Il dato

Compagnie aeree sotto accusa: ecco chi non sta facendo abbastanza per ridurre le emissioni di CO2

L'87% dei vettori analizzati dall'organizzazione non governativa Transport & Environment non sta affrontando con la debita determinazione la transizione verso i carburanti sostenibili – Ma la colpa è anche, se non soprattutto, delle compagnie petrolifere
© AP/Chan Long Hei
Marcello Pelizzari
03.12.2024 14:30

L'aviazione sta facendo abbastanza per ridurre le emissioni di CO2? Non proprio, stando all'ultimo rapporto dell'organizzazione non governativa Transport & Environment (T&E). Nel ranking appena pubblicato, infatti, metà delle compagnie classificate ha ottenuto un punteggio nullo in termini di utilizzo di carburanti sostenibili per l'aviazione (SAF). Ahia. I vettori, a ogni modo, sono responsabili fino a un certo punto del risultato, pessimo, globale: secondo T&E, gran parte delle responsabilità ricade sulle aziende petrolifere, colpevoli di non investire abbastanza nella transizione verso il cosiddetto cherosene verde.

Dalla classifica, emerge un dato di per sé allarmante: l'87% delle compagnie analizzate non sta affrontando con la debita determinazione la transizione verso i citati carburanti sostenibili. Il ranking, leggiamo, è stato stilato in base a tredici criteri, fra cui: obiettivi di adozione di SAF e tipologia e volumi dei carburanti; riduzione delle emissioni conseguite; obiettivi specifici per l’uso di cherosene sintetico o l’esistenza di accordi di off-take per il cherosene sintetico. Appena dieci delle 77 compagnie aeree valutate stanno facendo sforzi, concreti e tangibili, per sostituire il cherosene fossile. Le restanti 67 compagnie aeree, invece, stanno percorrendo un sentiero tanto complicato quanto sbagliato, fra chi ha scelto di puntare sul SAF sbagliato e chi sta acquistando quantità di cherosene verde insufficienti o, addirittura, non le sta acquistando affatto. Fra i cattivi figurano anche i vettori del gruppo Lufthansa, quindi anche la nostra Swiss e, in previsione, anche ITA. La domanda, di riflesso, sorge spontanea: il settore riuscirà, nell'insieme, a ridurre il suo impatto climatico? La speranza è che più compagnie seguano l'esempio del colosso Air France-KLM, di United Airlines e Norwegian, esempi virtuosi fra i buoni in termini di impegno verso l'uso di SAF.

Il punto, spiega T&E, è che non tutti i SAF sono sostenibili. Quello sintetico, detto anche e-cherosene, un carburante che si ottiene combinando carbonio e idrogeno elettrolitico, è il più sostenibile e scalabile. Quelli derivati da biomassa, ovvero i biocarburanti, variano invece sia a livello di sostenibilità sia sul fronte della scalabilità. Al riguardo, T&E cita in particolare i SAF provenienti da colture dedicate, come la palma, la soia o il mais, la cui sostenibilità è pressoché nulla per via dell'uso inefficiente del suolo, della competizione con la filiera alimentare e delle emissioni indirette provocate. La via di mezzo è rappresentata dai biocarburanti da rifiuti o residui, che però sono difficili da ottenere a causa della scarsità di materie prime e, ancora, sono a rischio frode lungo la catena del valore. Fatte le dovute premesse, T&E spiega che la maggior parte delle compagnie aree sta adottando il SAF sbagliato. L'e-cherosene, infatti, rappresenta meno del 10% degli accordi presi dai vettori sull'approvvigionamento di SAF, mentre i biocarburanti insostenibili derivati da colture come mais e soia costituiscono oltre il 30%. 

Carlo Tritto, responsabile dei carburanti sostenibili in seno a T&E, è categorico: «Sono davvero poche le compagnie aeree che si stanno impegnando per adottare carburanti veramente sostenibili, mentre la maggior parte di esse non utilizza SAF o acquista quelli insostenibili. Le compagnie aeree dovrebbero essere più esigenti nei confronti dei produttori di carburanti, chiedendo loro di sviluppare SAF realmente capaci di ridurre l’impatto climatico. Altrimenti si ritroveranno ad acquistare prodotti che, nella gran parte dei casi, non renderanno i loro voli sostenibili né tantomeno permetteranno alle stesse di avvicinarsi ai loro obiettivi di zero emissioni nette».

Tritto, nemmeno troppo velatamente, punta il dito contro i colossi del petrolio. Colpevoli, appunto, di non aver investito abbastanza nella transizione del settore. Secondo le stime, Eni, TotalEnergies, Shell, BP, Chevron, ExxonMobil, Sinopec e Saudi Aramco, insieme, da qui al 2030 potrebbero produrre appena 3 milioni di tonnellate di SAF all'anno. In termini percentuali, è meno del 3% dell'attuale produzione di carburante aereo. A preoccupare, ancora di più, T&E è il fatto che i colossi petroliferi spingano pochissimo sul fronte dell'e-cherosene. Shell si è recentemente ritirata da un progetto, evidenziando la riluttanza dell'industria a passare ai carburanti puliti poiché ancora troppo legata agli investimenti nei combustibili fossili. Le minuscole quantità di SAF prodotte dalle grandi compagnie petrolifere sono prevalentemente biocarburanti, spesso insostenibili come detto e comunque difficilmente scalabili vista la limitata disponibilità di materie prime, a loro volta, sostenibili. Il mercato del cherosene sintetico è attualmente dominato da raffinerie più piccole e start-up: senza i grandi nomi, insomma, è difficile andare lontano.

«Nella transizione verso i carburanti puliti, i grandi assenti sono i colossi petroliferi, che possono contare sia sulle capacità finanziarie che su quelle tecniche per portare sul mercato di massa questi carburanti, assicurandosi così un futuro in un’economia decarbonizzata» ribadisce Tritto. «Invece preferiscono mantenere il business as usual, mostrandosi riluttanti a investire nei SAF e sabotando la transizione di un settore molto inquinante. Servono misure più rigide; l’Unione Europea e le autorità nazionali devono garantire che i gruppi petroliferi investano maggiormente nei SAF. Ma serve anche una strategia industriale per la produzione di cherosene sintetico a livello UE, capace di supportare questa industria nascente con finanziamenti e normative ad hoc per ridurre il gap di costo. In questo senso, il Clean Industrial Deal offre un'opportunità unica per affrontare questi problemi e promuovere la produzione locale di e-cherosene».

L'anno scorso, nel 2023, le compagnie valutate da T&E hanno consumato 2,6 milioni di barili di SAF, meno dello 0,15% del loro consumo totale di carburante. In termini assoluti, dunque, parliamo di una goccia in un oceano di carburante fossile, il cui consumo si è attestato a 1,6 miliardi di barili. Le stesse compagnie hanno acquistato SAF per soddisfare l'1,2% del loro fabbisogno di carburante da qui al 2030. L'uso di SAF, di per sé, varia da regione a regione. Si prevede ad esempio che le compagnie nordamericane utilizzeranno il 2,7% di SAF nel 2030 mentre le controparti europee raggiungeranno una quota dell'1,3%. Per fortuna, verrebbe da dire, la legislazione giocherà un ruolo chiave, dal momento che tanto l'UnioneEuropea quanto il Regno Unito con le loro normative costringeranno i vettori a utilizzare più SAF dal 2030 in avanti. Comunque, c'è poco da stare allegri: da un punto di vista delle emissioni, le limitate quantità di SAF sin qui acquistate dalle compagnie aeree non permetteranno di compensare le emissioni associate alla crescita del settore. La riduzione delle emissioni di CO2, nel 2030, sarà di appena lo 0,9%. Un disastro.