nell'ambito di un'indagine per corruzione. Avrebbe, fra le altre cose, favorito un'organizzazione terroristica. Il suo fermo è stato confermato, ieri, dalle autorità. L'opposizione, senza mezzi termini, ha parlato di un «tentativo di golpe», collegando la mossa nei confronti di Imamoglu con il fatto che, presto, il CHP lo avrebbe nominato quale candidato alle presidenziali (cosa che, parentesi, è avvenuta domenica al termine di una consultazione che ha coinvolto 15 milioni di elettori). Il largo consenso popolare di cui gode il sindaco di Istanbul, basti pensare alle ampie proteste organizzate in tutto il Paese, e una serie di battaglie legali, per dirla con Reuters, ne hanno cementato lo status: la principale minaccia agli oltre ventidue anni di regno di Erdogan è proprio lui. Non a caso, nel prepararsi all'arresto, mercoledì, in un video pubblicato su X Imamoglu ha espressamente fatto riferimento al Sultano. «Siamo di fronte a una grande tirannia, ma voglio che sappiate che non mi arrenderò» ha detto il 54.enne mentre si annodava la cravatta. «Continuerò a combattere contro quella persona».
Il governo, manco a dirlo, ha negato con forza un coinvolgimento di Erdogan nelle mosse contro Imamoglu. Ribadendo, piuttosto, che la magistratura è indipendente. Sarà, ma intanto è dal 2019 che il sindaco di Istanbul è costretto, suo malgrado, a farsi largo fra le maglie governative. Sei anni fa, a marzo, Imamoglu come detto vinse le elezioni municipali di Istanbul, salvo vedersi annullare il suo risultato, a maggio, a causa di alcuni cavilli legali: schede con i risultati non firmate e funzionari presenti alle urne non autorizzati, fra le altre cose. Nel giugno dello stesso anno, per contro, iniziarono le battaglie legali. Erdogan, proprio lui, disse che Imamoglu avrebbe affrontato delle serie conseguenze per aver insultato il governatore della provincia di Ordu, sul Mar Nero, durante la campagna elettorale. Minacce che, a ogni modo, non impedirono al candidato del CHP di stravincere la ripetizione delle municipali, addirittura con il 54% dei voti. Nel 2021, i pubblici ministeri chiesero una condanna a quattro anni di carcere per Imamoglu, con l'accusa – appunto – di aver insultato i funzionari del Supremo Consiglio elettorale turco al grido «idioti» in un discorso pronunciato subito dopo l'annullamento delle elezioni del marzo 2019. L'anno successivo, un tribunale lo condannò a due anni e sette mesi di carcere scatenando, anche allora, ampie proteste. L'esecuzione della condanna è sospesa in attesa della pronuncia della Corte di cassazione turca.
Le battaglie legali di Imamoglu, paradossalmente, richiamano alla memoria quelle dello stesso Erdogan, che nel 1999 finì in carcere per quattro mesi. Il motivo? «Incitazione all’odio su base religiosa». Due anni prima, nel 1997, a Siirt, nell'area sud-orientale del Paese, durante un comizio l'allora sindaco di Istanbul si rifece a una poesia di Ziya Gokalp, un ideologo del nazionalismo panturco, sostituendo alcuni versi con parole che gli sarebbero costate il carcere: «I nostri minareti sono le nostre baionette, le nostre cupole i nostri elmetti, le nostre moschee le nostre caserme». Due anni dopo quella sentenza, Erdogan fondò l'AKP, partito che nel 2002 salì al potere. Sono tanti, d'altro canto, i politici turchi risollevatisi dopo essere stati banditi dalla politica o essere finiti in prigione. Suleyman Demirel, Bulent Ecevit e Necmettin Erbakan, ad esempio, sono diventati premier. Imamoglu, insomma, per certi versi è in buona compagnia o, se preferite, difficilmente si lascerà intimidire dall'attuale clima politico e legale.
Negli ultimi anni, sia quel che sia, la morsa attorno al sindaco di Istanbul si è stretta. E pure parecchio. Nel giugno del 2023, scrive sempre Reuters, un tribunale si è chinato su un caso legato a una gara d'appalto e relativo al periodo in cui Imamoglu era sindaco del distretto di Beylikdüzü, a Istanbul. A proposito, nel marzo 2024 Imamoglu è stato brillantemente rieletto a Istanbul infliggendo un'altra, pesante sconfitta a Erdogan e al suo partito. Una sconfitta di proporzioni larghissime, visto che il Partito Popolare Repubblicano ha conquistato le principali città della Turchia.
L'ultimo capitolo, concludendo, risale alla fine dello scorso anno. Imamoglu e altri funzionari dell'opposizione erano stati colpiti da una forte repressione legale tradottasi, per alcuni di loro, nell'abbandono delle cariche ricoperte. All'inizio di quest'anno, il sindaco di Istanbul ha negato di aver tentato di influenzare il sistema giudiziario tramite le sue critiche, puntuali, ai tanti fascicoli aperti contro le municipalità gestite dall'opposizione. A febbraio, ancora, i pubblici ministeri hanno emesso un terzo atto d'accusa contro Imamoglu reo di aver criticato il procuratore della città. Procuratore che, inciso, aveva chiesto una condanna a sette anni di carcere per insulto a pubblico ufficiale. L'arresto della scorsa settimana e l'incarcerazione, avvenuta quattro giorni più tardi, sono – banalmente – la ciliegina su una torta amarissima.